- QUANDO MILANO ERA UNA CITTÀ DA BERE
Michele Brambilla per La Stampa
Stefania Craxi - Copyright Pizzi
Basilio Rizzo, della Lista Fo, è ormai rimasto uno dei pochi politici a dire, senza timore di apparire spietato, che Milano a Craxi non deve dedicare alcunché. E non tanto per la corruzione che - Craxi regnante - prosperò, e che Rizzo - consigliere comunale dal 1983 - già da allora denunciò. Quanto perché «dopo di lui la parola socialismo non è più identificata con le lotte dei lavoratori ma con una stagione di pacchiana grandeur».
Con lui il socialismo si identifica con quella "Milano da bere" che era sinonimo di soldi da spendere - spiega Rizzo - Craxi ha tradito non solo la storia del Psi ma anche i comportamenti dei suoi militanti, il loro stile di vita. Con lui i socialisti hanno subìto una mutazione antropologica: dalla sobrietà di un Nenni all'ostentazione del lusso e del potere».
MARIO CALABRESI - copyright Pizzi
«Milano da bere» era un fortunato spot pubblicitario della Ramazzotti, datato 1987. Voleva indicare una città gioiosa, ottimista, desiderosa di uscire dalle nebbie, le luci gialle, i cortei e le violenze dei cupi anni Settanta. Finalmente tornava la vita, la voglia di divertirsi, di produrre, di consumare e di crescere.
Fecero anche dei film, su quel tempo da Bengodi, come Sotto il vestito niente e Via Montenapoleone di Carlo Vanzina. Soldi, champagne, moda, modelle, sesso. Ma fu vera gloria? L'ideatore di quello spot, Marco Mignani, mai avrebbe immaginato che cinque anni dopo la «Milano da bere» sarebbe stata chiamata «Tangentopoli», un neologismo inventato all'epoca dell'inchiesta Mani Pulite. «A bere Milano - ha scritto Massimo Fini - erano solo i socialisti».
CRAXI, BERLUSCONI E PANSECA
Il Psi governava la città dal primo dopoguerra. Ma fu negli anni Ottanta che si verificò, sotto la guida di Craxi, la fortunata congiunzione astrale che consentì al Psi di trovarsi sempre dalla parte di chi governa: a Roma con la Dc e a Milano con il Pci. Senza più intralci, il partito abbandonò la falce e martello per il garofano, la vocazione operaista per quella modernizzatrice e borghese.
craxi e di pietro
Enzo Biagi capì che la «mutazione antropologica» era in corso già nel 1983, quando Craxi diventò presidente del Consiglio: «È l'ora di Craxi: di sicuro, di strada ne è stata fatta dagli scamiciati di Pelizza da Volpedo alle cravatte Regimental della giovane guardia Psi». A Milano ricordano una battuta che testimonia quel cambiamento. Viene attribuita a Matteo Carriera, un ex autista del sindaco Carlo Tognoli che diventò presidente dell'Eca Ipab, uno degli storici istituti di assistenza milanesi: «Ora non mangio più alla mensa ma al ristorante».
vanoni ornella GB
E la «Milano da bere» socialista aveva i suoi, di ristoranti, quasi tutti concentrati fra Brera e la confinante zona-Corriere. Il Matarel di via Mantegazza Solera, la Trattoria dell'Angolo in via Fiori Chiari, il Garibaldi di via Monte Grappa. Era la zona dove già negli anni Sessanta si radunavano i socialisti di «fascia alta», intellettuali e imprenditori: al bar Jamaica di via Brera, storico locale degli artisti, e al club Turati del giovane Carlo Ripa di Meana.
Ma negli Anni Ottanta l'egemonia sulla città diventò totale. Con Craxi regnante, al tempo dei grandi congressi con le scenografie dell'architetto Filippo Panseca, il Psi godeva dell'appoggio di tutti quelli che a Milano contavano. Del mondo della moda: Nicola Trussardi («Facevo l'imprenditore a Milano e a Milano governavano i socialisti, gli interlocutori erano loro», dirà in un'intervista del 1993, in piena Mani Pulite), Santo Versace, Krizia.
hampton 03
Del mondo della cultura e della scienza: per intenderci, da Giorgio Strehler a Umberto Veronesi; dal Paolo Grassi del Piccolo alla Scala e alla Rai. Del mondo dello spettacolo: da Milva a Caterina Caselli a Ornella Vanoni. «Ridateci il ciccione - ha detto la Vanoni in un'intervista a La Stampa nel 2007 - che ci ha fatto vivere gli anni Ottanta come se fossimo ricchi e felici».
La dolce vita si rifletteva nei comportamenti privati di politici e professionisti non proprio conformi allo stile di un tradizionale «compagno». Come l'assessore Walter Armanini, che condannato in via definitiva riparò all'estero con la modella Demetra Hampton (dalle canoniche misure: 90-60-90), l'attrice che interpretò sugli schermi la Valentina di Crepax e che lui, Armanini, chiamava «scimmietta».
O come l'architetto Silvano Larini, raffinato bon vivant che per i magistrati era il grande raccoglitore di tangenti. Quando, al processo Cusani, Di Pietro gli chiese in quale orario si svolse una certa cena-con-mazzetta, Larini rispose: «Per me ora di cena è all'uscita dalla Scala». Dall'abitazione di via Foppa 5 al superattico di viale Coni Zugna (dove custodiva i cimeli garibaldini) all'ufficio di piazza Duomo 19, Craxi tutto dominava.
mario chiesa
Fu solo un'orgia di potere, come dicono i detrattori? È probabile che no, non fu solo quello. Ma è ancora forte il ricordo di quando la «Milano da bere» si svegliò con le manette ai polsi di uno dei potenti socialisti del tempo, Mario Chiesa, beccato con le mani nelle banconote.
«È solo un mariuolo», cercò di tagliere corto Craxi. Ma i tempi erano cambiati. Per una magistratura e una stampa che prima non sempre avevano voluto vedere; per quegli imprenditori che, stanchi di pagare, andarono in pellegrinaggio da Di Pietro; per un clima politico generale che stava cambiando, e forse ancor di più per un destino che è sempre lì a ricordarci che, per tutti, passa la scena di questo mondo.
2 - LETTERA DI STEFANIA CRAXI A "LA STAMPA"
Caro Direttore, c'era proprio bisogno di dare una mano all'Onorevole Di Pietro ed a tutti gli sfascisti che prendono a pretesto i giusti onori che spettano a Bettino Craxi per inscenare l'ennesima campagna di odio e di violenza?
Non mi aspettavo che proprio il Suo giornale rinverdisse il furore mediatico contro i socialisti in cui si distinse durante la tragedia di Mani Pulite, una storia oscura ancora tutta da chiarire. L'articolo di Michele Brambilla, cui dedica la prima pagina, è un concentrato di tutti i luoghi comuni, le fandonie, le imbecillità messe in circolo contro Craxi e contro i socialisti al tempo della congiura che li ha dispersi.
Di Pietro si Dimette - 6 dic 1994
Ma il buon governo dei sindaci socialisti segna ancora oggi il volto di Milano, come il buon governo di Craxi, che ha portato fra i Grandi della Terra un Paese in ginocchio, è tuttora un esempio non imitato.
I personaggi che il signor Brambilla mette alla berlina non sono scrocconi, sono uomini e donne che hanno fatto l'Italia. Craxi ha avuto fiducia nei nostri stilisti e Milano ha soppiantato Parigi come capitale della moda; ha avuto fiducia nella nostra agricoltura e la dieta mediterranea ha invaso il mondo; ha avuto fiducia nella genialità degli italiani e quattro milioni di piccole imprese hanno costruito l'Italia industriale; ha avuto fiducia nei nostri artisti ed essi hanno conquistato una platea internazionale.
Se la Fiat non gradisce la forte eredità craxiana che c'è nel Popolo della Libertà e nel Governo Berlusconi, lo dica chiaramente con dignità, coraggio e parole appropriate. Ma eviti la meschinità di ramazzare nella spazzatura muffa di un tempo lontano.
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RISPONDE MARIO CALABRESI -
Dal 23 dicembre a ieri abbiamo scritto per ben nove volte di Bettino Craxi, dando per primi la notizia della commemorazione che si terrà a dieci anni dalla scomparsa dell'ex leader del Psi con un ricordo del presidente della Repubblica. Sono seguite interviste di ogni tipo, da Formica a Fassino fino agli elogi per il Concordato e il riformismo di Craxi venuti dal direttore dell'Osservatore Romano Vian.
Un dibattito sereno e serio a cui ieri si è aggiunto l'articolo di Michele Brambilla in cui si raccontava come gli ultimi anni del craxismo milanese fossero segnati da innegabili eccessi.
Non si capisce come si possa vedere in tutto ciò «odio, violenza e dipietrismo». Il lettore giudichi, se vuole, dove siano presenti anche nel pezzo di Brambilla. Quanto al «dipietrismo», esso è di solito sinonimo di giustizialismo, cioè di un modo di giudicare la politica solo in base alle vicende giudiziarie.
Ebbene, nell'articolo non c'era una sola riga dedicata alle condanne definitive subite da Craxi (5 anni e 5 mesi per tangenti Eni-Sai, 4 anni e 6 mesi per tangenti alla metropolitana milanese; più una condanna a 4 anni per il finanziamento illecito All Iberian coperta, quest'ultima, dalla prescrizione); né c'è una sola riga delle innumerevoli condanne subite da moltissimi esponenti del Psi milanese. Dov'è, dunque, il dipietrismo?
Nell'articolo, a proposito della «buona amministrazione milanese» che Stefania Craxi rivendica - e non fatichiamo anche a riconoscere il buono che le giunte a guida socialista fecero alla città - non si fa riferimento neppure ai costi esorbitanti delle opere pubbliche realizzate da quelle giunte: ad esempio, dal fatto innegabile e oggettivo che la metropolitana milanese è costata il triplo di quanto è costata altrove. Così come non s'è fatto cenno, sempre a proposito del buon governo, del più che raddoppiato debito pubblico a livello nazionale sotto la gestione Craxi.
L'articolo era solo la ricostruzione di un clima più che altro di costume, e che non necessariamente va letta in negativo: nessuno degli stilisti o degli artisti citati è stato messo alla berlina. Si è riflettuto sulla «mutazione antropologica» del militante socialista durante la gestione Craxi. E non si può descrivere l'Italia ereditata dal segretario socialista come fosse quella presa e trasformata da Alcide De Gasperi alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Cosa c'entri poi la Fiat in tutto ciò è assolutamente incomprensibile (gli articoli favorevoli a Craxi allora come andavano interpretati?) ed è segno di una concezione dell'informazione tutta manovrata dal complottismo. Una concezione che non ci appartiene.
[04-01-2010]
by dagospia
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