l processo di Brescia nuovi veleni e contraddizioni: " Mai ricevute pressioni dall' ex pm " . L' avvocato Dinoia: e' la pietra tombale sulle accuse di concussione
Gorrini alza il velo sui " favori " di Tonino
L' ex padrone della Maa: " Gli chiesi di rilasciare i miei amici Ligresti e Araldi. . . "
----------------------------------------------------------------- Al processo di Brescia nuovi veleni e contraddizioni: "Mai ricevute pressioni dall' ex pm". L' avvocato Dinoia: e' la pietra tombale sulle accuse di concussione Gorrini alza il velo sui "favori" di Tonino L' ex padrone della Maa: "Gli chiesi di rilasciare i miei amici Ligresti e Araldi..." DAL NOSTRO INVIATO BRESCIA - Giancarlo Gorrini alza il tiro su Di Pietro. Resta fermo nelle sue accuse, ne aggiunge di nuove, ne sottolinea altre. Ma dal lungo botta e risposta con il pubblico ministero, tra contraddizioni e "non ricordo", ne esce un po' traballante. E va ancora in scena la commedia degli equivoci. Il pg Raimondo Giustozzi che in questo strano processo ha sostituito a dibattimento gia' avviato Salamone e Bonfigli non fa nulla per nascondere la sua poca propensione a credere nel complotto per il quale quattro imputati - Berlusconi, Previti, Dinacci e De Biase - sono stati rinviati a giudizio. Tratta Gorrini come un imputato invece che come testimone dell' accusa e arriva anche a uno scontro con il tribunale: chiede di rinunciare ad alcuni testimoni gia' ammessi, la richiesta viene respinta, ma lui promette che tornera' alla carica nella prossima udienza. Alla fine, un avvocato confessa: "Piu' che un pm sembrava un difensore di Di Pietro". Gorrini ha molta voglia di parlare e dal palcoscenico di Brescia lancia bordate senza temere smentite: "Se le cose che ho detto non sono vere, Di Pietro mi quereli pure. Sino ad oggi non lo ha fatto". Ma Massimo Dinoia, l' avvocato di Tonino, quando esce dall' aula nonostante tutto e' soddisfatto: "Le dichiarazioni di Gorrini - dice - sono la pietra tombale delle accuse di concussione mosse ad Antonio Di Pietro. Lo stesso Gorrini ha infatti ribadito che non ci furono minacce nei suoi confronti". Lui, Pupi, il grande accusatore, arriva con una borsa piena di documenti e inizia a raccontare i suoi rapporti con Di Pietro partendo dalla fine degli anni Ottanta. Un' amicizia che attraverso' tre momenti diversi. Sino al ' 93 c' era grande confidenza, dice lui. Gli aveva dato anche quei cento milioni che il pm gli aveva personalmente chiesto per sistemare una casa a Curno. In piena Mani pulite Pupi poteva permettersi anche di fare irruzione nell' ufficio di Tonino chiedendogli di scarcerare imputati come il commercialista Roberto Araldi o il costruttore Salvatore Ligresti. Poi Gorrini dice che, dalla primavera ' 93, ruppe ogni rapporto con Tonino. "Gli dissi: "Ti sei montato la testa. Dove vuoi arrivare? Stai rovinando l' Italia. Tu arresti persone che non sono avanzi di galera, anche gli amici, e li rimetti fuori dopo tre giorni". Me ne andai sbattendo la porta". La "fase tre" arriva nell' autunno del ' 94 quando Gorrini parla del prestito e della Mercedes a Paolo Berlusconi e, il 23 di novembre, racconta tutto agli ispettori ministeriali. Con quel gesto, visto che lo scontro Fininvest - Procura di Milano era arrivato al culmine, Pupi pensava piu' che altro di ottenere "contropartite" da Paolo Berlusconi, cioe' un appoggio autorevole nella vertenza civile sulle azioni della Maa assicurazioni che lo contrapponeva alla Banca popolare di Novara. Ma poi non ebbe neppure quello. Quando, nel maggio ' 95, il pm Fabio Salamone apri' un' istruttoria sulle accuse di Gorrini contenute nell' inchiesta ministeriale archiviata appena Di Pietro lascio' la toga, Gorrini si ritrovo' solo ad accusare l' ex pm di Mani pulite e alla fine il gip archivio' tutto. Ma ieri, davanti al tribunale, ha ribadito tutto. Sfumando il ruolo di Paolo Berlusconi ("mi disse solo di agire secondo coscienza") e rivelando che una terza misteriosa persona, oltre a Ugo Dinacci e all' ispettore Domenico De Biase, era presente quel pomeriggio del 23 novembre quando si presento' negli uffici dell' ispettorato di Roma. Nessun cenno a un eventuale intervento di Cesare Previti. Sulla storia dei cento milioni, Gorrini ha insistito nel dire che per lui non si trattava di un prestito ma di un "regalo", cosi' come avvenne per la Mercedes. E ha precisato che non subi' pressioni da Di Pietro, ma accolse le sue richieste solo per amicizia. Sui particolari, rispetto alle tre deposizioni rese a Salamone, Gorrini - incalzato dal pg Giustozzi che mostra un perenne scetticismo - spesso si contraddice ma il nocciolo resta intatto. E, non riuscendo a sparare l' ultimo veleno in aula, lo fa fuori, con i giornalisti. Racconta di quando seppe che l' immobiliarista Renato Della Valle, con cui aveva in ballo un affare, poteva essere arrestato. "Corsi da Di Pietro e lui cerco' subito al telefono il pm di Roma Vinci. Riprovo' 4 volte e alla fine riusci' a rintracciarlo sul cellulare mentre stava facendo un interrogatorio in carcere". Prima di Gorrini era stato sentito il suo ex legale, Mario Donzelli, che ha ricostruito - sulla base delle confidenze che gli fece il suo cliente all' epoca dei fatti - i passaggi che portarono alla deposizione davanti agli ispettori. Osvaldo Rocca, ex braccio detro di Gorrini e amico di Di Pietro, si e' invece avvalso della facolta' di non rispondere.
Corvi Luigi
Pagina 3
(3 dicembre 1996) - Corriere della Sera
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