mercoledì 25 maggio 2011

non fidatevi delle bolle di internet

ECCO COSA PENSA DI LINKEDIN JACK DONAGHY, IL TOP MANAGER INTERPRETATO DA ALEC BALDWIN IN "30 ROCK"
Dalla puntata del 24 marzo su NBC - http://youtu.be/dnCbRMBfBW0


LINKEDIN
Dagoreport: Jack Donaghy, che nel telefilm è l'amministratore delegato di NBC, parla di un suo vecchio rivale, un top manager caduto in disgrazia. "L'ho rintracciato: ora vive a Brooklyn, ed è su LinkedIn...a questo punto farebbe prima a essere morto!" (he's on LinkedIn, he might as well be dead).

Quello che nessuno vuole ammettere, soprattutto nel piccolo mondo italico, è che creare un profilo su LinkedIn è considerato - dai veri manager - alla stregua di un annuncio su Porta Portese o Secondamano. Anche tra i dirigenti di medio livello, o tra i professionisti (avvocati, commercialisti), chi cerca di cambiare lavoro o di prendere contatto con le aziende si affida ai cacciatori di teste. Al massimo, LinkedIn è usato (con scarso successo) dai venti-trentenni che cercano lavoro e che vogliono rendere pubblico il loro cv, ovvero un target non esattamente redditizio per gli inserzionisti...

Oltre un certo livello di carriera, essere su LinkedIn è considerato da sfigati. O, se anche ci si è registrati, si smette di aggiornare il profilo o di accettare contatti. Anche perché, se si è raggiunta una posizione importante all'interno dell'azienda, i contatti saranno persone che vogliono chiederti un lavoro.


REID HOFFMAN
LinkedIn, tra le aziende del web 2.0 che intendono quotarsi nel prossimo futuro, è la più debole (perfino di Zynga, una mini-software house che fa videogiochi per cellulari e social network). Proprio per questo si è affrettata a sbarcare in borsa: ha sfruttato l'effetto attesa/sorpresa. Se fosse arrivata dopo Facebook e Twitter, nessuno se ne sarebbe accorto.


2 - LINKEDIN, FINISCE LA FESTA RIBASSISTI GIÀ IN AZIONE...
Marco Valsania per "Il Sole 24 Ore"

E al terzo giorno Linkedin scivolò. Il social network per professionisti è stato scosso ieri dai dubbi sulla sua valutazione e, soprattutto, dallo spettro dello short selling, le ondate di scommesse al ribasso che dalle prossime ore potrebbero mettere alla prova la sua tenuta. A Wall Street in un segno della tensione, il titolo ha bruciato il 10% in mattinata anche se poi si è fermato a 88,3 dollari, in calo del 5,15% dai 93 di venerdì.

Il raddoppio del prezzo di collocamento - 45 dollari - fin dal primo giorno di contrattazioni di giovedì ha sicuramente generato realizzi di profitto. Adottando i parametri di Linkedin la Exxon Mobil dovrebbe avere una market cap da ventimila miliardi di dollari e marchi hi-tech d'assalto quali Google diventano value stock, a buon mercato. Ma c'è qualcosa di più nel nervosismo su Linkedin. «Vedo le raccomandazioni short moltiplicarsi di giorno in giorno - spiega Tim Murphy di youDevise e Trade Idea Monitor, piattaforma che gestisce l'85% delle "idee" short e long inviate elettronicamente dai broker ai clienti - Riguardano i prossimi 15-20 giorni e indicano in gran parte che la valutazione della società, anche per chi la considera solida, è troppo elevata. Il prezzo target indicato, nel breve periodo, è di 60 dollari, quindi prevedo che le pressioni sul titolo continuino».

A mobilitarsi sono fondi e investitori che fanno delle scommesse sugli scivoloni di titoli che considerano sopravvalutati la loro ragion d'essere. Da oggi, ricorda Murphy, svaniranno le restrizioni normative sullo short selling dopo il collocamento, legate al settlement dei titoli. E sarà possibile far leva sul meccanismo essenziale per queste scommesse: cercare sul mercato azioni da prendere a prestito per venderle, con la prospettiva di ricomprarle in seguito a prezzo inferiore e restituirle.

Entro fine settimana, inoltre, gli investitori potranno far leva su un altro strumento per dar sfogo a aspettative ribassiste: le opzioni sul titolo. Con le put options, che dovrebbero scattare dal 26 maggio, verrà effettuata la stessa scommessa "negativa" attraverso l'impegno a vendere in futuro un titolo a prezzo prefissato, generando guadagni qualora la quotazione di mercato sia inferiore al prezzo stabilito e al premio pagato per l'opzione.


REID HOFFMAN ALLA QUOTAZIONE A WALL ST
A creare però ancor più tensone sugli scambi ci sono i rischi delle stesse strategie short. La scommessa ribassista sul titolo è tutt'altro che facile e sicura. Il limitato numero di titoli collocati, 7,84 milioni, complica la possibilità di prenderli a prestito. Chi vi riuscisse potrebbe essere costretto a pagare premi molto - forse troppo - elevati per aggiudicarseli, rendendo il guagagno ostaggio di cali davvero precipitosi delle quotazioni. Qualcuno ha così battezzato le scommesse ribassiste su Linkedin alla stregua di un gioco pericoloso. O meglio di una «trappola per orsi», adottando l'immagine-simbolo dei ribassi in Borsa. Il pericolo più eclatante è il paradosso dello «short squeeze»: la possibilità che un titolo con scarso flottante salga tanto da obbligare persino gli «orsi» a comprare per coprire le scommesse negative. Una spirale, cioè, che farebbe semmai gonfiare il titolo.

Se il timore d'una bolla - per i riflessi sugli sbarchi in borsa di un'intera nuova generazione di società Internet - spaventa molti osservatori, la paura di queste trappole consiglia prudenza anche ai pessimisti. Joe Donahue, gestore di hedge, ha detto al Wall Street Journal che intende andare short su Linkedin e probabilmente lo farà attraverso le opzioni. Ha tuttavia precisato che si muoverà con operazioni di piccole dimensioni proprio per non restare scottato.

Gli interrogativi sulle prospettive di Linkedin sono anche di più ampio respiro. «Credo che società come Linkedin sopravviveranno, lo spazio Internet ha oggi modelli di business più solidi del passato, ma i rischi sono innegabili, come pure la speculazione», dice Paul Edelstein, strategist di Decision Economics. Volatilità e dubbi sono il verbo anche di molti analisti finanziari. Rick Summer di Morningstar considera l'incertezza sull'azienda «alta», sufficiente a scrivere nel primo rapporto su Linkedin di comunque «considerare la vendita» dei titoli sopra quota 45,90.


LINKEDIN
Per gli investitori, oltre alle perpessità sulla corsa di bilanci pure in crescita e sui multipli della valutazione, si staglia all'orizzonte l'ipotesi di diluizioni del titolo: i dipendenti di Linkedin sono in possesso di 18 milioni di opzioni sui titoli, a un prezzo medio di esercizio di sette dollari. A quotazioni simili alle attuali, oltretutto, farebbero volare la valutazione della società a dieci miliardi, un incremento del 17 per cento. Non basta: dipendenti e investitori della prima ora potranno cominciare a vendere azioni pre-ipo fra sei mesi, alla fine del periodo di lock-up: il rischio è che, a quotazioni elevate, possa avere il sopravvento il desiderio di incassare, con vendite che potrebbero condannare agli incubi chi ha pagato prezzi da sogno per Linkedin.


3 - BOLLA-LINKEDIN: 1.000 ANNI DI UTILE PER IL COSTO DI UN TITOLO...
Vittorio Carlini per "Il Sole 24 Ore"

Tra più di un millennio Linkedin ci sarà ancora? La domanda sembra folle. Eppure, ha una sua giustificazione. Da new economy, ovviamente. Guardando al rapporto tra il prezzo e gli utili del social network fresco di quotazione, si inciampa infatti in numeri che hanno dell'incredibile: a seconda di come vengono stimati i profitti si passa da un P/e (price/earning) di 976 a uno addirittura di 1.200. Numeri virtuali, da fantascienza. Anche perché, da un punto di vista temporale, il price/earning indica quanti esercizi, a parità di profitti, sarebbero necessari per ripagare quel determinato prezzo in Borsa. Per l'appunto, più di un millennio. Quindi, perché il meccanismo funzioni, la società dovrà essere ancora presente e in piena forma nel quarto millennio.

Al di là del calcolo, il multiplo indica con una certa sicurezza la presenza di una bolla sul titolo. Di questo, peraltro, sembra convinto lo stesso mercato: molti broker hanno aumentato le raccomandazioni di vendita allo scoperto, scommettendo sul ribasso. Anche fino a 60 dollari.


LINKEDIN
Quotazioni che entrano in orbita con multipli "virtuali" da capogiro. D'altro canto «this is the new internet, baby». Dopo il boom nel primo giorno di quotazione (+109%), le prime indicazioni sui ratio di Linkedin hanno il sapore dell'incredile.

Secondo il terminale Bloomberg, per esempio, che indica una capitalizzazione di 8,126 miliardi di dollari, il P/e del social network è indicato addirittura oltre 1.200. Il numero è impressionante: il prezzo diviso l'utile per azione, infatti, può essere interpretato anche da un punto di vista temporale. Cioè, ipotizzando profitti stabili, indica quanti esercizi sarebbero necessari per ripagare quel determinato prezzo. Secondo il calcolo di Bloomberg oltre 1.200. In parole povere, dovrebbe scorrere un millennio e più: altro che visione corta di Borsa...

Ciò detto, in simili casi, vanno sempre analizzati due aspetti. Da un lato, l'andamento del titolo: se questo, dopo essere entrato in orbita, come appare probabile scenderà, giocoforza anche il P/e sarà spinto all'ingiù.

Dall'altro, bisogna capire bene come viene stimato l'utile per azione: banale dire infatti che, a seconda dei metodi di calcolo, i profitti previsti possono scendere o salire. E più si abbassa la previsione sugli utili (il denominatore della frazione) più il P/e cresce. Così, analizzando i dati forniti da Reuters il fatidico "numerino" diminuisce, un po'. A fronte della medesima capitalizzazione 8,126 miliardi di dollari, e annualizzando gli utili netti del primo trimestre 2011 (2,08 milioni), il price earning che salta fuori è poco sopra 976. La riduzione degli esercizi "necessari", per ripagare il prezzo, cala più di 200 anni. Tuttavia, il numero che rimane ha sempre dell'incredibile. Insomma, agli attuali prezzi, il P/e di Linkedin segnala una chiara bolla.


Ma non sono solo i multipli in stile bubble-dotcom del 2000 a far discutere. È ancora polemica, infatti, tra le banche collocatrici (JpMorgan, Bank of America Merrill Lynch, Morgan Stanley), il mercato e gli stessi fondatori del social network professionale. Gli istituti di credito sono accusati di aver sottovalutato la società (il prezzo dell'Ipo è stato di 45 dollari) e di aver quotato giovedì scorso un numero troppo esiguo di azioni (il 9% del capitale). Un mix di condizioni che ha fatto balzare il titolo, riempiendo sì le tasche ai clienti istituzionali dei collocatori, ma di fatto non facendo salire sul razzo della quotazione il fondatore di Linkedin Reid Hoffman e gran parte del mercato. Quello stesso mercato che si interroga sulla finalità di simili operazioni. L'Ipo, in teoria, dovrebbe servire a raccogliere capitali per far crescere l'azienda e non solo per ingrossare il portafoglio di istituzionali o delle fee bancarie.


LINKEDIN SI QUOTA IN BORSA

4 - CHI È IL FONDATORE DI LINKEDIN, REID HOFFMAN...
Angelo Aquaro per "Affari e Finanza - la Repubblica"

Con quel faccione alla Michael Moore, pacioso solo all'apparenza, Mr. Linkedin spostò tutto il suo peso sul palco dell'ultimo South By Southwest, la convention di Austin che ogni anno propone il meglio del futuribile tra scienza e finanza, e sbottò con l'autorità riconosciuta dalla sua autorevolezza: "Ma di che cosa stiamo parlando?". La platea di giovani creativi e aspiranti milionari si zittì. "Per tutti gli anni 50 e 70 ci hanno riempito la testa di macchine volanti, di robot, di computer che avrebbero espanso i confini della nostra mente...". Pausa. Spasmodico silenzio.

Ripresa. "Ci siamo ritrovati invece con i cartoons dei Pronipoti. E nulla di quello che avevano previsto s'è avverato". Grande, grandissimo, immenso: in un nome e cognome soli, Reid Hoffman. Non sono passati neppure due mesi dall'exploit di Austin che il ciccione più famoso della Silicon Valley s'è già espanso lui sì dai confini autorevoli ma angusti del suo profilo di guru di Internet per entrare in quelli infinitamente più comodi del primo neomiliardario della nuovissima bolla hitech.

Intendiamoci: sono dieci anni che il buon Reid bazzica l'ambiente e il suo portafoglio era già tra i più alti della new economy. Ma da giovedì 19 maggio una data che è già entrata nella leggenda, e gli storici della finanza diranno se nel bene o nel male l'uomo che fondò Linkedin, la Facebook del business, è entrato ufficialmente nell'ambitissima classifica dei miliardari di Forbes: i 400 che reggono le magnifiche sorti e progressive dell'economia mondiale.


LINKEDIN SI QUOTA IN BORSA
Altro che Pronipoti. Altro che i cartoni animati di Hanna & Barbera. Il signor Hoffman l'aveva dichiarato bello forte laggiù tra i cowboys di Austin: "Il futuro si sta avverando molto prima di quanto pensassimo. Ed è molto più strano di quanto lo immaginassimo. Non robot ma dati. Informazione. Informazioni....". Mai previsione fu più azzeccata. Con le informazioni raccolte nella megarubrica di Linkedin 100 milioni di iscritti, una crescita dell'87 per cento in un anno, il più grande database dove le imprese di tutto il mondo pescano le informazioni su manager & Ceo il fondatore e presidente del social forum del business è entrato trionfalmente a Wall Street.

Mettendo a segno la prima grande Ipo della Silicon Valley dieci anni dopo il boom che portò però anche al crollo. Un successo a dire poco straordinario. Le azioni che all'inizio del mese erano state valutate intorno ai 30 dollari sono state scambiate oltre i 100. Una ipervalutazione che supera il 300 per cento. Una performance spettacolare che ha fatto balzare una compagnia da 15 milioni di dollari di ricavi e che due anni fa non raggiungeva il valore di mezzo miliardo alla stratosferica cifra di 10 miliardi. Un successo senza precedenti che dimostra l'incredibile appetito che gli investitori hanno per i nuovi protagonisti dell'hitech: le compagnie che hanno fatto del prefisso "social" la ragione del loro business.

L'appetito per la verità è l'unica cosa che da sempre non manca al buon Reid. Provate a chiedere ai camerieri di Hobee. Il ristorantino è a metà strada tra la casa di Palo Alto e l'ufficio di Mountain View. E qui il miliardario più fresco del mondo si ferma ogni mattina nel tragitto di 12 minuti col suo Suv per tuffarsi sul prelibatissimo Santa Cruz Scramble: uova, salsa piccante e cuori di carciofo. D'altronde una botta di proteine ci vuole se ti sei buttato giù dal letto alle 6.30 e un quarto d'ora dopo sei già in preghiera davanti all'unico dio che hai sempre adorato: il computer per controllare l'email. Perché questa in fondo è la vita che da anni conduce il professor Hoffman. Non c'è nulla del glamour di Wall Street. Ma neppure nulla delle follie posthippy della Silicon Valley.


LINKEDIN SI QUOTA IN BORSA
Prendete appunto la sua creatura: Linkedin. La sede è lì proprio a due isolati dal GooglePlex di Mountain View: ma nei suoi uffici non c'è nulla del caos incredibilmente ordinato che fa girare la macchina di Larry Page & Sergej Brin. Tutta un'altra cultura. Nel senso vero del termine.

In questo mondo di ingegneri e squali finanziari il curriculum di Reid Hoffman svetta come una contraddizione in termini. Già dal luogo di nascita: Stanford, California. La patria dell'Università che ha sfornato più intellettuali che genietti della vicina Silicon Valley. E infatti la carriera di Reid, classe 1967, sembrava diretta verso tutt'altre fortune. Che a dire il vero il papà famoso avvocato non è che guardasse di buon occhio.

Che cosa te nei fai, all'alba degli anni 90, nella California che scoppia di hitech, di una laurea in filosofia? Con la tesi in "sistemi simbolici", poi: tutti si affrettano a fare montagne di dollari sui computer e tu ti permetti di discettarci su? Per non parlare di quell'altra idea pazza e perseguita di andarsi a specializzare a Oxford: in quell'Europa che mica per niente si continua a chiamare Vecchia.

Ma Reid doveva dimostrarsi uomo dal multiforme ingegno: anche per il suo papà che pure l'ha sempre assecondato lasciandogli comunque aperta, nel caso, la porta principale del suo ufficio legale. Non ce n'è stato bisogno. E stato lo stesso ragazzone a mandare alle ortiche i suoi piani. La vecchia confessione a "Director Magazine" suona ancora oggi come un'altra profezia. "Sì, appena uscito da Stanford volevo avviarmi a una carriera di professore e pubblico intellettuale.

Ma mica per finire a citare Kant. Volevo davvero concentrarmi nella lettura della società e aiutare la gente a chiedersi: chi siamo? Dove stiamo andando come individui e come società? Poi ho capito che gli accademici scrivono libri che alla fine vengono letti da 50 o 60 persone in tutto. E io volevo molto più impatto".

Alla faccia: anzi al faccione. Convertito sulla via della Silicon Valley il ragazzone di Stanford ne infila una dopo l'altra. I suoi sistemi simbolici si trasformano in un sistema molto concretamente ancorato negli affari. Si reinventa come product manager per megacompagnie chiamate Apple e Fujtsu: come dire lo yin e lo yang della filosofia d'impresa. E poi trasforma la lezione appresa in esperienza individuale, mettendosi in proprio.

L'idea che gli rimbalza in testa in fondo è però sempre quella filosoficamente appresa a Stanford: cogliere l'anima appunto sociale del web. Per sfruttarla a fini commerciali, s'intende. Oggi Hoffman discetta sulle tre età della rete. La prima Internet dove ciascuno era un'isola dalla quale lanciava messaggi in codice agli altri naufraghi sulle isole di tutto il mondo. Poi l'età 2.0 in cui ci si ritrova tutti straordinariamente connessi. E infine la terza età in cui a trionfare sono appunto i dati: le informazioni scambiate che fanno ricchezza tantopiù se aggregate in collettori sociali come Linkedin.

Sulla ricchezza non c'è ombra di dubbio. Il giochetto dell'ipo ha portato l'altro giorno nelle tasche del suo presidente Hoffman ha lasciato la poltrona di Ceo all'ex Yahoo Jeff Weiner qualcosa come 1 miliardo e 800 milioni di dollari. Naturalmente la via del successo non è solo lastricata di buone intenzioni. Bisognava davvero prenderla con filosofia come forse solo Hoffman era attrezzato a fare nel perseguire l'idea di un social forum del business come Linkedin.


LINKED IN
Non è un caso che mentre in tanti, oggi, sottolineano il rischiobolla legato al superxploit di Wall Street, è toccato proprio a un ex collega di Reid, cioè Joseph Grundfest, professore di business alla Stanford Law School, ricordare che al signorone ci sono voluti dieci anni per costruire la sua creatura. Che Linkedin, nata nel 2003, non è insomma una startup apri e fuggi tipo Pets.com o tutte quelle altre compagnie che adesso già bramano di seguirne l'esempio sperando in affari milionari. Che lo stesso Hoffman è passato prima per la creazione di una società chiamata PayPal e poi negli anni ha piantato le sue azioncine nel fior fiore delle aziende promessa della Silicon Valley: da Facebook a Zynga a Flickr a Digg.

Che in tutto il mondo dell'hitech c'è solo un altro signore che può vantare la fama di "angel investor" superiore alla sua: e cioè l'inventore di Netscape <-> quel Marc Andreessen che questo mese ha fatto bingo con le sue azioni alle stelle dopo l'acquisto di Skype da parte del gigante Microsoft.

E adesso? Adesso l'uomo che ha smascherato le finte promesse dei Pronipoti non ha nessuna intenzione di fermarsi qua. Anzi. Altro che robot. Lui è convinto che la sua rete possa ancora espandersi all'infinito: come in un film di fantascienza. Perché sempre più gente - dice - "vivrà su Facebook: ma lavorerà su Internet". E arrivederci cartoons...

by dagospia

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