martedì 13 aprile 2010

LA VERSIONE DI GABETTI - "LA MIA VITA CON LA FIAT, DALL´AVVOCATO A MARCHIONNE" - "VERSO LA FINE MI CONGEDÒ CON UNA SPECIE DI SALUTO MILITARE, POI MI PRESE LA MANO E SE LA APPOGGIÒ ALLA GUANCIA: TENGA UNITA LA FAMIGLIA" - "un giorno Donna Marella mi disse: lei è forse il suo miglior amico. Risposi di no, l´amicizia è solo tra pari. Il rapporto era come tra un generale e un suo colonnello" - "UNICO DISACCORDO IN PIÙ DI 20 ANNI? ERO CONTRARIO ALL´ACQUISTO DEL CORRIERE. E FUI ASCOLTATO"...

Salvatore Tropea per "la Repubblica"

Dottor Gabetti, una vita con la famiglia Agnelli. Perché adesso lascia e va in pensione?

«Perché non credo ci sia più bisogno di me. La rotta è chiara, le persone giuste sono al posto giusto. Lo meditavo da tempo e adesso posso chiudere. Avevo ricevuto l´incarico sei anni fa, in una situazione di emergenza. Quando Umberto mi ha richiamato, mi ha detto che era per un anno...».
Umberto e Gianni Agnelli

Ma quando ha cominciato a Torino, nel ‘71, pensava di fermarsi così a lungo?

«No. Avevo lavorato alla Comit con Mattioli, che però conobbi solo il giorno in cui me ne andai, e a Ivrea con Adriano Olivetti. Con Gianni Agnelli siamo andati avanti per più di vent´anni, senza un vero screzio, soltanto con qualche differenza d´opinione».
GIANNI AGNELLI A SPASSO - Copyright Pizzi

Ad esempio?

«L´acquisto del Corriere della Sera. Io ero contrario, glielo dissi e lui mi ascoltò. Capivo gli interessi visibili che si muovevano dietro, e anche qualcosa di oscuro».

Possibile che non abbia mai litigato con Agnelli?

«Possibilissimo, perché c´era una ricetta di garanzia. Con tutta quella gente che cercava un rapporto amichevole con Agnelli, o lo millantava, io non l´ho mai nemmeno chiamato "avvocato", ma sempre presidente. C´era uno scambio di sentimenti, questo sì, molto forte».

Come la considerava l´Avvocato: amico, manager o consigliere?
Gianni Agnelli giovane

«Un manager. Quando stava ormai molto male, un giorno Donna Marella mi disse: lei è forse il suo miglior amico. Risposi di no, l´amicizia è solo tra pari. Il rapporto era come tra un generale e un suo colonnello».

Un manager sa dare consigli sgraditi?
casa agnelli03 gianni agnelli 1978

«Quando è necessario sì. Ad esempio la governance della famiglia, con la maggioranza di controllo Fiat e Ifi: avevo capito che quel sistema notarile basato sui patti di sindacato era vecchio. Avevo studiato il trust dei Rockfeller. Dissi all´Avvocato che il meccanismo Fiat non funzionava più, proponendo l´accomandita, dopo aver esaminato il problema con Franzo Grande Stevens e con Cuccia che non sembrava tanto interessato al cambiamento. Poi l´Avvocato, Umberto e Nasi accettarono, e siamo ancora lì: gli azionisti della famiglia sono circa 70».

Margherita Agnelli sostiene che lei ha gestito anche il patrimonio privato, nascosto e in nero dell´Avvocato.

«Può dirlo solo chi non conosceva i nostri rapporti: per dirla all´inglese, è stato sempre un rapporto a distanza di braccio. L´Avvocato non mi ha mai chiesto di gestire i suoi beni personali. E questo perchè avrei potuto prenderla come una diminutio del mio ruolo, una cosa da "ragiunat". Io ho servito un sistema che aveva un grande peso nel Paese, non una persona. Il fatto che la magistratura riconosca la mia correttezza mi conforta. Mi auguro che torni la pace nella famiglia».
Gianni Agnelli

Ma l´Avvocato, che era così preoccupato per la sua immagine, non ha pensato alla vergogna postuma per quel tesoro in nero?

«Io non ne ho mai avuto la percezione. L´ho sempre considerato un patrimonio di Donna Marella. Non ho mai avuto l´occasione di occuparmene e non era quello il mio mestiere».

Dottor Gabetti, l´Avvocato le ha mai dato un ordine?
GIANLUIGI GABETTI

«Gli ordini si danno solo a chi è recalcitrante. Si è imposto però una volta, quando hanno rapito e poi ucciso Oberdan Sallustro, direttore Fiat in Argentina. Lo vidi sconvolto, andò a casa. Pensai che poteva partire d´impulso per l´Argentina e corsi in auto a Caselle. Arrivammo insieme e gli dissi: non deve andare. Rispose: vado. Allora è deciso, aggiunsi, vengo con lei, è pericoloso. No, concluse: le ordino di restare qui, se succede qualcosa a me, lei deve essere qui».

L´ingresso e poi l´uscita degli azionisti libici sono stati un trauma per voi e per lei che ha vissuto in diretta quei momenti?
gabetti

«No. Per l´ingresso avevamo trattato per sei-sette mesi in gran segreto e quello fu un capolavoro di Cuccia. Poi, con l´aumento delle tensioni tra la Libia e gli Usa si pose il problema dell´uscita dei libici. La trattarono Romiti e Cuccia. Quando l´Avvocato mi informò, dissi che il prezzo non andava bene e chiesi: posso provarci? Negoziai con Abdullah Saudi, che era molto abile: spuntai 500 milioni, e i libici uscirono».

In quel periodo lei sapeva che Umberto Agnelli aveva deciso di candidarsi con la dc al Senato?
Gianluigi Gabetti e figlia Cristina - Copyright Pizzi

«Per nulla, quando me lo disse, spiegandomi che lo sentiva come un dovere e non poteva sottrarsi, io caddi dalle nuvole. Ma durò poco. Come durò poco, ancor meno, la triade di amministratori delegati, De Benedetti, Romiti e Tufarelli: una governance troppo complicata. Quando De Benedetti uscì non fui sorpreso».

Lei come è sopravvissuto in mezzo alle tensioni tra i due fratelli Agnelli?
John Elkann e Marella Agnelli

«Guardi che si rispettavano molto, le tensioni le immaginavo talvolta, ma non ne parlavano con me. Quando ci fu l´aumento di capitale nel ‘93, Cuccia chiese a Romiti e all´Avvocato di rimanere al loro posto, per volere delle banche, in un momento in cui le cose non andavano bene. Umberto era in quel momento il presidente designato dal fratello».
agnelli moglie marella

Fu quello un momento in cui Mediobanca sembrava diventata padrona della Fiat, dica la verità, con Romiti uomo del nuovo padrone.

«E´ un po´ un´altra leggenda metropolitana. Non ho mai avuto paura che potesse accadere ciò. L´Avvocato era convinto che suo fratello sarebbe stato un ottimo presidente. E si comportò a modo suo: da un lato investendo su Giovannino, il figlio di Umberto, che gli piaceva molto; dall´altro lato, poiché Cuccia aveva chiesto di far cadere il limite dei 75 anni per uscire dal Consiglio, lui senza dire nulla a nessuno il giorno dei suoi 75 anni annunciò al Consiglio che quel limite era ripristinato, dunque lui se ne andava. Lasciava campo libero alla presidenza di Romiti: ma soprattutto accorciava la sua durata».
fiat08 franzo grande stevens lap

Edoardo, figlio dell´Avvocato, non è stato mai preso in considerazione come successore?

«Edoardo era intelligente, sensibile, vivace, ma non era tagliato per la routine dell´azienda. Aspirava ad affermarsi in modo diverso, aveva altre idee. Seppi della sua morte mentre stavo per imbarcarmi su un aereo. L´Avvocato mi disse: si è gettato da un ponte».

Lei che rapporto aveva con Romiti?

«Diretto, qualche volta brusco. Non ho mai cercato di imporre niente e non ho preteso di fare il guardiano della corona. Mi ero trasferito a Ginevra, pensavo di aver chiuso».
Franzo Stevens

L´uscita di Romiti dalla Fiat segnò la fine di un´epoca?

«Con Fresco l´Avvocato era convinto di aver trovato l´uomo giusto. Ma Fresco non aveva la percezione della serietà dei problemi Fiat. Era un banchiere d´affari e non un gestore di un´azienda industriale. E infatti, se si pensa che il grande job di Fresco era quello di trovare un partner, possibilmente americano come voleva Agnelli, bisogna dire che con GM riuscì perfettamente».

Poi Umberto pensò di sostituire Fresco con lei e Galateri con Bondi: come andò?
ER SOR CESARE ROMITI

«Umberto guidava la holding, era nei suoi poteri. Mi chiamò un sabato, mi chiese di andare a casa sua alla Mandria e me ne parlò. C´era Bondi. Io dissi che non mi sentivo pronto, ma lui andò avanti. Scoppiò un finimondo, si mossero anche le banche, che non vedevano di buon occhio Bondi e la cosa si bloccò: e non mi fece affatto dispiacere».

Umberto portò quindi Morchio alla guida e quando poi questi tentò la scalata alla presidenza lei lo bloccò: è così?

«Sì. La disponibilità di Umberto alla presidenza Fiat fu un sollievo per l´Avvocato, ormai alla fine. Non ci eravamo mai stretti la mano, se non la prima volta, ma in quei giorni mi congedò con una specie di saluto militare, poi mi prese la mano e se l´appoggiò alla guancia: tenga unita la famiglia, mi disse».

E lei li unì contro Morchio?

«Umberto era morto, Morchio convocò un Consiglio straordinario per il giorno dopo. Mi aveva già detto che poteva far tutto da solo. Riunii la famiglia: può chiederci di fare insieme il presidente e l´amministratore delegato, cosa rispondete? Lei, mi chiesero, cosa suggerisce? Di rispettare le nostre regole, il presidente rappresenta l´azionista e per questo ruolo propongo Montezemolo. Accettarono, Susanna in testa. Qualcuno chiese: e se Morchio se ne va? Io ho un nome in testa, risposi».
ILCRANIO DI CESARIONE ROMITI

Era Marchionne?

«Sì. Lo aveva portato in Consiglio Umberto. Gli avevo parlato, in quei giorni, e avevo sondato la sua disponibilità. Chiese di riflettere. Mentre Umberto stava morendo, John Elkann andò da lui e ottenne il consenso. Il mattino decisivo io e John vedemmo Morchio dieci minuti prima del Consiglio. Noi, dicemmo, siamo contenti del suo lavoro, che speriamo prosegua però proporremo Montezemolo presidente. Lui disse: non ne ho bisogno, faccio da solo. Ma ne ha bisogno la società, rispondemmo. Allora io vado via, fu la conclusione. Così la guida Fiat passò a Montezemolo e Marchionne. Diciamo che abbiamo avuto fortuna».
MORCHIO

Ma quella di Marchionne è fortuna o metodo?

«E´ testa. Mai vista una testa così organizzata. Per l´affare GM abbiamo passato giorni e notti insieme. Lui elabora un piano, e intanto la mano corre al mouse, sposta cifre sul computer, passa dal magazzino alle vendite, e il piano prende forma quasi fisica. Ha l´azienda in testa, non ha bisogno di carta e di cifre: e non ha sbagliato una previsione».

E John? Lo ha designato l´Avvocato?

«La prima volta me ne ha parlato dopo aver passato una sera con lui a Parigi: Gabetti, quel ragazzo è da tenere d´occhio. Io l´ho preparato, e un anno e mezzo fa ho detto: è pronto. Adesso non ha più bisogno di me».
MONTEZEMOLO

Lo ammetta, avete preparato lo sganciamento della Fiat da Torino, e della famiglia dalla Fiat: è vero?

«Non abbiamo mai fatto uscire niente dall´Italia, anzi. L´ultimo aumento di capitale, la famiglia lo ha fatto al momento del convertendo. Avrebbe perso il controllo, e ha detto di no. Quanto a Torino, la penso come Marchionne: bisogna avere radici profonde, ma orizzonti ampi. Adesso abbiamo le due cose».

Eppure le vicende giudiziarie sul meccanismo dell´equity swap col quale la famiglia Agnelli, mediente la società Exor, ha conservato il controllo della Fiat, hanno gettato qualche sospetto.
MArchionne Fiat

«Abbiamo fatto quanto dovevamo fare con scrupolo per la legge, come ho ribadito nella mia deposizione di ieri in tribunale».

Lei resterà a Torino?

«Anch´io ho le mie radici, e sono qui. Ma le confido un segreto: non ho casa a Torino, vivo in albergo, davanti al Lingotto. Vuol dire che passerò più tempo nella mia casa nelle Langhe»
by dagospia

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