Testo tratto dal libro di Paolo Bracalini, giornalista del
Giornale, "La Repubblica dei mandarini. Viaggio nell'Italia della
burocrazia, delle tasse e delle leggi inutili" (Marsilio, 198 pagine, 14
euro), in libreria da pochi giorni
Da "il Foglio"
LA REPUBBLICA DEI MANDARINI - PAOLO BRACALINI
PUBBLICO ALLA PRESENTAZIONE DI PARTITI SPA DI PAOLO BRACALINI PH MARIO CASTIGLIONI
Ispettorato generale del bilancio della Ragioneria dello Stato. Mai
sentito nominare? Probabilmente no. Eppure è l'ufficio che governa la
spesa pubblica italiana, un enorme centro di potere al riparo da sguardi
indiscreti, nella penombra in cui ama stare la grande burocrazia
italiana, quel "mandarinato" pubblico che è il vero governo occulto del
paese.
"Ho fatto quattro volte il ministro e qualsiasi cosa tu possa
scrivere per denunciare quanto contano queste persone sarà sempre una
parte infinitesimale della realtà. Lo stato sono loro e la Repubblica è
appesa alle loro decisioni", racconta Altero Matteoli, ex ministro delle
Infrastrutture, parlando dei superburocrati che decidono tutto nei
ministeri.
"Nel 2001 nominai capo di gabinetto ai Lavori pubblici un
professore, Paolo Togni, e la Corte dei conti rifiutò di registrarlo
perché, dissero, non aveva i titoli. Chiesi allora che titoli
servissero. Muta risposta. Ma nel silenzio fecero pressioni su Palazzo
Chigi per far nominare uno dei loro: un magistrato contabile o uno del
Consiglio di Stato o uno del Tar".
Ci volle un mese perché Togni
fosse messo nelle condizioni di ricoprire l'incarico. Ma non sempre si
vince il braccio di ferro con la burocrazia ministeriale, più spesso
sono loro a trionfare. "Il monopolio delle informazioni è il vero motivo
della potenza della burocrazia", spiega l'economista Francesco
Giavazzi.
"Gestire un ministero è una questione complessa: richiede
dimestichezza con il bilancio dello stato e il diritto amministrativo e
soprattutto buoni rapporti con i burocrati che guidano gli altri
ministeri e la presidenza del Consiglio. Gli alti dirigenti hanno il
monopolio di questa informazione e di questi rapporti, e tutto
l'interesse a mantenerlo". Giavazzi ha imputato alla scelta di mantenere
al loro posto, "quasi senza eccezioni, tutti i grandi burocrati che
guidano i ministeri", il vero motivo dell'insuccesso di Mario Monti nel
taglio alla spesa pubblica.
Ma il professore ricorda come questo
problema sia una costante per i ministri. Anche quelli più lontani
dall'apparato burocratico pubblico finiscono inevitabilmente per
sbatterci la testa. Successe a Giancarlo Pagliarini, primo ministro
delle Finanze della Lega Nord, nel 1994. Un marziano a Roma, un
fiscalista del Nord che mai aveva avuto a che fare con quel mondo. Al
suo primo giorno di lavoro Pagliarini si trovò di fronte un documento
della Ragioneria generale dello Stato, a suo avviso incomprensibile:
"Bisogna rifare il bilancio dello Stato da zero. Se continuano a
scriverlo così, solo la Ragioneria generale lo capisce e solo loro
decideranno".
Inutile dire chi, tra la Ragioneria e Pagliarini, ha
vinto la battaglia. L'ex ministro del Bilancio leghista ricorda
perfettamente l'enorme potere di interdizione della burocrazia
ministeriale. "Prendiamo come esempio la legge più importante che
approva il governo", spiega Pagliarini, "e cioè la legge finanziaria.
Negli ultimi anni la legge finanziaria è sempre passata con il
maxiemendamento. Bene, il Parlamento lo approva di fatto senza averlo
letto. Ma non l'ha letto perché non è scritto.
Sì, ci sono dei punti
generali, ma poi sono i burocrati che lo scrivono due o tre mesi dopo
l'approvazione. E quindi come si fa a sapere come lo scrivono? In
sostanza il testo che tu approvi, magari come ministro, quindi anche con
delle responsabilità importanti, non lo leggi nemmeno perché non c'è,
non esiste ancora".
E a proposito delle sorprese che i burocrati
possono riservare nell'implementare una legge, ecco che Pagliarini ci
porta un esempio davvero sconcertante. "Quando si parla di burocrazia
amo raccontare la storia dei Giochi del Mediterraneo di Bari. Ecco come è
andata: il giorno prima del Consiglio dei ministri va in scena il
preconsiglio dei ministri. Al preconsiglio ci vanno i vari capi di
gabinetto che discutono e poi tornano dal ministro e gli riferiscono i
risultati dell'incontro.
Quindi vengono da me e mi dicono che ci
sarebbero queste venti leggi da approvare e che mi consigliano di farlo
poiché ci sono dei problemi da approfondire l'indomani. Il problema
principale è che la destra vorrebbe 5 miliardi di lire per finanziare i
Giochi del Mediterraneo di Bari. Al che mi dicono che è inutile far
casino per 5 miliardi, anche perché, se il ministro si dovesse impuntare
su ogni singola voce di spesa, non se la caverebbe più e che quindi
sarebbe consigliato concederglieli. Il giorno dopo la prassi vuole che
si approvino le voci non problematiche, si leggano solo i titoli e si
approvino.
C'è una cartellina con i documenti, ma di solito non si
guarda mai. Bene, io quel giorno per curiosità la guardo e cosa scopro?
Una cosa incredibile! Mi avevano detto 5 miliardi, ma qualcuno di notte
aveva aggiunto uno zero ed erano diventati 50! E la frase non era più...
"per finanziare i Giochi del Mediterraneo di Bari", ma... "per
consentire l'inizio dei Giochi del Mediterraneo di Bari". Io di queste
cose ho le fotocopie a casa.
Così funziona la burocrazia. E i giochi
di Bari, dovete moltiplicarli per mille. Qualcuno negli uffici, a
livello amministrativo cambia le carte in tavola! Loro sono consapevoli
che nemmeno il Padre Eterno riuscirebbe a leggere sempre tutta la
documentazione e se ne approfittano. Sanno che il linguaggio burocratico
lo capiscono solo loro e che il politico è sostanzialmente obbligato ad
approvare anche per via di pressioni esterne. Perché, per esempio, a me
dicevano che bisognava approvare entro una certa scadenza sennò
scattava l'esercizio provvisorio".
Un po' più ottimista è invece
Adriano Teso, sottosegretario del ministero del Lavoro e della
previdenza sociale nel 1994. Uno che, con il ruolo che aveva, di magagne
burocratiche ne ha viste parecchie. "Hai il potere di cambiare tutto",
ha spiegato Teso, "se porti in Parlamento politici di una certa pasta.
Ci vuole etica e capacità. Certo che se parti con politici con etica e
capacità discutibili, il risultato è scarso.
Pensate che io avevo
addirittura portato nel mio gabinetto una mia persona per controllare i
testi di legge perché capita che i tuoi dirigenti ti preparino delle
leggi diverse rispetto a quelle che tu dicevi che dovevano essere fatte.
E vi assicuro che sono degli artisti in questo, con il loro linguaggio
criptico (come da decreto, rinviato al, la legge del... ecc.). E se un
giorno ti impunti e dici di non voler firmare più niente e che vuoi
vedere le carte, ti arrivano carrelli di roba alti un metro e mezzo per
leggi anche di una pagina. Secondo me", prosegue, "esistono due aspetti
di questa burocrazia deleteria. Uno che parte dal legislativo, perché
hai un'infinità di leggi che poi, per gestirle e implementarle, ti
portano per forza a un eccesso di burocrazia. Non per niente nel nostro
paese c'è un eccesso legislativo.
Abbiamo un impianto legislativo
senza paragoni nel mondo. Poi c'è la parte organizzativa della
burocrazia e quello è un processo interno dei burocrati. In più c'è
anche un discorso di buona fede. Perché spesso la burocrazia non è
allineata con gli obiettivi della legge, ma con obiettivi propri". A
detta di Sabino Cassese, invece, il sabotaggio burocratico è una prassi.
"Ricordo che Andreotti si portò come capo di gabinetto a Palazzo Chigi
l'ex ragioniere generale Milazzo, e non c'è dubbio che Milazzo avesse un
potere enorme", racconta Cassese intervistato da Andrea Cangini sul
"Quotidiano Nazionale".
"Persino Stammati, ministro del Tesoro ed ex
ragioniere a sua volta, faticava a farsi ascoltare. Il fenomeno del
sabotaggio burocratico è stato ampiamente studiato, accade quando le
burocrazie si sostituiscono al potere politico e decidono cosa fare e
quando farlo. Ricordo il caso di un noto capo di gabinetto contrario a
certi cambiamenti nell'amministrazione previsti da una legge appena
varata. Sapeva che il governo sarebbe durato massimo 12 mesi e fissò in
18 mesi il termine per emanare il decreto legislativo che avrebbe dovuto
dare attuazione alla legge.
L'Italia è caratterizzata dal fatto che
i governi o durano poco, o hanno una scarsa coesione e una modesta
capacità di leadership, o entrambe le cose contemporaneamente. Tutto
ciò, unito all'incultura e all'inesperienza di certi ministri, fa sì che
si formino sacche di amministrazione che vanno in direzione diversa da
quella voluta dalla politica".
La precarietà dei ministri, in
confronto all'eternità dei burocrati, rende questi ultimi spesso molto
più potenti dei politici, trattati con sufficienza dai mandarini di
Stato che sanno di essere più forti. L'oscurità e la complessità delle
leggi, invece, è fatta apposta per perpetuare il potere della casta
burocratica. "I burocrati ministeriali scrivono le norme e gestiscono le
informazioni in maniera iniziatica, in modo da risultare
indispensabili", dice a Cangini un ex ministro che vuole restare
anonimo.
Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e
prestiti, la cassaforte finanziaria del paese, aveva proposto, nella
primavera 2013, una soluzione per il problema dei miliardi di debiti
della pubblica amministrazione italiana verso le imprese private, ma si è
scontrato con i mandarini del Tesoro e della Ragioneria generale dello
Stato, che hanno bloccato tutto. La soluzione era una semplice
cartolarizzazione: i debiti, garantiti dallo Stato, vengono trasferiti
dalle imprese alle banche, che liquidano immediatamente le imprese
immettendo così miliardi nell'economia. Poi lo Stato garantisce,
attraverso la Cassa depositi e prestiti, che le banche vengano
rimborsate dalla Pa, con un piano di rientro distribuito in un arco di
più anni.
"Le banche italiane avrebbero comprato volentieri i 90
miliardi di euro di debiti garantiti dallo Stato", racconta Bassanini,
intervistato da Alan Friedman. "Sarebbe stata un'operazione virtuosa che
immetteva in un colpo solo 60-70 miliardi nell'economia italiana e dava
benzina all'economia, senza incidere sul deficit neanche dello zero per
cento".
Le imprese verrebbero pagate subito (dalle banche), lo
Stato potrebbe ripagare i debiti nel tempo, mentre le banche avrebbero
la convenienza di poter compensare i propri crediti con le imprese.
Tutti contenti, dunque. La Spagna lo ha fatto e ha funzionato, nel
Parlamento italiano, poi, c'era la maggioranza pronta a votare il piano
Bassanini. E allora, come mai non si è fatto? "C'è stata una forte
resistenza burocratica... In questo caso specifico la tesi (dei vertici
del Tesoro e della Ragioneria generale dello Stato) era che l'Europa non
ce lo avrebbe permesso. La burocrazia italiana, tanto più quando è
preparata e forte, spesso usa l'Europa come pretesto per non fare le
cose che non vuole si facciano. Ci sono diverse cose che servirebbero
alla crescita del paese e che trovano resistenze non politiche ma
burocratiche".
La vera casta sono i burocrati. Per questo è arduo,
se non impossibile, cambiare veramente, in Italia. Prova ne sia il
documento di "passaggio di consegne" affidato dal ministro dell'Economia
uscente, Fabrizio Saccomanni, a quello entrante, Pier Carlo Padoan.
Ventisei fogli A3, meticolosamente annotati, che illustrano la bellezza
di 465 fra decreti e regolamenti previsti dalle riforme dei governi
Letta e Monti, ancora da attuare, alcuni fermi da due anni. Su quel
macigno di leggi immobili i funzionari dei ministeri spesso specificano:
"L'attuazione (del decreto per una piattaforma elettronica per i debiti
Pa, ndr) presenta oggettive difficoltà attuative".
"Per un altro
decreto", scrive Fabrizio Forquet sul "Sole 24 Ore", "l'annotazione a
uso interno è la fotografia dello stallo burocratico: "Sollecitata Rgs
da Ulf, ufficio legislativo Finanze (nota 1418 del 10 febbraio). Il
Dipto Finanze concorda con l'Ag. Entrate riguardo all'opportunità di
abrogare la disposizione. Anche Rgs è d'accordo. Evidenziate dagli
Uffici (Ag. Entrate, Dipto Finanze, Rgs) difficoltà applicative
all'adozione del decreto. Opportuna abrogazione della disposizione"". Il
responso, riportato nella colonna a fianco, è inesorabile: "Non
attuabile".
Il sigillo dell'alta burocrazia gattopardesca italiana:
riscrivere tutto, perché nulla cambi. chi comanda nei ministeri Ci
racconta un ex ministro della Giustizia di lungo corso che preferisce
restare anonimo: "La legge Bassanini che ha riformato la pubblica
amministrazione divide nettamente la classe politica da quella
amministrativa. Il ministro può soltanto dare gli indirizzi di natura
generale e politica, tutto il resto lo fa l'amministrazione del suo
ministero, al punto che ormai gli atti che firma il ministro sono quasi
soltanto di natura formale, mentre quelli attuativi sono in mano
all'amministrazione.
Faccio un esempio. Un ministro non firmerà mai
una gara d'appalto o un affidamento, queste pratiche competono tutte
all'amministrazione. La conseguenza è che quando sei lì, ti trovi dentro
un macchinone immenso, quello del tuo dicastero, e qui c'è già il primo
problema. Lei pensi che al ministero della Giustizia avevo sotto di me
120 mila dipendenti, il ministro dell'Istruzione ne ha un milione... Con
queste dimensioni significa che il ministero è diviso in una serie di
dipartimenti che gestiscono realtà enormi, con molti capitoli di spesa e
con i funzionari che fanno passare i soldi da una parte all'altra senza
che il ministro possa controllare nulla.
Come la storia degli
esodati della Fornero. E' chiaro che le hanno dato delle cifre sbagliate
i suoi funzionari... Un ministero è un macchinone gigantesco, il
ministro non sa tutto, anzi spesso sa poco. Pensi che a me avevano messo
una centrale di ascolto al ministero senza dirmi nulla. I funzionari
tendono a ragionar così: tu fai il ministro, ma le cose importanti le
decidiamo noi, i capi dipartimento. Una figura strapotente al ministero
della Giustizia è il capo del Dap, il Dipartimento di amministrazione
penitenziaria.
Gestisce un budget di 5 miliardi di euro su 7 totali
del ministero, 50 mila poliziotti della penitenziaria. Immagini il
potere che ha. Poi molto dipende anche dalla personalità dei vari
ministri. Con un ministro debole i burocrati hanno uno spazio di
intervento enorme... Naturalmente se sei esperto della materia puoi in
qualche modo capire cosa sta succedendo nel tuo ministero. Bisogna stare
molto attenti alle cifre che ti vengono date dall'apparato". Caso
tipico è al ministero delle Infrastrutture.
"Il nostro problema", ha
spiegato al Fatto Quotidiano Alessandro Fusacchia, ex consigliere per
la diplomazia economica alla Farnesina, "è fondamentalmente l'incertezza
giuridica. Abbiamo migliaia di leggi e leggine che insistono sullo
stesso argomento, per esempio il lavoro, e nessuno sa esattamente quali
siano le regole. In questo modo nessuno si assume dei rischi e tutto
diventa lentissimo".
In questo caos acquista potere la casta dei
giuristi di Stato, dei capi di gabinetto e degli uffici legislativi.
"Stiamo parlando di circa 50 persone che controllano l'essenziale ", ha
detto Fusacchia. la ragioneria (di stato) ha sempre ragione Ma non ci
sono soltanto i grandi boiardi dei ministeri: capi di gabinetto, capi di
dipartimenti, esperti legislativi, consiglieri. Ci sono anche organismi
terzi, composti da tecnici o da magistrati, che contano moltissimo
sull'attuazione (e soprattutto sulla non attuazione) di riforme, leggi e
decisioni politiche. Uno di questi è il Cipe, il comitato
interministeriale per la programmazione economica.
"I ministeri di
spesa passano tutti dal Cipe. Le spese per l'edilizia scolastica, le
infrastrutture, i fondi per l'industria, la banda larga, passa tutto da
lì. E' composto dai ministri, ma anche dalla Ragioneria generale dello
Stato che ha un enorme potere di veto. Se non vedono che dal punto di
vista finanziario è tutto a posto, non ti danno il benestare. Se non c'è
la famosa bollinatura, la bollinatura della Ragioneria, non passa
niente. Allora non è più soltanto una questione tecnica, ma anche
politica, perché se si decide che un'opera non va bene, non si farà mai.
E capita spessissimo".
Le bollinature, cioè il via libera contabile
della Ragioneria a ogni provvedimento di spesa, "vengono concesse solo
se il provvedimento rientra nella "visione" politica del ragioniere
generale. In caso contrario vengono negate o subordinate a scelte
"politiche" diverse", racconta un ex ministro diessino che vuole restare
anonimo.
L'ha sperimentato sulla propria pelle l'ex senatore Mario
Baldassarri, che da presidente della commissione finanze provò a metter
mano a quella parte di spesa pubblica, per acquisto beni e servizi (40
miliardi l'anno), che fa capo alle grandi burocrazie ministeriali.
L'emendamento non piaceva al capo del legislativo dell'economia e alla
Ragioneria generale dello Stato, che non gli diede la "bollinatura".
Lui
andò avanti, finché alcuni compagni di partito gli dissero di aver
ricevuto una telefonataccia da un importante direttore generale di
ministero che consigliava di ritirare quell'emendamento. Baldassarri si
infuriò, minacciò di chiamare l'autorità costituita e di denunciare il
ragioniere generale dello Stato per "palesi falsi e giudizi politici".
Ma alla fine tutto fu insabbiato.
http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/benvenuti-nella-repubblica-dei-mandarini-nel-nostro-paese-la-vera-casta-e-rappresentata-dai-77996.htm
mercoledì 28 maggio 2014
BENVENUTI NELLA REPUBBLICA DEI MANDARINI - NEL NOSTRO PAESE LA VERA CASTA E' RAPPRESENTATA DAI BUROCRATI. E' PER QUESTO CHE E' ARDUO SE NON IMPOSSIBILE CAMBIARE VERAMENTE LE COSE IN ITALIA Come racconta Bracalini, Bassanini, presidente della Cdp, aveva proposto, nella primavera 2013, una soluzione per il problema dei miliardi di debiti della pubblica amministrazione verso le imprese private. Ma si è scontrato con i mandarini del Tesoro e della Ragioneria generale dello Stato, che hanno bloccato tutto…
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