Michele Sindona
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Michele Sindona
Michele Sindona (Patti, 8 maggio 1920 – Voghera, 22 marzo 1986) è stato un banchiere e criminale italiano, coinvolto nell'affare Calvi e mandante dell'omicidio di Giorgio Ambrosoli.
Indice [nascondi]
1 Gioventù
2 Attività finanziaria
3 Corruzione e bancarotta fraudolenta
4 Mandante dell'omicidio Ambrosoli
5 Latitanza e finto sequestro
6 Morte in carcere
7 Filmografia
8 Note
9 Voci correlate
10 Bibliografia
Gioventù [modifica]
Michele Sindona nasce nel 1914 a Patti in provincia di Messina, figlio di un piccolo impresario di pompe funebri[senza fonte].
Laureato in giurisprudenza lavora per un paio di anni all'ufficio delle imposte di Messina[senza fonte].
Aiuta attivamente gli Stati Uniti a sbarcare sull'isola siciliana durante la fase conclusiva delle seconda guerra mondiale e proprio in seguito ai suoi fedeli servigi viene arruolato in pianta stabile nella CIA[senza fonte].
Attività finanziaria [modifica]
Al termine della guerra si trasferisce a Milano nel 1946 aprendo uno studio da consulenza tributaria divenendo negli anni '50 uno tra i commercialisti più ambiti. Si specializza in pianificazione fiscale acquisendo le conoscenze nell'esportazione dei capitali e nel funzionamento dei paradisi fiscali. A ciò si aggiungono la sua intelligenza e la spregiudicatezza nelle operazioni di borsa rivelatesi a lui favorevoli che gli permettono di accumulare una considerevole fortuna economica per la futura attività di banchiere.[1] Negli anni '60, Sindona importa a Piazza Affari gli strumenti di Wall Street: OPA, conglomerate, private equity. Trattiene rapporti con diversi clan mafiosi, tra cui la famiglia Gambino.
Durante la sua carriera Sindona comprò diverse banche, partendo dalla Banca Privata Finanziaria; successivamente (1972) entrò in possesso del pacchetto di controllo della Franklin National Bank (nell'elenco delle prime venti banche statunitensi) e fondò, tra le altre, la FASCO AG (Liechtenstein) e migliaia di altre società finanziarie; possedeva inoltre partecipazioni in altre aziende, tra cui una banca di investimento in Italia in diretta concorrenza con Mediobanca. Le sue banche si associarono ad altri istituti di credito, come la Finabank di Ginevra e la Continental Illinois di Chicago.
Nel 1971 le sue fortune iniziano a rovesciarsi, a seguito del fallimento dell'OPA sulla finanziaria Bastogi, cui si era opposto Enrico Cuccia, fondatore di Mediobanca[2].
Corruzione e bancarotta fraudolenta [modifica]
Sindona passò dall'essere un mago della finanza internazionale, dopo aver persino scoperto un complotto verso la lira italiana (e per questo definito da Andretti "il salvatore della lira"), a essere uno dei più grandi e potenti criminali. Attraverso una serie numerosissima di libretti al portatore trasferì 2 miliardi di lire sulle casse della Democrazia Cristiana, e parecchi milioni di lire vennero distribuiti tramite Vito Miceli a una ventina di politici italiani.
Nel 1971 la Banca d'Italia per mano del Banco di Roma inziò ad investigare sulle attività di Sindona nel tentativo di non fare fallire gli Istituti di credito da questi gestiti (Banca Unione e Banca Privata Finanziaria). I motivi delle scelte dell'allora Governatore Carli erano chiaramente tese a non provocare il panico nei correntisti. Il Banco di Roma accordò un prestitò a Sindona; il suo amministratore delegato Mario Barone fu cooptato come terzo amministratore degli istituti, riuniti nella Banca Privata Italiana, mentre il Direttore Centrale del Banco di Roma, Giovanbattista Fignon, ne divenne Vice Presidente e Amministratore Delegato. Fignon andò a Milano a rivestire la carica e capì immediatamente la gravità della situazione. Stese numerose relazioni, capì le operazioni gravose messe in piedi da Sindona e dai suoi collaboratori tanto che ne ordinò l'immediata sospensione.
Ciò che emerse dalle investigazioni indusse la Banca d'Italia, nel 1974, a ordinare un commissario liquidatore. Per il compito fu scelto Giorgio Ambrosoli, che assunse la direzione della banca e si trovò ad esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che il finanziere siciliano aveva intessuto, principiando dalla società "Fasco", l'interfaccia fra le attività palesi e quelle occulte del gruppo. Nel corso dell'analisi svolta dall'avvocato emersero le gravi irregolarità di cui la banca si era macchiata e le numerose falsità nelle scritturazioni contabili.
Contemporaneamente a questa opera di controllo Ambrosoli cominciò ad essere oggetto di pressioni e di tentativi di corruzione. Queste miravano sostanzialmente a ottenere che avallasse documenti comprovanti la buona fede di Sindona. Se si fosse ottenuto ciò lo Stato Italiano, per mezzo della Banca d'Italia, avrebbe dovuto sanare gli ingenti scoperti dell'istituto di credito. Sindona, inoltre, avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile. Ai tentativi di corruzione fecero presto seguito minacce esplicite. Malgrado ciò, Ambrosoli confermò la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità penale del banchiere.
Nel corso dell'indagine emerse, inoltre, la responsabilità di Sindona anche nei confronti di un'altra banca, la statunitense Franklin National Bank, le cui condizioni economiche erano ancora più precarie. L'indagine, dunque, vide coinvolta non solo la magistratura italiana, ma anche l'FBI.
Sindona venne arrestato per bancarotta fraudolenta e condannato dapprima negli Stati Uniti e in seguito anche in Italia.
Mandante dell'omicidio Ambrosoli [modifica]
Giorgio Ambrosoli subì pesanti pressioni da parte del mondo politico democristiano e della loggia P2. Paolo Baffi e Mario Sarcinelli, dirigenti della Banca d'Italia, respinsero i piani di salvataggio presentati da Franco Evangelisti, braccio destro di Giulio Andreotti, e rivelarono il ruolo di Roberto Calvi nella vicenda. Messi sotto arresto e poi prosciolti (Baffi evitò il carcere per limiti d'età), dovettero lasciare l'istituto.
L'11 luglio 1979 William Joseph Aricò, sicario fatto appositamente venire dall'America e pagato con 25 000 dollari in contanti ed un bonifico di altri 90 000 dollari su un conto bancario svizzero, uccide Ambrosoli con quattro colpi di pistola mentre questi stava rincasando dopo una cena con amici.
Nel 1986 Sindona venne condannato all'ergastolo per essere il mandante dell'omicidio di Giorgio Ambrosoli, assieme a Roberto Venetucci, un trafficante d'armi che aveva messo in contatto Sindona col killer. Durante le indagini emersero l'affiliazione alla P2 di Licio Gelli, contatti con il Vaticano, la Massoneria e con ambienti mafiosi.
Latitanza e finto sequestro [modifica]
Per tentare di commuovere gli Stati Uniti e di convincerli che tutte le sue sfortune finanziarie erano frutto di un sabotaggio nei suoi confronti da parte di elementi politici italiani, arrivò a simulare un rapimento.
Attraverso esponenti della mafia italo americana ottenne documenti falsi, così che dopo aver simulato il rapimento da parte di un fantomatico gruppo proletario eversivo, si trasferì in Italia per un breve periodo con lo scopo di ritrovare dei documenti necessari per la sua difesa al processo. Durante questo finto rapimento si fece addirittura anestetizzare una gamba per poi farcisi sparare dal dottor Miceli Crimi, medico appartenente alla P2, al fine di rendere più veritiero il sequestro. Dopodiché, rientrò negli Stati Uniti, rimase alcuni giorni in un albergo e poi si fece trovare.
Morte in carcere [modifica]
Due giorni dopo la condanna all'ergastolo per l'omicidio di Ambrosoli, fu avvelenato con un caffè al cianuro di potassio nel supercarcere di Voghera il 20 marzo 1986: morì all'ospedale di Voghera dopo due giorni di coma profondo.
La sua morte è stata archiviata come suicidio poiché il cianuro di potassio ha un odore particolarmente pregnante e quindi risulta difficile l'assunzione involontaria; il comportamento e i movimenti di Sindona stesso lo confermavano, facendo pensare a un tentativo di auto-avvelenamento per essere estradato negli Stati Uniti, coi quali l'Italia aveva un accordo sulla custodia di Sindona legato alla sua sicurezza e incolumità. Quindi un tentativo di avvelenamento lo avrebbe riportato al sicuro negli Stati Uniti. Sindona fece di tutto per ottenere l'estradizione negli Stati Uniti e l'avvelenamento, secondo l'ipotesi più accreditata, fu l'ennesimo tentativo. Quella mattina andò a zuccherare il caffè in bagno e come ricomparve davanti alle guardie carcerarie gridò: Mi hanno avvelenato. Resta comunque plausibile l'ipotesi che la persona fino a oggi ignota che gli fornì il veleno, lo manipolò in modo che lo portasse alla morte e non, come previsto, a un semplice malore, magari in accordo con chi lo avrebbe voluto togliere di mezzo.
Il giornalista e docente universitario Sergio Turone ipotizza che fu Andreotti a far pervenire la bustina di zucchero contenente il cianuro fatale a Sindona, facendo credere a quest'ultimo che il caffè avvelenato gli avrebbe causato solo un malore. Secondo Turone, il movente del presunto omicidio sarebbe stato il timore che Sindona rivelasse durante il processo d'appello segreti riguardanti i rapporti tra politici italiani, Cosa Nostra, e la P2: "fino alla sentenza del 18 marzo 1986 Sindona [aveva] sperato che il suo potente protettore [Andreotti] trovasse la via per salvarlo dall'ergastolo. Nel processo d'appello, non avendo più nulla da perdere, avrebbe detto cose che fin ora aveva taciuto."[3]. Va tuttavia sottolineato che tale ipotesi non è stata suffragata da alcuna prova concreta che implichi in alcun modo Andreotti nella morte di Sindona.
Ancora nel 2010, Giulio Andreotti riportava un giudizio positivo su Sindona: "Io cercavo di vedere con obiettività. Non sono mai stato sindoniano, non ho mai creduto che fosse il diavolo in persona". Il fatto "che si occupasse sul piano internazionale dimostrava una competenza economico finanziaria che gli dava in mano una carta che altri non avevano. Se non c'erano motivi di ostilità, non si poteva che parlarne bene"[4].
Filmografia [modifica]
Un eroe borghese, regia di Michele Placido (1995)
Note [modifica]
^ "Il caffè di Sindona" Gianni Simoni e Giuliano Turone ed. Garzanti, ISBN 978-88-11-62051-8, p.33-34
^ [1] 8 settembre 2010, nel corso della registrazione di una puntata di "La storia siamo noi" di Giovanni Minoli, su Rai Due
^ Sergio Turone sui rapporti tra Andreotti e Sindona
^ Ansa, 9 settembre 2010
Voci correlate [modifica]
Rapporti tra Giulio Andreotti e Michele Sindona
Bibliografia [modifica]
Geschäfte mit dem Vatikan. Die Affäre Sindona., Tosches N., München 1987. ISBN 3426039702,
In nome di Dio, Yallop David, Pironti Editore, Napoli, 1985
Il mistero Sindona: le memorie e le rivelazioni di Michele Sindona, Tosches N., SugarCo, 1986.
Soldi Truccati, i segreti del sistema Sindona, Lombard, Feltrinelli, 1980.
Corrado Stajano. Un eroe borghese. Il caso dell'avvocato Ambrosoli assassinato dalla mafia politica, Torino, Einaudi, 1995
Carlo Lucarelli. Misteri d'Italia. I casi di Blu notte. Torino, Einaudi, 2002. ISBN 88-06-15445-1.
Gianni Simoni, Giuliano Turone. Il caffè di Sindona. Un finanziere d'avventura tra politica, Vaticano e mafia, Milano, Garzanti, 2009. ISBN 978-88-11-62051-8.
Umberto Ambrosoli. Qualunque cosa succeda. Storia di un uomo libero. Sironi, 2009.
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