- GIORDANO RIVELA TUTTE LE VERGOGNE DELLA PREVIDENZA...
Da "il Giornale" - C'è il pensionato Inps più ricco d'Italia: 90mila euro al mese. L'onorevole che è stato in Parlamento un solo giorno e potrà contare per tutta la vita su una pensione da deputato. L'ex premier che ha tagliato le pensioni altrui e ne ha ottenuta per sé una da 31mila euro al mese. L'ex capo di Stato che, oltre al vitalizio, incassa 4766 euro al mese come ex magistrato, pur avendo svolto questa attività per soli 3 anni.
SANGUISUGHE DI MARIO GIORDANO
E poi le baby pensioni, le pensioni ai mafiosi, le doppie, triple e quadruple pensioni: è la casta dei pensionati d'oro, per i quali la legge viene applicata con sorprendente rapidità, mentre centinaia di comuni cittadini devono attendere anni per veder riconosciuti i loro diritti previdenziali. In Sanguisughe (Mondadori, 176 pagg, 18,50 euro), in libreria dal 5 aprile, Mario Giordano ci guida nel labirinto degli scandali della previdenza italiana: un buco nero che grava sulle spalle dei contribuenti e mette a rischio il loro futuro.
Luca Telese per "il Fatto quotidiano"
UMBERTO BOSSI E SUA MOGLIE MANUELA MARRONE
La notizia è di quelle a cui ci ha abituato questo Paese, afflitto dalla maledizione dei paradossi, degli sprechi, e delle ingiustizie sancite per decreto e controfirmate con i sigilli di ceralacca. La notizia è questa: la moglie del nemico giurato di Roma, la moglie del guerrigliero indomito che si batte contro lo Stato padrone e che fa un vanto di denunciare gli sprechi dello Stato assistenzialista, è una baby pensionata. Proprio così, avete letto bene.
La moglie di Umberto Bossi, Manuela Marrone, riceve un trattamento previdenziale dal lontano 1992, da quando, cioè, alla tenera età di 39 anni, decideva di ritirarsi dall'insegnamento. Liberissima di farlo, ovviamente, dal punto di vista legale: un po' meno da quello dell'opportunità politica, se è vero che suo marito tuona un giorno sì e l'altro pure contro i parassiti di Roma. E si sarebbe tentati quasi di non crederci, a questa storia, a questo ennesimo simbolo di incoerenza tra vizi privati e pubbliche virtù, se a raccontarcela non fosse un giornalista a cui tutto si può rimproverare ma non certo l'ostilità preconcetta alla Lega Nord e al suo leader.
BOSSI, RENZO
Eppure nello scrivere il suo ultimo libro inchiesta ("Sanguisughe", Mondadori, 18 euro, in uscita martedì prossimo), Mario Giordano deve essersi fatto una discreta collezione di nemici, se è vero che l'indice dei nomi di questo libro contiene personaggi noti e ignoti, di destra e di sinistra, gran commis e piccoli furbi, una vera e propria pletora di persone che a un certo punto della loro vita, anche se molto giovani, hanno deciso di vivere alle spalle della collettività e di chi lavora, approfittando dei tanti spifferi legislativi che il Palazzo ha generosamente concesso in questi anni.
Il libro di Giordano (sottotitolo: le pensioni d'oro che ci prosciugano le tasse) però ha un attacco folgorante. Ed è la riproduzione dell'estratto conto di una pensione di 78 centesimi. Una incredibile "busta paga" autentica che nasce così: "Pensione lorda 402,12 euro, trattenute Irpef 106,64 euro, saldo Irpef 272.47, addizionale regionale 23.00, arrotondamento 0.78.
Totale: 0.78". Scrive Giordano: "Quando uno Stato si accanisce su una pensione minima di 402 euro (che è già una miseria) e la riduce a 0.78 centesimi (che è appunto un insulto) mentre lascia inalterati i supervitalizi dei parlamentari, il loro insindacabile diritto al cumulo, o gli assegni regalati a qualche burocrate d'oro, ebbene, noi non possiamo far finta di niente".
CARLO DE BENEDETTI
Allora, forse, si può leggere questo libro saltando da un assurdo all'altro. Dalla "pensione centesimale" a quella della signora Marrone in Bossi, che è - in Italia - non un caso isolato, ma una delle 495.000 persone, come racconta il direttore dell'agenzia NewsMediaset, "che ricevono da anni la pensione senza avere i capelli grigi e senza avere compiuto i sessant'anni di età". Nel 1992, quando la Marrone aveva 39 anni, Bossi attaccava "la palude romana" e chiedeva di cambiare. "Come no? - chiosa Giordano - Il cambiamento, certo. E intanto la baby pensione, però".
CESARE ROMITI
Manuela Marrone, seconda moglie di Bossi, siciliana d'appartenenza attraverso il nonno Calogero "che arrivò a Varese come impiegato dell'anagrafe e finì deportato nei lager nazisti, dopo aver aiutato molti ebrei a scappare" custodì Bossi nella convalescenza dopo l'ictus e favorì l'ascesa del figlio Renzo. "Fra le attività che ha seguito con più passione - annota Giordano - la scuola elementare Bosina, da lei medesima fondata nel 1998, ‘la scuola della tua terra', che educa i bambini attraverso la scoperta delle radici culturali, anche con racconti popolari, leggende, fiabe, filastrocche legate alle tradizioni locali.
CELENTANO
E sarà un caso che nelle pieghe della Finanziaria 2010, fra tanti tagli e sacrifici, sono stati trovati i soldi per dare un bel finanziamento, (800 mila euro) proprio alla Bosina?". Tutto sembrerebbe fuorché un caso. La signora Bossi, d'altronde, ha molto tempo libero perché riceve un vitalizio regolarmente. "Aveva diritto a prendere i suoi 766,37 euro al 12 di ogni mese, ha diritto a percepire l'assegno, che in effetti incassa regolarmente da 18 anni, da quando suo figlio Renzo, il Trota, andava in triciclo, anziché andare in carrozza al consiglio regionale" (Già, perché se tra pensione, parlamento e Regione, se non ci fosse lo Stato assistenzialista, il reddito di casa Bossi passerebbe da quasi trecentomila euro a zero).
RAFFAELLA CARRA CARRAMBA CHE FORTUNA LAP
Ma Manuela non è sola: il corposo capitolo sui baby pensionati si apre con la storia di Francesca Z., che si è messa a riposo nel 1983, quando aveva appena 32 anni ("L'ex collaboratrice scolastica ha già ricevuto dallo Stato 280 mila euro, cioè 261 mila euro più di quanto abbia versato in tutta la sua carriera - si fa per dire - lavorativa"). E prosegue con i casi di Carlo De Benedetti (in pensione a 58 anni), Cesare Romiti (2.500 euro a 54: ai tempi della marcia dei quarantamila, nel 1980, era pensionato da tre anni!). Ma non mancano i grandi moralisti.
Y CAN31 CARLO CALLIERI
Adriano Celentano è in pensione da quando aveva 50 anni. Oppure le artiste: Raffaella Carrà e Sophia Loren (in pensione da quando avevano 53 anni) e i duri come Carlo Callieri (l'ex uomo forte della Fiat) che prende la bellezza di 5 mila euro al mese da quando aveva 57 anni. Ecco perché, in mezzo a questa selva di nomi il consiglio è di non leggere i capitoli sulle pensioni onorevoli, sulle pensioni d'oro, e sulle pensioni truffa. Vi incazzereste troppo.
by dagospia
giovedì 31 marzo 2011
NPS INPS HURRÀ! - LA MOGLIE DEL NEMICO DI ROMA LADRONA, TALE BOSSI, CIUCCIAVA ANCORA IL BIBERON E GIÀ RISCUOTEVA IL VAGLIA DELLA PENSIONE! A 39 ANNI, IN ITALIA, SI PUÒ! – MARIO GIORDANO NEL SUO ULTIMO LIBRO “SANGUISUGHE” SCODELLA UNA LISTA DI BABY-PENSIONATI CHE COMPRENDE CELENTANO, DE BENEDETTI, CESARE ROMITI, RAFFAELLA CARRÀ, SOPHIA LOREN, CARLO CALLIERI - POI C’È IL CASO DEL DISGRAZIATO MORTALE, CHE TRA TRATTENUTE E SALDO PRENDE 0,78 CENTESIMI…
GOODBYE FIAT, DETROIT TI ASPETTA - MARPIONNE PRESENTA I CONTI AGLI AZIONISTI PER L’ULTIMA ASSEMBLEA ITALIANA: SE IL SUO PIANO DI COMPRARE IL 51% DI CHRYSLER ENTRO L’ANNO VA IN PORTO, NEL 2012 I RISULTATI SARANNO COMBINATI - COSÌ IL PROGRESSIVO "SVUOTAMENTO" DELLA FIAT, CHE CONTINUA A PERDERE QUOTE DI MERCATO, SARÀ ANNACQUATO (E ASSORBITO?) IN CHRYSLER, IN RISALITA GRAZIE AI MILIARDI DI OBAMA E ALLA RIPRESA AMERICANA…
Stefano Caselli e Stefano Feltri per "il Fatto quotidiano"
L'ultima assemblea degli azionisti della storia della Fiat, almeno di quella che abbiamo conosciuto fino ad ora, non passerà di certo alla storia. È una breve, stanca liturgia. Soltanto pallida copia delle maratone oratorie dei tempi dell'Avvocato Gianni Agnelli. Oggi i piccoli azionisti non hanno che cinque minuti a testa per esprimere le proprie osservazioni e quando il tempo scade, inesorabilmente, il microfono smette di funzionare.
MARCHIONNE SALUTA A PUGNO CHIUSO
"Centodieci anni fa - proclama fiero il presidente John Elkann, che per un giorno ruba la scena all'ad Sergio Marchionne - la prima assemblea si riuniva in corso Dante. Oggi Fiat torna a essere quella che era in origine: un'azienda che produce soltanto automobili". I nuovi modelli sono parcheggiati fuori, nei corridoi del centro congressi del Lingotto: le Lancia Flavia, Ypsilon, Voyager e Thema (nel nuovo look american style), L'Alfa Romeo Giulietta, la Jeep Grand Cherokee, una Cinquecento, la Ferrari Ff e la Maserati Mc.
CONCESSIONARIA CHRYSLER
Per raggiungere gli ambiziosi risultati di produzione annunciati da Sergio Marchionne per il 2014 non resta che venderle. Che Fiat sia in grado di farlo è un dubbio che arrovella un azionista particolarmente audace: "Non siamo qui a farci prendere per il culo - urla in faccia all'ad - state raccontando un sacco di balle. Come si fa ad arrivare a 1,6 milioni di auto prodotte in Italia, il triplo di oggi, se lei continua a fare la guerra a tutti gli stabilimenti"?
CHRYSLER
C'è un piccolo gruppo che annuisce, ma si tratta per lo più di professionisti d'assemblea, in grado di far (quasi) perdere la pazienza perfino al sempre sorridente Elkann. Per il resto, gli azionisti votano al 99,98 per cento l'approvazione del bilancio 2010 e la destinazione dell'utile di esercizio, con qualche isolato mugugno sull'esiguità del dividendo rispetto all'anno precedente.
Marchionne è ancora assai popolare, qui, quasi nessuno ha visto Report domenica sera e l'eventualità che la testa della Fiat voli oltreoceano non è cosa che preoccupi più di tanto: "Un'azienda non è un ente di beneficenza - dice un anziano azionista - deve fare utili. Se qui o in America, poco importa".
Ma che nella testa di Sergio Marchionne ci sia più Detroit che Torino risulta abbastanza evidente: "Puntiamo a raggiungere il 51 per cento in Chrysler entro fine anno", ha ribadito per l'ennesima volta (oggi la quota è al 25). Le ragioni dell'ottimismo sono tutte in Chrysler dove, secondo quanto riferisce il manager, "adesso in cassa abbiamo una liquidità superiore a quella che è stata data dal Tesoro".
LINGOTTO
Questo significa due cose: che la Chrysler ha buone possibilità di riuscire a restituire i prestiti al governo Usa e a quello canadese e che potrebbe essere presto pronta alla quotazione in Borsa. Quindi diventa più urgente per Fiat arrivare al 51 per cento, perché aumentare la partecipazione quando le azioni saranno scambiate a Wall Street sarà molto più costoso.
La seconda ragione di tanta fretta la suggerisce lo stesso Marchionne, confermando i sospetti dei suoi critici: "Se Fiat arriva al 51 per cento entro la fine di quest'anno, il 2012 avrà risultati che saranno combinati tra Fiat e Chrysler. È obbligatorio". Tradotto: i conti di Fiat Auto saranno annacquati in quelli di un gruppo globale. E tutti gli obiettivi che Marchionne ha promesso di raggiungere in termini di produzione e vendite perderanno di fatto ogni senso, visto che non si potrà più separare l'andamento di Detroit da quello di Torino.
JOHN ELKANN
Perché se tra un anno il giudizio si dovrà dare ancora soltanto sui conti di Fiat Auto (Fiat Industrial avrà un suo bilancio), i risultati rischiano di essere impietosi. Lo sa anche Marchionne che mentre i concorrenti continuano a guadagnare quote di mercato ai suoi danni predica solo pessimismo: "Impossibile fare previsioni sulle quote di mercato. È inutile che ci illudiamo che questo sia un mercato di rose e fiori".
Dal lato dei rapporti con i sindacati, forse proprio perché tanto occupato a Detroit, Marchionne sembra meno bellicoso: ricorda che negli ultimi anni gli impianti italiani hanno lavorato al 54 per cento del potenziale (soprattutto perché di auto non se ne vendevano) e spiega che per le fabbriche di Cassino e Melfi "non c'è urgenza" di applicare il contratto di Mirafiori e Pomigliano. La priorità è quotare Chrysler in Borsa, non piegare la Fiom.
by dagospia
L'ultima assemblea degli azionisti della storia della Fiat, almeno di quella che abbiamo conosciuto fino ad ora, non passerà di certo alla storia. È una breve, stanca liturgia. Soltanto pallida copia delle maratone oratorie dei tempi dell'Avvocato Gianni Agnelli. Oggi i piccoli azionisti non hanno che cinque minuti a testa per esprimere le proprie osservazioni e quando il tempo scade, inesorabilmente, il microfono smette di funzionare.
MARCHIONNE SALUTA A PUGNO CHIUSO
"Centodieci anni fa - proclama fiero il presidente John Elkann, che per un giorno ruba la scena all'ad Sergio Marchionne - la prima assemblea si riuniva in corso Dante. Oggi Fiat torna a essere quella che era in origine: un'azienda che produce soltanto automobili". I nuovi modelli sono parcheggiati fuori, nei corridoi del centro congressi del Lingotto: le Lancia Flavia, Ypsilon, Voyager e Thema (nel nuovo look american style), L'Alfa Romeo Giulietta, la Jeep Grand Cherokee, una Cinquecento, la Ferrari Ff e la Maserati Mc.
CONCESSIONARIA CHRYSLER
Per raggiungere gli ambiziosi risultati di produzione annunciati da Sergio Marchionne per il 2014 non resta che venderle. Che Fiat sia in grado di farlo è un dubbio che arrovella un azionista particolarmente audace: "Non siamo qui a farci prendere per il culo - urla in faccia all'ad - state raccontando un sacco di balle. Come si fa ad arrivare a 1,6 milioni di auto prodotte in Italia, il triplo di oggi, se lei continua a fare la guerra a tutti gli stabilimenti"?
CHRYSLER
C'è un piccolo gruppo che annuisce, ma si tratta per lo più di professionisti d'assemblea, in grado di far (quasi) perdere la pazienza perfino al sempre sorridente Elkann. Per il resto, gli azionisti votano al 99,98 per cento l'approvazione del bilancio 2010 e la destinazione dell'utile di esercizio, con qualche isolato mugugno sull'esiguità del dividendo rispetto all'anno precedente.
Marchionne è ancora assai popolare, qui, quasi nessuno ha visto Report domenica sera e l'eventualità che la testa della Fiat voli oltreoceano non è cosa che preoccupi più di tanto: "Un'azienda non è un ente di beneficenza - dice un anziano azionista - deve fare utili. Se qui o in America, poco importa".
Ma che nella testa di Sergio Marchionne ci sia più Detroit che Torino risulta abbastanza evidente: "Puntiamo a raggiungere il 51 per cento in Chrysler entro fine anno", ha ribadito per l'ennesima volta (oggi la quota è al 25). Le ragioni dell'ottimismo sono tutte in Chrysler dove, secondo quanto riferisce il manager, "adesso in cassa abbiamo una liquidità superiore a quella che è stata data dal Tesoro".
LINGOTTO
Questo significa due cose: che la Chrysler ha buone possibilità di riuscire a restituire i prestiti al governo Usa e a quello canadese e che potrebbe essere presto pronta alla quotazione in Borsa. Quindi diventa più urgente per Fiat arrivare al 51 per cento, perché aumentare la partecipazione quando le azioni saranno scambiate a Wall Street sarà molto più costoso.
La seconda ragione di tanta fretta la suggerisce lo stesso Marchionne, confermando i sospetti dei suoi critici: "Se Fiat arriva al 51 per cento entro la fine di quest'anno, il 2012 avrà risultati che saranno combinati tra Fiat e Chrysler. È obbligatorio". Tradotto: i conti di Fiat Auto saranno annacquati in quelli di un gruppo globale. E tutti gli obiettivi che Marchionne ha promesso di raggiungere in termini di produzione e vendite perderanno di fatto ogni senso, visto che non si potrà più separare l'andamento di Detroit da quello di Torino.
JOHN ELKANN
Perché se tra un anno il giudizio si dovrà dare ancora soltanto sui conti di Fiat Auto (Fiat Industrial avrà un suo bilancio), i risultati rischiano di essere impietosi. Lo sa anche Marchionne che mentre i concorrenti continuano a guadagnare quote di mercato ai suoi danni predica solo pessimismo: "Impossibile fare previsioni sulle quote di mercato. È inutile che ci illudiamo che questo sia un mercato di rose e fiori".
Dal lato dei rapporti con i sindacati, forse proprio perché tanto occupato a Detroit, Marchionne sembra meno bellicoso: ricorda che negli ultimi anni gli impianti italiani hanno lavorato al 54 per cento del potenziale (soprattutto perché di auto non se ne vendevano) e spiega che per le fabbriche di Cassino e Melfi "non c'è urgenza" di applicare il contratto di Mirafiori e Pomigliano. La priorità è quotare Chrysler in Borsa, non piegare la Fiom.
by dagospia
NOMINE IN NOMINE DI LETTA E TREMONTI CON LA RICONFERMA DI SCARONI (ENI) E CONTI (ENEL), SARMI (POSTE) E CATTANEO (TERNA) - SOLO IN FINMECCANICA, O’GUARGUAGLIONE DOVREBBE MANTENERE SOLO LA PRESIDENZA AFFIANCATO DA DUE MANAGER-BADANTI (A SCELTA TRA ORSI, PANSA E ZAMPINI) - LA LEGA SCALPITA PER AVERE UNA POLTRONA PESANTE (LA PRESIDENZA DI TERNA O DI ENEL) - E SOLBES, EX COMMISSARIO UE AI TEMPI DI PRODI, ENTRA NEL CDA ENEL…
Roberto Mania per "la Repubblica"
TREMONTI E GIANNI LETTA DAL RIFORMISTA
Paolo Scaroni e Fulvio Conti saranno confermati ai vertici di Eni e Enel. Così come Flavio Cattaneo a Terna e Massimo Sarmi alle Poste. Resiste Pier Francesco Guarguaglini alla presidenza di Finmeccanica ma sarà affiancato da due amministratori delegati. La soluzione per piazza Monte Grappa potrebbe servire ad accontentare gli appetiti neo-lottizzatori della Lega di Umberto Bossi che punta anche a una presidenza, Enel o Terna.
Il puzzle delle nomine pubbliche è ormai in via di composizione.
PAOLO SCARONI
Martedì notte Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e Giulio Tremonti, ministro dell´Economia, hanno sostanzialmente chiuso il pacchetto. Ieri il ministro è partito per la Cina. Lunedì prossimo gli ultimi ritocchi a ridosso della presentazione delle liste per i consigli di amministrazione. Dove ci sarà anche il nome di Pedro Solbes, già commissario Ue nella squadra di Romano Prodi, poi ministro dell´Economia nel secondo governo di José Luis Zapatero.
FULVIO CONTI
Entrerà nel consiglio di Enel come rappresentante indipendente nelle liste di Assogestioni che ha anche deciso di indicare l´ex ad di Unicredit Alessandro Profumo per il board dell´Eni. La scelta di Solbes risponde alla forte espansione dell´Enel nei mercati latino americani attraverso la controllata Endesa: primo operatore privato in Spagna, Portogallo, Brasile, Argentina, Perù, Colombia, Cile.
MASSIMO SARMI POSTINO
L´ultimo nodo da sciogliere riguarda il "governo" di Finmeccanica. Guarguaglini (74 anni, al secondo mandato) dovrebbe restare presidente ma non più amministratore delegato. L´ipotesi più probabile è che la carica di ad venga divisa tra due manager. E tre sono i candidati: Alessandro Pansa, attuale condirettore generale, uomo di finanza, fortemente sostenuto dal direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli; Giuseppe Orsi, amministratore delegato di Agusta Westland, sponsorizzato dalla Lega; Giuseppe Zampini, ceo di Ansaldo Energia, che trova sponde nel Pdl.
FLAVIO CATTANEO
Ma Guarguaglini, coinvolto ma non indagato nell´inchiesta sulla Selex della moglie Marina Grossi, pare che negli ultimi giorni stia cercando di strappare un nuovo mandato forte o almeno alcune deleghe. Finmeccanica opera su un mercato particolare come quello della difesa, dove i rapporti personali contano molto più che in altri settori. Ed è questa la carta che sta giocando l´anziano manager toscano.
PIER FRANCESCO GUARGUAGLINI
Se Orsi sarà uno degli ad di Finmeccanica, la Lega potrebbe rinunciare a chiedere una presidenza. Altrimenti potrebbe tornare a guardare a quella dell´Enel (Piero Gnudi è considerato troppo vicino a Pier Ferdinando Casini) oppure a quella di Terna dove ora siede Luigi Roth, uomo vicino a Comunione e liberazione.
Nel caso, il candidato forte del Carroccio (l´alternativa è Gianfranco Tosi) si chiama Roberto Castelli, attuale viceministro alle Infrastrutture. Ma questo è anche l´ostacolo alla nomina di Castelli: una legge del ‘63 impedisce il passaggio dal governo a una società partecipata dal Tesoro. Castelli dovrebbe dimettersi e stare in stand by per almeno un anno. E Roth dovrebbe essere disponibile a un patto per la staffetta. Molte incognite.
Insieme a Scaroni è destinato a restare all´Eni, per il quarto mandato, il presidente Roberto Poli (preferito all´ipotesi Mario Resca). E anche Giovanni Ialongo rimarrà alla presidenza delle Poste, casella che spetta alla Cisl: ha rinsaldato il rapporto con Raffaele Bonanni e trovato buone sponde in Letta e Maurizio Gasparri.
by dagospia
TREMONTI E GIANNI LETTA DAL RIFORMISTA
Paolo Scaroni e Fulvio Conti saranno confermati ai vertici di Eni e Enel. Così come Flavio Cattaneo a Terna e Massimo Sarmi alle Poste. Resiste Pier Francesco Guarguaglini alla presidenza di Finmeccanica ma sarà affiancato da due amministratori delegati. La soluzione per piazza Monte Grappa potrebbe servire ad accontentare gli appetiti neo-lottizzatori della Lega di Umberto Bossi che punta anche a una presidenza, Enel o Terna.
Il puzzle delle nomine pubbliche è ormai in via di composizione.
PAOLO SCARONI
Martedì notte Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e Giulio Tremonti, ministro dell´Economia, hanno sostanzialmente chiuso il pacchetto. Ieri il ministro è partito per la Cina. Lunedì prossimo gli ultimi ritocchi a ridosso della presentazione delle liste per i consigli di amministrazione. Dove ci sarà anche il nome di Pedro Solbes, già commissario Ue nella squadra di Romano Prodi, poi ministro dell´Economia nel secondo governo di José Luis Zapatero.
FULVIO CONTI
Entrerà nel consiglio di Enel come rappresentante indipendente nelle liste di Assogestioni che ha anche deciso di indicare l´ex ad di Unicredit Alessandro Profumo per il board dell´Eni. La scelta di Solbes risponde alla forte espansione dell´Enel nei mercati latino americani attraverso la controllata Endesa: primo operatore privato in Spagna, Portogallo, Brasile, Argentina, Perù, Colombia, Cile.
MASSIMO SARMI POSTINO
L´ultimo nodo da sciogliere riguarda il "governo" di Finmeccanica. Guarguaglini (74 anni, al secondo mandato) dovrebbe restare presidente ma non più amministratore delegato. L´ipotesi più probabile è che la carica di ad venga divisa tra due manager. E tre sono i candidati: Alessandro Pansa, attuale condirettore generale, uomo di finanza, fortemente sostenuto dal direttore generale del Tesoro, Vittorio Grilli; Giuseppe Orsi, amministratore delegato di Agusta Westland, sponsorizzato dalla Lega; Giuseppe Zampini, ceo di Ansaldo Energia, che trova sponde nel Pdl.
FLAVIO CATTANEO
Ma Guarguaglini, coinvolto ma non indagato nell´inchiesta sulla Selex della moglie Marina Grossi, pare che negli ultimi giorni stia cercando di strappare un nuovo mandato forte o almeno alcune deleghe. Finmeccanica opera su un mercato particolare come quello della difesa, dove i rapporti personali contano molto più che in altri settori. Ed è questa la carta che sta giocando l´anziano manager toscano.
PIER FRANCESCO GUARGUAGLINI
Se Orsi sarà uno degli ad di Finmeccanica, la Lega potrebbe rinunciare a chiedere una presidenza. Altrimenti potrebbe tornare a guardare a quella dell´Enel (Piero Gnudi è considerato troppo vicino a Pier Ferdinando Casini) oppure a quella di Terna dove ora siede Luigi Roth, uomo vicino a Comunione e liberazione.
Nel caso, il candidato forte del Carroccio (l´alternativa è Gianfranco Tosi) si chiama Roberto Castelli, attuale viceministro alle Infrastrutture. Ma questo è anche l´ostacolo alla nomina di Castelli: una legge del ‘63 impedisce il passaggio dal governo a una società partecipata dal Tesoro. Castelli dovrebbe dimettersi e stare in stand by per almeno un anno. E Roth dovrebbe essere disponibile a un patto per la staffetta. Molte incognite.
Insieme a Scaroni è destinato a restare all´Eni, per il quarto mandato, il presidente Roberto Poli (preferito all´ipotesi Mario Resca). E anche Giovanni Ialongo rimarrà alla presidenza delle Poste, casella che spetta alla Cisl: ha rinsaldato il rapporto con Raffaele Bonanni e trovato buone sponde in Letta e Maurizio Gasparri.
by dagospia
inps pensioni d oro per per compagni, sindacalisti e premier
Mario Giordano per "il Giornale"
ROMANO PRODI
Prodi prende oltre 14mila euro di pensione al mese. Anzi: pensioni. Al plurale. Eh sì, perché il Professore di vitalizi ne incassa addirittura tre: uno da 5.283 euro come ex presidente della Commissione europea, uno da 4.725 euro come ex parlamentare e uno da 4.246 come ex professore universitario. Totale 14.254 euro lordi. La somma lo deve imbarazzare non poco.
MARIO BALDASSARRI
E infatti poco tempo fa, in una dichiarazione Ansa del 24 novembre 2010, si è abbassato l'assegno previdenziale, esattamente come le donne si abbassano l'età: citava sì correttamente i 5.283 della commissione europea, ma poi parlava di 1.797 euro lordi da ex parlamentare e di 2.811 lordi come ex professore universitario, mostrando una prematura ma quanto mai conveniente smemoratezza senile: in realtà quelle cifre cui lui si riferisce sono al netto. E al lordo corrispondono appunto a 4.725 (esattamente 4.725,04) e 4.246 (esattamente 4.246,43) euro mensili.
COSSUTTA
Tutti strameritati, per carità: non c'è trucco, non c'è inganno. Ma allora, perché, Professore, dire le bugie? A sfrucugliare nei meandri della previdenza italiana si fanno scoperte assai interessanti. Per esempio, il cumulo di vitalizi d'oro è una consuetudine piuttosto diffusa, anche fra coloro che fanno professione di pauperismo operaio.
GIOVANNI RUSSO SPENA 001 LAP
Prendete il vecchio Cossutta: l'uomo dei rubli incassa una pensione Inps dal 1980, cioè dall'anno in cui a Mosca c'era ancora Breznev, Aldo Maldera era il capitano del Milan e Bobby Solo a Sanremo cantava «Gelosia». E lo sapete perché incassa quella pensione? Grazie alla famosa legge Mosca, con cui l'odiato Stato borghese ha riconosciuto a dirigenti di partito e sindacalisti contributi mai versati. Dal 2008, poi, il tovarisc Armando di pensioni ne riceve due: all'assegno dell'Inps unisce infatti il sostanzioso vitalizio parlamentare, 9.604 euro lordi al mese, una cifra che è quasi una beffa per il compagno operaio.
ROCCO BUTTIGLIONE
Ma tant'è: per non farsi mancare nulla, al momento di lasciare il Parlamento, dove aveva piantato le tende da ben 10 legislature, Cossutta ha anche incassato una liquidazione monstre pari a 345.744 euro, pudicamente definita «assegno di solidarietà». Eccome no: solidarietà. Ma con chi? Con il suo conto corrente? Due pensioni riceve anche Luciano Violante: 9.363 euro lordi come ex parlamentare e 7.317 come ex magistrato, per un totale di 16.680 euro lordi al mese.
SERGIO DANTONI
Tre pensioni riceve l'economista finiano Mario Baldassarri, che con Prodi condivise la famosa seduta spiritica sui colli bolognesi durante il rapimento Moro: diventato presidente della Commissione finanze, non ha fatto un gran che per risanare i bilanci pubblici, ma per quel che riguarda i bilanci privati, beh, non si può certo lamentare. Due pensioni vanno in tasca al compagno Giovanni Russo Spena: quella parlamentare ( pari a 5.510 euro netti dal 2008) si va a sommare a quella da professore universitario (2.277 euro netti dal 2002, cioè da quando aveva 57 anni), per un totale di quasi 8mila euro netti.
FRANCO MARINI
Sommano una pensione all'indennità parlamentare sia Rocco Buttiglione (3.258 euro netti come professore universitario dal 2007) sia Franco Marini (circa 2.500 euro grazie alla legge Mosca dal 1991, cioè da quando aveva 57 anni). Ancor più giovane è andato in pensione Sergio D'Antoni, deputato del Pd, vicepresidente della commissione Finanza, già sindacalista assai favorevole ai rigori sulla previdenza altrui: prende una pensione Inpdap di 5.233 euro netti al mese (8.595 euro lordi al mese, 103.148 euro lordi l'anno) dal 1º aprile 2001, cioè da quando aveva 55 anni.
Ma il bello è che la pensione è stata liquidata sulla base di (udite bene) 40 anni di servizio. 40 anni di servizio? A 55 anni? E dunque D'Antoni era in università a 15 anni? E faceva già il docente? Possibile? Forse siamo davanti a un genio precoce della scienza giuridica e non ce ne siamo mai accorti? Si badi bene: lo scandalo qui non sono tanto i 5.233 euro netti di pensione Inpdap (che pure non sono pochi per un sindacalista che ha sostenuto la necessità di tagliare le pensioni dei lavoratori) e nemmeno il fatto che essi vadano a sommarsi senza colpo ferire all'indennità parlamentare.
by dagospia
ROMANO PRODI
Prodi prende oltre 14mila euro di pensione al mese. Anzi: pensioni. Al plurale. Eh sì, perché il Professore di vitalizi ne incassa addirittura tre: uno da 5.283 euro come ex presidente della Commissione europea, uno da 4.725 euro come ex parlamentare e uno da 4.246 come ex professore universitario. Totale 14.254 euro lordi. La somma lo deve imbarazzare non poco.
MARIO BALDASSARRI
E infatti poco tempo fa, in una dichiarazione Ansa del 24 novembre 2010, si è abbassato l'assegno previdenziale, esattamente come le donne si abbassano l'età: citava sì correttamente i 5.283 della commissione europea, ma poi parlava di 1.797 euro lordi da ex parlamentare e di 2.811 lordi come ex professore universitario, mostrando una prematura ma quanto mai conveniente smemoratezza senile: in realtà quelle cifre cui lui si riferisce sono al netto. E al lordo corrispondono appunto a 4.725 (esattamente 4.725,04) e 4.246 (esattamente 4.246,43) euro mensili.
COSSUTTA
Tutti strameritati, per carità: non c'è trucco, non c'è inganno. Ma allora, perché, Professore, dire le bugie? A sfrucugliare nei meandri della previdenza italiana si fanno scoperte assai interessanti. Per esempio, il cumulo di vitalizi d'oro è una consuetudine piuttosto diffusa, anche fra coloro che fanno professione di pauperismo operaio.
GIOVANNI RUSSO SPENA 001 LAP
Prendete il vecchio Cossutta: l'uomo dei rubli incassa una pensione Inps dal 1980, cioè dall'anno in cui a Mosca c'era ancora Breznev, Aldo Maldera era il capitano del Milan e Bobby Solo a Sanremo cantava «Gelosia». E lo sapete perché incassa quella pensione? Grazie alla famosa legge Mosca, con cui l'odiato Stato borghese ha riconosciuto a dirigenti di partito e sindacalisti contributi mai versati. Dal 2008, poi, il tovarisc Armando di pensioni ne riceve due: all'assegno dell'Inps unisce infatti il sostanzioso vitalizio parlamentare, 9.604 euro lordi al mese, una cifra che è quasi una beffa per il compagno operaio.
ROCCO BUTTIGLIONE
Ma tant'è: per non farsi mancare nulla, al momento di lasciare il Parlamento, dove aveva piantato le tende da ben 10 legislature, Cossutta ha anche incassato una liquidazione monstre pari a 345.744 euro, pudicamente definita «assegno di solidarietà». Eccome no: solidarietà. Ma con chi? Con il suo conto corrente? Due pensioni riceve anche Luciano Violante: 9.363 euro lordi come ex parlamentare e 7.317 come ex magistrato, per un totale di 16.680 euro lordi al mese.
SERGIO DANTONI
Tre pensioni riceve l'economista finiano Mario Baldassarri, che con Prodi condivise la famosa seduta spiritica sui colli bolognesi durante il rapimento Moro: diventato presidente della Commissione finanze, non ha fatto un gran che per risanare i bilanci pubblici, ma per quel che riguarda i bilanci privati, beh, non si può certo lamentare. Due pensioni vanno in tasca al compagno Giovanni Russo Spena: quella parlamentare ( pari a 5.510 euro netti dal 2008) si va a sommare a quella da professore universitario (2.277 euro netti dal 2002, cioè da quando aveva 57 anni), per un totale di quasi 8mila euro netti.
FRANCO MARINI
Sommano una pensione all'indennità parlamentare sia Rocco Buttiglione (3.258 euro netti come professore universitario dal 2007) sia Franco Marini (circa 2.500 euro grazie alla legge Mosca dal 1991, cioè da quando aveva 57 anni). Ancor più giovane è andato in pensione Sergio D'Antoni, deputato del Pd, vicepresidente della commissione Finanza, già sindacalista assai favorevole ai rigori sulla previdenza altrui: prende una pensione Inpdap di 5.233 euro netti al mese (8.595 euro lordi al mese, 103.148 euro lordi l'anno) dal 1º aprile 2001, cioè da quando aveva 55 anni.
Ma il bello è che la pensione è stata liquidata sulla base di (udite bene) 40 anni di servizio. 40 anni di servizio? A 55 anni? E dunque D'Antoni era in università a 15 anni? E faceva già il docente? Possibile? Forse siamo davanti a un genio precoce della scienza giuridica e non ce ne siamo mai accorti? Si badi bene: lo scandalo qui non sono tanto i 5.233 euro netti di pensione Inpdap (che pure non sono pochi per un sindacalista che ha sostenuto la necessità di tagliare le pensioni dei lavoratori) e nemmeno il fatto che essi vadano a sommarsi senza colpo ferire all'indennità parlamentare.
by dagospia
mercoledì 30 marzo 2011
Franklin Delano Roosevelt
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Franklin Delano Roosevelt
32° presidente degli Stati Uniti
Mandato
4 marzo 1933 - 12 aprile 1945
Predecessore Herbert Hoover
Successore Harry S. Truman
Nascita 30 gennaio 1882
Morte 12 aprile 1945
Partito politico Democratico
Tendenza politica Liberal
Coniuge Eleanor Roosevelt
Religione Episcopale
Firma
Franklin Delano Roosevelt (Hyde Park, 30 gennaio 1882 – Warm Springs, 12 aprile 1945) è stato il 32º presidente degli Stati Uniti d'America.
Finora è stato l'unico presidente degli Stati Uniti d'America ad essere eletto per più di due mandati consecutivi, vincendo le elezioni presidenziali per ben quattro volte (1932, 1936, 1940 e 1944), rimanendo in carica dal 1933 fino alla sua morte, nell'aprile del 1945.
Larga parte della sua fama è dovuta al vasto e radicale programma di riforme economiche e sociali attuato fra il 1933 e il 1937 e conosciuto con il nome di New Deal, grazie al quale gli Stati Uniti riuscirono a superare la grande depressione dei primi anni trenta. Fra le sue più importanti innovazioni vanno ricordati il Social Security Act - con il quale vennero introdotte per la prima volta negli Stati Uniti d'America l'assistenza sociale e le indennità di disoccupazione, malattia e vecchiaia - e la creazione dell'Agenzia per il controllo del mercato azionario (SEC).
Coinvolse gli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale a seguito dell'attacco di Pearl Harbor e fu il fautore della costruzione delle prime bombe atomiche della Storia dell'Umanità che verranno impiegate dal suo successore Harry Truman sulle città di Hiroshima e Nagasaki ove causarono, nel tempo, più di 300.000 vittime, quasi totalmente civili.
Contribuì alla formazione delle Nazioni Unite.
Indice [nascondi]
1 Biografia
1.1 Nome della famiglia
1.2 La nascita, gli studi e il matrimonio
1.3 Appartenenza alla Massoneria
1.4 L'inizio della carriera politica
1.5 La malattia di Roosevelt
1.6 Il ritorno in politica
2 Presidenza: 1933-1941
2.1 I primi cento giorni
2.2 La politica estera
2.3 Le altre riforme
2.4 Il secondo mandato
3 La presidenza: 1941-1945
3.1 Elezione al terzo mandato
3.2 La Seconda Guerra Mondiale
3.3 Elezioni per il quarto mandato
4 La morte
5 Onorificenze
6 Riconoscimenti
7 Spettacolo
8 Note
9 Voci correlate
10 Bibliografia
11 Altri progetti
[modifica] Biografia
[modifica] Nome della famiglia
Roosevelt è la forma anglicizzata del cognome olandese Van Rosevelt, o Van Rosenvelt, che significa "dal campo delle rose".[1]
Fra le più antiche famiglie dello Stato di New York, i Roosevelt si distinsero in diversi settori dalla vita politica. La madre assegnò al figlio il nome Franklin Delano in onore dello zio preferito.[2] Il capostipite della famiglia Delano che per primo arrivò nelle Americhe nel 1621 fu Philippe de la Noye, primo fra gli ugonotti a sbarcare nel Nuovo Mondo, il cui nome della famiglia fu anglicizzato in Delano.[3]
[modifica] La nascita, gli studi e il matrimonio
Un giovanissimo Roosevelt con il padre (1899).
La sua famiglia faceva parte dell'alta borghesia locale e vantava una parentela con Theodore Roosevelt, presidente repubblicano di inizio secolo.
Il padre era proprietario di alcune miniere di zinco mentre la madre era figlia di un armatore.
Roosevelt trascorse l'infanzia viaggiando per l'Europa e da adolescente si iscrisse alla celeberrima Groton School (Massachusetts), dove gli venne impartita una ferrea disciplina. Finito il liceo si laureò ad Harvard nel 1904, quindi studiò giurisprudenza alla Columbia Law School della Columbia University, dove si laureò nel 1908, dopodiché si dedicò alla professione di avvocato in un prestigioso studio di Wall Street. Insoddisfatto della carriera intrapresa entrò nel mondo della politica venendo eletto nel 1905 presidente del Comitato delle foreste.
Contemporaneamente al suo primo successo in politica sposò Anna Eleanor Roosevelt, sua cugina alla lontana, che era la nipote favorita di Theodore Roosevelt.
La coppia ebbe sei figli:
Anna Eleanor (1906-1975);
James (1907-1991);
Franklin Delano Jr. (1909-1909);
Elliott (1910-1990);
Franklin Delano Jr. (1914-1988);
John Aspinwall (1916-1981).
[modifica] Appartenenza alla Massoneria
Venne iniziato alla Massoneria il giorno 11 Ottobre 1911, presso la "Holland Lodge No. 8" in New York City.[4]
[modifica] L'inizio della carriera politica
Incoraggiato dai primi successi, continuò la sua carriera politica e nel 1910 ottenne la sua prima carica di rilievo venendo eletto Senatore per lo Stato di New York, carica che gli venne confermata nel 1912.
Roosevelt Segretario della Marina nel 1913.
Sempre nel 1912 venne chiamato da Woodrow Wilson a far parte del suo Gabinetto. Wilson lo nominò Segretario alla Marina. In questo incarico si distinse, soprattutto nello svolgersi della prima guerra mondiale, come un buon elemento.
Terminata la presidenza Wilson, Roosevelt fu candidato per la vicepresidenza degli Stati Uniti, come vice del candidato presidente e governatore dell'Ohio James M. Cox, nel ticket democratico del 1920. La coppia Cox/Roosevelt fu però sconfitta dai repubblicani Warren G. Harding e Calvin Coolidge.
[modifica] La malattia di Roosevelt
Nel 1921, mentre era in vacanza all'isola di Campobello, nel New Brunswick, Roosevelt contrasse una malattia - ritenuta al tempo una grave forma di poliomielite - che ne causò la paralisi degli arti inferiori. La malattia gli provocò sin dall'inizio seri problemi di movimento: usava spesso una sedia a rotelle, ma si sforzò di nascondere la sua disabilità per tutta la vita. In effetti, sono conosciute solo due fotografie di Roosevelt sulla sua sedia a rotelle.
In seguito all'aggravarsi della paralisi, nei suoi ultimi anni dovette passare molto tempo a Warm Springs, le cui sorgenti calde (warm springs in inglese) ne alleviavano i sintomi. Lì fece costruire la Piccola Casa Bianca, ora nel sito storico dello Stato della Georgia.[5] Creò anche l'Istituto per la riabilitazione Roosevelt di Warm Springs, che continua ancora oggi a fornire aiuto alle disabilità fisiche.[6]
Nel 2003 uno studio condotto da alcuni medici e ricercatori statunitensi (Armond Goldman, Elisabeth Schmalstieg, e altri) è giunto alla conclusione che la malattia di cui soffriva Roosevelt fosse probabilmente la sindrome di Guillain-Barré (una malattia auto-immune del sistema nervoso periferico) e non la poliomielite.[7]
[modifica] Il ritorno in politica
Nonostante la malattia Roosevelt aveva continuato a partecipare alle riunioni del Partito democratico.
Nel 1928, alla vigilia della più grande crisi economica che avesse mai investito gli Stati Uniti, si candidò come Governatore dello stato di New York vincendo con uno stretto margine. Trovatosi ad affrontare la grande depressione, Roosevelt approvò alcuni programmi economici per assorbire la crescente mole di disoccupati sperimentando così iniziative che avrebbe poi ripreso nel New Deal.
Nel 1930 Roosevelt venne riconfermato governatore con il 56,5% dei consensi e oltre 700.000 voti di differenza rispetto all'avversario repubblicano.
Per approfondire, vedi la voce Elezioni presidenziali statunitensi del 1932.
Il successo ottenuto nella guida dello stato di New York gli permise di candidarsi alle elezioni presidenziali del 1932. Roosevelt impostò la campagna elettore su di una immagine nettamente differente da quella dell'avversario repubblicano e presidente uscente Herbert Hoover ottenendo una vittoria schiacciante sia in termini di voti popolari (circa 23 milioni, il 57,5%) che di voti elettorali (472 contro i 59 di Hoover).
Prima dell'insediamento fu coinvolto in un tentato assassinio avvenuto il 15 febbraio 1933 a Chicago ad opera di Giuseppe Zangara, italoamericano. Roosevelt ne uscì illeso mentre il Sindaco della città venne ferito a morte.
[modifica] Presidenza: 1933-1941
« Sono convinto se c'è qualcosa da temere è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza. Dobbiamo sforzarci di trasformare una ritirata in una avanzata. [..] Chiederò al Congresso l'unico strumento per affrontare la crisi. Il potere di agire ad ampio raggio, per dichiarare guerra all'emergenza. Un potere grande come quello che mi verrebbe dato se venissimo invasi da un esercito straniero. »
(Discorso inaugurale del 4 marzo 1933)
[modifica] I primi cento giorni
Roosevelt e Hoover il giorno dell'insediamento.
Per approfondire, vedi la voce New Deal.
Le prime settimane di Roosevelt in carica furono chiamate "I Cento Giorni", durante la prima parte della sua amministrazione fece approvare una serie di leggi per provocare un cambiamento immediato e impedire all'economia nazionale di destabilizzarsi. Istituì una "vacanza bancaria" di quattro giorni (Bank Holiday), due giorni dopo aver assunto l'incarico: quattro giorni in cui tutte le banche del paese rimasero chiuse, permettendo alle istituzioni un breve periodo per riprendersi e riorganizzarsi.
Analogo provvedimento fu adottato in Germania il 13 luglio 1931, lasciando le banche chiuse per 3 giorni e con 3 settimane di tempo prima della riapertura al pubblico. Dopo la crisi del 1929 erano in atto frequenti corse agli sportelli, durante le quali i depositanti ritiravano i loro risparmi o ne chiedevano la conversione in oro. Per una di queste crisi, il 3 marzo, rimasero chiuse le banche di New York. Prima della riapertura del 13 marzo, fallirono altre 2.100 banche.
Durante questi tempi di crisi Roosevelt si rivolse alla nazione per la prima volta come presidente il 12 marzo 1933, nella prima delle molte cosiddette chiacchierate al caminetto.
Per porre fine alla crisi generalizzata delle banche degli anni trenta, Roosevelt emanò un decreto esecutivo (Ordine Esecutivo 6102) e, con l'Emergency Bank Relief Act (marzo 1933) e il Gold Reserve Act (gennaio 1934), proibì la circolazione e il possesso privato, a scopo di circolazione, di monete d'oro degli Stati Uniti, con l'eccezione per le monete da collezione. Questa legge dichiarò che le monete d'oro non avevano più corso legale negli Stati Uniti e la gente dovette convertire le proprie monete d'oro in altre forme di valuta. Questa legge portò gli Stati Uniti d'America fuori dal cosiddetto gold standard e inoltre implicò anche la fine della regola per cui la valuta cartacea degli Stati Uniti poteva essere scambiata con oro in tutte le banche della nazione.
Altri importanti provvedimenti che costituiscono la base del New Deal (nuovo corso) sono:
l'emanazione dell'Agricultural Adjustement Act che tramite una serie di incentivi mirava a limitare la sovrapproduzione agricola che aveva causato una drastica caduta dei prezzi a danno di milioni di agricoltori;
l'approvazione del National Industrial Recovery Act che imponeva l'adozione per ogni azienda di un codice di disciplina produttiva limitando la sovrapproduzione, rinunciando al lavoro nero e a quello minorile. La legge prevedeva inoltre dei minimi salariali;
l'emanazione di una riforma fiscale che inaspriva le imposte per i ceti più elevati;
l'approvazione del Wagner Act che sanciva il diritto di sciopero e della contrattazione collettiva;
l'istituzione della Tennessee Valley Authority, agenzia che impiegò milioni di disoccupati nella costruzione di imponenti dighe al fine di sfruttare le risorse idroelettriche del bacino del Tennessee;
l'istituzione del Work Progress Administration, altra agenzia governativa che gestiva la realizzazione di importanti opere pubbliche.
Del New Deal tenne certamente conto Keynes, il grande economista britannico, che stava proprio in quegli anni elaborando la sua teoria che troverà una formulazione compiuta nella sua opera più importante, la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta del 1936.
[modifica] La politica estera
La gestione della crisi economica internazionale condizionò pesantemente anche la politica estera di Roosevelt, che fu dominata dall'isolazionismo dalle organizzazioni internazionali, anche se occorre riconoscere che Roosevelt ed il suo Segretario di Stato, Cordell Hull, agirono sempre con grande cautela, cercando di non esasperare questo sentimento isolazionista. Ciononostante, il messaggio "bomba" di Roosevelt alla Conferenza economica di Londra del 1933 ebbe come effetto quello di compromettere definitivamente qualsiasi sforzo delle potenze mondiali di collaborare per porre termine alla depressione internazionale e lasciò a Roosevelt mano libera in politica economica.[8]
La principale iniziativa di politica estera del primo mandato di Roosevelt fu la "politica del buon vicinato", in pratica una versione aggiornata della politica statunitense verso l'America Latina. Fin dalla dottrina Monroe del 1823, quest'area era stata considerata come una sfera di influenza americana. Le forze americane furono ritirate da Haiti e nuovi trattati con Cuba e Panama posero fine al loro status come protettorati degli Stati Uniti. Nel dicembre 1933 Roosevelt firmò la Convenzione di Montevideo sui diritti ed i doveri degli Stati, rinunciando al diritto di intervenire unilateralmente negli affari dei paesi latino-americani.[9]
[modifica] Le altre riforme
Roosevelt con i membri del suo gabinetto.
Dei vari programmi di riforma iniziati dall'amministrazione Roosevelt il più ampio e profondo fu l'istituzione del sistema della Social Security Act, una forma di stato sociale che fu ideato per fornire sostegno ai cittadini a basso reddito ed a quelli più anziani. La legge prevedeva sussidi in caso di disoccupazione ed altri aiuti dei quali gli americani erano precedentemente sprovvisti. Il sistema era finanziato in parte dallo Stato e in parte dai contributi dei datori e dei prestatori di lavoro.
Nel 1935-1936 la Corte Suprema dichiarò incostituzionali diversi provvedimenti del New Deal. In risposta Roosevelt si appellò agli americani indicando la Corte Suprema come l'organo rappresentante i ceti più elevati che si opponeva ad una redistribuzione della ricchezza.
Roosevelt, forte del successo elettorale ottenuto nel 1936, sottopose al Congresso un piano per una "riforma giudiziaria" che proponeva di aggiungere un giudice alla Corte fino a un massimo di quindici giudici qualora uno dei giudici in attività avesse raggiunto l'età limite di settant'anni, anche nel caso in cui egli rifiutasse di cessare l'incarico. Il piano venne respinto dal Congresso, tuttavia può aver avuto i suoi effetti desiderati, come minaccia verso la Corte. Con una mossa cinicamente chiamata come "il cambiamento giusto in tempo per evitarne nove" (in inglese the switch in time to save nine), uno dei giudici conservatori, Owen Roberts, spostò inesplicabilmente il suo voto nella causa West Coast Hotel Co. contro Parrish, cambiando l'equilibrio ideologico della Corte. Non passò molto, tuttavia, prima che il tempo consentisse a Roosevelt di avere la Corte dalla sua parte, poiché la conclusione del mandato gli permisero di riempire tutti i nove posti con nomine di suo gradimento.
[modifica] Il secondo mandato
Per approfondire, vedi la voce Elezioni presidenziali statunitensi del 1936.
A dispetto delle opinioni dei sondaggi, Roosevelt nel 1936 venne riconfermato alla presidenza con una vittoria schiacciante sia in voti popolari (il 60,8%) che in voti elettorali (ben 523 su 531).
Roosevelt diventò il primo presidente a entrare in carica dopo l'adozione del ventesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Prima di questo, i presidenti prestavano giuramento il 4 marzo, ma egli entrò in carica il 20 gennaio 1937.
Sempre nel 1937 Roosevelt pronunciò il "Discorso della Quarantena" a Chicago. In esso paragonò lo scoppio della violenza internazionale a quello di una malattia contagiosa che ha bisogno di un periodo di quarantena. Questo discorso provocò discussioni su quanto gli Stati Uniti dovessero essere attivi nella diplomazia internazionale. I mezzi di informazione risposero che il discorso esprimeva "un atteggiamento e non un programma".
Frustrato dall'opposizione alle sue proposte anche da parte dell'ala più conservatrice del suo stesso partito, nel 1938 Roosevelt fece apertamente campagna contro cinque senatori democratici del Sud, tra i quali il senatore della Georgia Walter F. George, nella speranza di depurare il partito democratico della sua ala conservatrice, che per ragioni storiche era forte al Sud. Gli sforzi di Roosevelt furono tuttavia senza successo, dato che tutti questi cinque senatori furono rieletti.
[modifica] La presidenza: 1941-1945
[modifica] Elezione al terzo mandato
Per approfondire, vedi la voce Elezioni presidenziali statunitensi del 1940.
Con una mossa senza precedenti, Roosevelt cercò un terzo mandato consecutivo nel 1940. Fino a quel momento tutti i presidenti avevano rispettato la regola non scritta stabilita da George Washington, che nel 1793 aveva rinunciato al terzo mandato affermando che troppo potere non doveva essere accentrato per troppo tempo nelle mani di un solo uomo. In seguito, nel 1951, questa regola fu resa esplicita con un emendamento costituzionale; pertanto, a meno di future modifiche alla Costituzione, Roosevelt rimarrà per sempre l'unico presidente ad avere svolto più di due mandati consecutivi.
A differenza che nelle elezioni del 1936, quando ottenne senza contestazioni la candidatura del partito democratico, nel 1940 subì l'opposizione di diversi candidati, il più importante dei quali fu il suo stesso vice presidente, John Nance Garner.
Roosevelt si avviò a battere Garner per la candidatura del suo partito, quindi sconfisse il candidato repubblicano Wendell L. Willkie vincendo le elezioni con una maggioranza schiacciante. Al posto di Garner divenne vice presidente Henry Agard Wallace.
[modifica] La Seconda Guerra Mondiale
8 dicembre 1941, Roosevelt firma la dichiarazione di guerra al Giappone
Nel 1941 gli interessi contrapposti del Giappone e degli Stati Uniti in Asia e nel Pacifico, specialmente in Cina, produssero una rottura delle relazioni diplomatiche al punto che la guerra sembrava inevitabile (vedi i dieci punti di Hull).
Roosvelt finanziò largamente le spese di guerra con emissioni di titoli a lungo termine emessi dal Tesoro americano, i Titoli Serie E, ideati dal suo amico ed allora Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Henry Morgenthau Jr..
Il 14 gennaio 1943 Roosevelt fu il primo presidente degli Stati Uniti a viaggiare in aereo durante la carica, con il suo volo da Miami al Marocco per incontrare Winston Churchill e discutere della Seconda guerra mondiale. L'incontro si concluse il 24 gennaio.
Tra il 4 e l'11 febbraio del 1945 partecipò, insieme a Stalin e Churchill, alla Conferenza di Yalta, il più famoso degli incontri nei quali fu deciso quale sarebbe stato l'assetto politico internazionale al termine della guerra.
A posteriori, probabilmente, la decisione più discutibile di Roosevelt fu l'Ordine Esecutivo 9066 che provocò l'internamento in campi di concentramento di 110.000 tra cittadini giapponesi e cittadini americani di origini giapponesi sulla West Coast.
Considerato una grave violazione delle libertà civili, fu anche avversato a quel tempo dal direttore dell'FBI J. Edgar Hoover, da Eleanor Roosevelt e da molti altri gruppi. La Corte Suprema sostenne la costituzionalità dell'Ordine Esecutivo. Altri hanno criticato Roosevelt per non aver fatto di tutto per contrastare le operazioni naziste che perpetravano l'Olocausto, nonostante avesse informazioni sulle atrocità.
Roosevelt fu il primo presidente a rivolgersi regolarmente al pubblico americano attraverso la radio. Istituì la tradizione dei discorsi settimanali alla radio, che chiamò le "chiacchierate al caminetto" (fireside chats). Queste "chiacchierate" gli diedero l'opportunità di portare le sue opinioni agli americani, e spesso contribuirono ad affermare la sua popolarità mentre egli era impegnato a realizzare diversi cambiamenti. Durante la Seconda guerra mondiale le "chiacchierate al caminetto" furono viste come stimolanti per il morale degli americani nelle loro abitazioni.
Un discorso per il quale Roosevelt è famoso fu il Discorso sullo stato dell'Unione nel 1941. Questo discorso è anche conosciuto come il "discorso delle Quattro Libertà". Il suo messaggio al Congresso e alla nazione l'8 dicembre 1941, dopo l'attacco di Pearl Harbor, entrò nella storia con la frase: «Il 7 dicembre 1941 – una data che vivrà nell'infamia». Dopo questo discorso gli USA entrarono nella Seconda guerra mondiale a fianco degli Alleati.
La Conferenza di Yalta.
[modifica] Elezioni per il quarto mandato
Per approfondire, vedi la voce Elezioni presidenziali statunitensi del 1944.
Sebbene molti nel Partito Democratico vedessero che Roosevelt era già sofferente, al punto che non si era certi che potesse ricoprire un quarto mandato, non ci fu quasi discussione sul fatto che, in tempo di guerra, "FDR" sarebbe stato il candidato del partito nelle elezioni del 1944.
Il vice presidente Henry Wallace si era alienato l'appoggio di molti dei dirigenti democratici durante i suoi quattro anni di mandato e tenendo conto della salute di Roosevelt, convinsero il senatore del Missouri Harry S. Truman a formare la coppia di candidati democratici nel 1944.
La coppia Roosevelt/Truman vinse le elezioni, tenutesi il 7 novembre 1944, sconfiggendo lo sfidante, il popolare repubblicano Thomas E. Dewey.
[modifica] La morte
Sofferente per la lunga tensione di tre anni e mezzo di guerra e debilitato dalla malattia, dall'eccessivo fumo di sigarette, da una malattia al cuore e da altri malanni, Roosevelt morì per una emorragia cerebrale mentre era in vacanza a Warm Springs, in Georgia, il 12 aprile 1945, all'età di 63 anni. Harry S. Truman, che era in carica da solo 82 giorni come vice presidente, giurò quel giorno stesso come suo successore.
[modifica] Onorificenze
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine militare di Guglielmo dei Paesi Bassi (Paesi Bassi)
Médaille militaire (Francia)
[modifica] Riconoscimenti
Un "Dime" coniato nel 2005.
Fin dal 1946, il ritratto di Roosevelt appare sul recto della moneta da dieci centesimi di dollaro (il "Dime").
Il Franklin Delano Roosevelt Memorial a Washington fu inaugurato il 2 maggio 1997.
[modifica] Spettacolo
Nella canzone di denuncia They don't care about us (Non si interessano di noi), Michael Jackson dice:
(EN)
« I can't believe this is that land from which I came/You know I really do hate to say it/The government don't wanna see/But if Roosevelt was livin',/he wouldn't let this be, no, no! »
(IT)
« Non riesco a credere che questa sia la terra da cui vengo/Lo sai che odio seriamente dirlo/[che] il governo non vuole vedere/Ma se Roosevelt fosse ancora vivo/non lo avrebbe permesso, no, no! »
(Michael Jackson)
.
Nel video di Lifeline della rock band americana Papa Roach compare la seguente citazione di Roosvelt: «Men are not prisoners of their fate, but only prisoners of their own mind». (Gli uomini non sono prigionieri dei loro destini, ma sono solo prigionieri delle loro menti).
[modifica] Note
^ (EN) ROOSEVELT - Significato del cognome, Origine del cognome Roosevelt. URL consultato il 23-11-2007.
^ Jean Edward Smith, Franklin Delano Roosevelt, p. 17
^ Smith, Franklin Delano Roosevelt, p. 10,
^ Grand Lodge of Pennsylvania The Masonic Presidents Tour, Retrieved May 6, 2009
^ www.fdr-littlewhitehouse.org
^ www.rooseveltrehab.org
^ http://science-mag.aaas.org/cgi/content/short/302/5647/981a
^ Leuchtenburg, William E. Franklin D. Roosevelt and the New Deal, 1932–1940. (1963). A standard interpretive history of era. pp. 199–203.
^ Leuchtenburg (1963), pp. 203–210.
[modifica] Voci correlate
Harry Truman
New Deal
Franklin Delano Roosevelt
32° presidente degli Stati Uniti
Mandato
4 marzo 1933 - 12 aprile 1945
Predecessore Herbert Hoover
Successore Harry S. Truman
Nascita 30 gennaio 1882
Morte 12 aprile 1945
Partito politico Democratico
Tendenza politica Liberal
Coniuge Eleanor Roosevelt
Religione Episcopale
Firma
Franklin Delano Roosevelt (Hyde Park, 30 gennaio 1882 – Warm Springs, 12 aprile 1945) è stato il 32º presidente degli Stati Uniti d'America.
Finora è stato l'unico presidente degli Stati Uniti d'America ad essere eletto per più di due mandati consecutivi, vincendo le elezioni presidenziali per ben quattro volte (1932, 1936, 1940 e 1944), rimanendo in carica dal 1933 fino alla sua morte, nell'aprile del 1945.
Larga parte della sua fama è dovuta al vasto e radicale programma di riforme economiche e sociali attuato fra il 1933 e il 1937 e conosciuto con il nome di New Deal, grazie al quale gli Stati Uniti riuscirono a superare la grande depressione dei primi anni trenta. Fra le sue più importanti innovazioni vanno ricordati il Social Security Act - con il quale vennero introdotte per la prima volta negli Stati Uniti d'America l'assistenza sociale e le indennità di disoccupazione, malattia e vecchiaia - e la creazione dell'Agenzia per il controllo del mercato azionario (SEC).
Coinvolse gli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale a seguito dell'attacco di Pearl Harbor e fu il fautore della costruzione delle prime bombe atomiche della Storia dell'Umanità che verranno impiegate dal suo successore Harry Truman sulle città di Hiroshima e Nagasaki ove causarono, nel tempo, più di 300.000 vittime, quasi totalmente civili.
Contribuì alla formazione delle Nazioni Unite.
Indice [nascondi]
1 Biografia
1.1 Nome della famiglia
1.2 La nascita, gli studi e il matrimonio
1.3 Appartenenza alla Massoneria
1.4 L'inizio della carriera politica
1.5 La malattia di Roosevelt
1.6 Il ritorno in politica
2 Presidenza: 1933-1941
2.1 I primi cento giorni
2.2 La politica estera
2.3 Le altre riforme
2.4 Il secondo mandato
3 La presidenza: 1941-1945
3.1 Elezione al terzo mandato
3.2 La Seconda Guerra Mondiale
3.3 Elezioni per il quarto mandato
4 La morte
5 Onorificenze
6 Riconoscimenti
7 Spettacolo
8 Note
9 Voci correlate
10 Bibliografia
11 Altri progetti
[modifica] Biografia
[modifica] Nome della famiglia
Roosevelt è la forma anglicizzata del cognome olandese Van Rosevelt, o Van Rosenvelt, che significa "dal campo delle rose".[1]
Fra le più antiche famiglie dello Stato di New York, i Roosevelt si distinsero in diversi settori dalla vita politica. La madre assegnò al figlio il nome Franklin Delano in onore dello zio preferito.[2] Il capostipite della famiglia Delano che per primo arrivò nelle Americhe nel 1621 fu Philippe de la Noye, primo fra gli ugonotti a sbarcare nel Nuovo Mondo, il cui nome della famiglia fu anglicizzato in Delano.[3]
[modifica] La nascita, gli studi e il matrimonio
Un giovanissimo Roosevelt con il padre (1899).
La sua famiglia faceva parte dell'alta borghesia locale e vantava una parentela con Theodore Roosevelt, presidente repubblicano di inizio secolo.
Il padre era proprietario di alcune miniere di zinco mentre la madre era figlia di un armatore.
Roosevelt trascorse l'infanzia viaggiando per l'Europa e da adolescente si iscrisse alla celeberrima Groton School (Massachusetts), dove gli venne impartita una ferrea disciplina. Finito il liceo si laureò ad Harvard nel 1904, quindi studiò giurisprudenza alla Columbia Law School della Columbia University, dove si laureò nel 1908, dopodiché si dedicò alla professione di avvocato in un prestigioso studio di Wall Street. Insoddisfatto della carriera intrapresa entrò nel mondo della politica venendo eletto nel 1905 presidente del Comitato delle foreste.
Contemporaneamente al suo primo successo in politica sposò Anna Eleanor Roosevelt, sua cugina alla lontana, che era la nipote favorita di Theodore Roosevelt.
La coppia ebbe sei figli:
Anna Eleanor (1906-1975);
James (1907-1991);
Franklin Delano Jr. (1909-1909);
Elliott (1910-1990);
Franklin Delano Jr. (1914-1988);
John Aspinwall (1916-1981).
[modifica] Appartenenza alla Massoneria
Venne iniziato alla Massoneria il giorno 11 Ottobre 1911, presso la "Holland Lodge No. 8" in New York City.[4]
[modifica] L'inizio della carriera politica
Incoraggiato dai primi successi, continuò la sua carriera politica e nel 1910 ottenne la sua prima carica di rilievo venendo eletto Senatore per lo Stato di New York, carica che gli venne confermata nel 1912.
Roosevelt Segretario della Marina nel 1913.
Sempre nel 1912 venne chiamato da Woodrow Wilson a far parte del suo Gabinetto. Wilson lo nominò Segretario alla Marina. In questo incarico si distinse, soprattutto nello svolgersi della prima guerra mondiale, come un buon elemento.
Terminata la presidenza Wilson, Roosevelt fu candidato per la vicepresidenza degli Stati Uniti, come vice del candidato presidente e governatore dell'Ohio James M. Cox, nel ticket democratico del 1920. La coppia Cox/Roosevelt fu però sconfitta dai repubblicani Warren G. Harding e Calvin Coolidge.
[modifica] La malattia di Roosevelt
Nel 1921, mentre era in vacanza all'isola di Campobello, nel New Brunswick, Roosevelt contrasse una malattia - ritenuta al tempo una grave forma di poliomielite - che ne causò la paralisi degli arti inferiori. La malattia gli provocò sin dall'inizio seri problemi di movimento: usava spesso una sedia a rotelle, ma si sforzò di nascondere la sua disabilità per tutta la vita. In effetti, sono conosciute solo due fotografie di Roosevelt sulla sua sedia a rotelle.
In seguito all'aggravarsi della paralisi, nei suoi ultimi anni dovette passare molto tempo a Warm Springs, le cui sorgenti calde (warm springs in inglese) ne alleviavano i sintomi. Lì fece costruire la Piccola Casa Bianca, ora nel sito storico dello Stato della Georgia.[5] Creò anche l'Istituto per la riabilitazione Roosevelt di Warm Springs, che continua ancora oggi a fornire aiuto alle disabilità fisiche.[6]
Nel 2003 uno studio condotto da alcuni medici e ricercatori statunitensi (Armond Goldman, Elisabeth Schmalstieg, e altri) è giunto alla conclusione che la malattia di cui soffriva Roosevelt fosse probabilmente la sindrome di Guillain-Barré (una malattia auto-immune del sistema nervoso periferico) e non la poliomielite.[7]
[modifica] Il ritorno in politica
Nonostante la malattia Roosevelt aveva continuato a partecipare alle riunioni del Partito democratico.
Nel 1928, alla vigilia della più grande crisi economica che avesse mai investito gli Stati Uniti, si candidò come Governatore dello stato di New York vincendo con uno stretto margine. Trovatosi ad affrontare la grande depressione, Roosevelt approvò alcuni programmi economici per assorbire la crescente mole di disoccupati sperimentando così iniziative che avrebbe poi ripreso nel New Deal.
Nel 1930 Roosevelt venne riconfermato governatore con il 56,5% dei consensi e oltre 700.000 voti di differenza rispetto all'avversario repubblicano.
Per approfondire, vedi la voce Elezioni presidenziali statunitensi del 1932.
Il successo ottenuto nella guida dello stato di New York gli permise di candidarsi alle elezioni presidenziali del 1932. Roosevelt impostò la campagna elettore su di una immagine nettamente differente da quella dell'avversario repubblicano e presidente uscente Herbert Hoover ottenendo una vittoria schiacciante sia in termini di voti popolari (circa 23 milioni, il 57,5%) che di voti elettorali (472 contro i 59 di Hoover).
Prima dell'insediamento fu coinvolto in un tentato assassinio avvenuto il 15 febbraio 1933 a Chicago ad opera di Giuseppe Zangara, italoamericano. Roosevelt ne uscì illeso mentre il Sindaco della città venne ferito a morte.
[modifica] Presidenza: 1933-1941
« Sono convinto se c'è qualcosa da temere è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza. Dobbiamo sforzarci di trasformare una ritirata in una avanzata. [..] Chiederò al Congresso l'unico strumento per affrontare la crisi. Il potere di agire ad ampio raggio, per dichiarare guerra all'emergenza. Un potere grande come quello che mi verrebbe dato se venissimo invasi da un esercito straniero. »
(Discorso inaugurale del 4 marzo 1933)
[modifica] I primi cento giorni
Roosevelt e Hoover il giorno dell'insediamento.
Per approfondire, vedi la voce New Deal.
Le prime settimane di Roosevelt in carica furono chiamate "I Cento Giorni", durante la prima parte della sua amministrazione fece approvare una serie di leggi per provocare un cambiamento immediato e impedire all'economia nazionale di destabilizzarsi. Istituì una "vacanza bancaria" di quattro giorni (Bank Holiday), due giorni dopo aver assunto l'incarico: quattro giorni in cui tutte le banche del paese rimasero chiuse, permettendo alle istituzioni un breve periodo per riprendersi e riorganizzarsi.
Analogo provvedimento fu adottato in Germania il 13 luglio 1931, lasciando le banche chiuse per 3 giorni e con 3 settimane di tempo prima della riapertura al pubblico. Dopo la crisi del 1929 erano in atto frequenti corse agli sportelli, durante le quali i depositanti ritiravano i loro risparmi o ne chiedevano la conversione in oro. Per una di queste crisi, il 3 marzo, rimasero chiuse le banche di New York. Prima della riapertura del 13 marzo, fallirono altre 2.100 banche.
Durante questi tempi di crisi Roosevelt si rivolse alla nazione per la prima volta come presidente il 12 marzo 1933, nella prima delle molte cosiddette chiacchierate al caminetto.
Per porre fine alla crisi generalizzata delle banche degli anni trenta, Roosevelt emanò un decreto esecutivo (Ordine Esecutivo 6102) e, con l'Emergency Bank Relief Act (marzo 1933) e il Gold Reserve Act (gennaio 1934), proibì la circolazione e il possesso privato, a scopo di circolazione, di monete d'oro degli Stati Uniti, con l'eccezione per le monete da collezione. Questa legge dichiarò che le monete d'oro non avevano più corso legale negli Stati Uniti e la gente dovette convertire le proprie monete d'oro in altre forme di valuta. Questa legge portò gli Stati Uniti d'America fuori dal cosiddetto gold standard e inoltre implicò anche la fine della regola per cui la valuta cartacea degli Stati Uniti poteva essere scambiata con oro in tutte le banche della nazione.
Altri importanti provvedimenti che costituiscono la base del New Deal (nuovo corso) sono:
l'emanazione dell'Agricultural Adjustement Act che tramite una serie di incentivi mirava a limitare la sovrapproduzione agricola che aveva causato una drastica caduta dei prezzi a danno di milioni di agricoltori;
l'approvazione del National Industrial Recovery Act che imponeva l'adozione per ogni azienda di un codice di disciplina produttiva limitando la sovrapproduzione, rinunciando al lavoro nero e a quello minorile. La legge prevedeva inoltre dei minimi salariali;
l'emanazione di una riforma fiscale che inaspriva le imposte per i ceti più elevati;
l'approvazione del Wagner Act che sanciva il diritto di sciopero e della contrattazione collettiva;
l'istituzione della Tennessee Valley Authority, agenzia che impiegò milioni di disoccupati nella costruzione di imponenti dighe al fine di sfruttare le risorse idroelettriche del bacino del Tennessee;
l'istituzione del Work Progress Administration, altra agenzia governativa che gestiva la realizzazione di importanti opere pubbliche.
Del New Deal tenne certamente conto Keynes, il grande economista britannico, che stava proprio in quegli anni elaborando la sua teoria che troverà una formulazione compiuta nella sua opera più importante, la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta del 1936.
[modifica] La politica estera
La gestione della crisi economica internazionale condizionò pesantemente anche la politica estera di Roosevelt, che fu dominata dall'isolazionismo dalle organizzazioni internazionali, anche se occorre riconoscere che Roosevelt ed il suo Segretario di Stato, Cordell Hull, agirono sempre con grande cautela, cercando di non esasperare questo sentimento isolazionista. Ciononostante, il messaggio "bomba" di Roosevelt alla Conferenza economica di Londra del 1933 ebbe come effetto quello di compromettere definitivamente qualsiasi sforzo delle potenze mondiali di collaborare per porre termine alla depressione internazionale e lasciò a Roosevelt mano libera in politica economica.[8]
La principale iniziativa di politica estera del primo mandato di Roosevelt fu la "politica del buon vicinato", in pratica una versione aggiornata della politica statunitense verso l'America Latina. Fin dalla dottrina Monroe del 1823, quest'area era stata considerata come una sfera di influenza americana. Le forze americane furono ritirate da Haiti e nuovi trattati con Cuba e Panama posero fine al loro status come protettorati degli Stati Uniti. Nel dicembre 1933 Roosevelt firmò la Convenzione di Montevideo sui diritti ed i doveri degli Stati, rinunciando al diritto di intervenire unilateralmente negli affari dei paesi latino-americani.[9]
[modifica] Le altre riforme
Roosevelt con i membri del suo gabinetto.
Dei vari programmi di riforma iniziati dall'amministrazione Roosevelt il più ampio e profondo fu l'istituzione del sistema della Social Security Act, una forma di stato sociale che fu ideato per fornire sostegno ai cittadini a basso reddito ed a quelli più anziani. La legge prevedeva sussidi in caso di disoccupazione ed altri aiuti dei quali gli americani erano precedentemente sprovvisti. Il sistema era finanziato in parte dallo Stato e in parte dai contributi dei datori e dei prestatori di lavoro.
Nel 1935-1936 la Corte Suprema dichiarò incostituzionali diversi provvedimenti del New Deal. In risposta Roosevelt si appellò agli americani indicando la Corte Suprema come l'organo rappresentante i ceti più elevati che si opponeva ad una redistribuzione della ricchezza.
Roosevelt, forte del successo elettorale ottenuto nel 1936, sottopose al Congresso un piano per una "riforma giudiziaria" che proponeva di aggiungere un giudice alla Corte fino a un massimo di quindici giudici qualora uno dei giudici in attività avesse raggiunto l'età limite di settant'anni, anche nel caso in cui egli rifiutasse di cessare l'incarico. Il piano venne respinto dal Congresso, tuttavia può aver avuto i suoi effetti desiderati, come minaccia verso la Corte. Con una mossa cinicamente chiamata come "il cambiamento giusto in tempo per evitarne nove" (in inglese the switch in time to save nine), uno dei giudici conservatori, Owen Roberts, spostò inesplicabilmente il suo voto nella causa West Coast Hotel Co. contro Parrish, cambiando l'equilibrio ideologico della Corte. Non passò molto, tuttavia, prima che il tempo consentisse a Roosevelt di avere la Corte dalla sua parte, poiché la conclusione del mandato gli permisero di riempire tutti i nove posti con nomine di suo gradimento.
[modifica] Il secondo mandato
Per approfondire, vedi la voce Elezioni presidenziali statunitensi del 1936.
A dispetto delle opinioni dei sondaggi, Roosevelt nel 1936 venne riconfermato alla presidenza con una vittoria schiacciante sia in voti popolari (il 60,8%) che in voti elettorali (ben 523 su 531).
Roosevelt diventò il primo presidente a entrare in carica dopo l'adozione del ventesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Prima di questo, i presidenti prestavano giuramento il 4 marzo, ma egli entrò in carica il 20 gennaio 1937.
Sempre nel 1937 Roosevelt pronunciò il "Discorso della Quarantena" a Chicago. In esso paragonò lo scoppio della violenza internazionale a quello di una malattia contagiosa che ha bisogno di un periodo di quarantena. Questo discorso provocò discussioni su quanto gli Stati Uniti dovessero essere attivi nella diplomazia internazionale. I mezzi di informazione risposero che il discorso esprimeva "un atteggiamento e non un programma".
Frustrato dall'opposizione alle sue proposte anche da parte dell'ala più conservatrice del suo stesso partito, nel 1938 Roosevelt fece apertamente campagna contro cinque senatori democratici del Sud, tra i quali il senatore della Georgia Walter F. George, nella speranza di depurare il partito democratico della sua ala conservatrice, che per ragioni storiche era forte al Sud. Gli sforzi di Roosevelt furono tuttavia senza successo, dato che tutti questi cinque senatori furono rieletti.
[modifica] La presidenza: 1941-1945
[modifica] Elezione al terzo mandato
Per approfondire, vedi la voce Elezioni presidenziali statunitensi del 1940.
Con una mossa senza precedenti, Roosevelt cercò un terzo mandato consecutivo nel 1940. Fino a quel momento tutti i presidenti avevano rispettato la regola non scritta stabilita da George Washington, che nel 1793 aveva rinunciato al terzo mandato affermando che troppo potere non doveva essere accentrato per troppo tempo nelle mani di un solo uomo. In seguito, nel 1951, questa regola fu resa esplicita con un emendamento costituzionale; pertanto, a meno di future modifiche alla Costituzione, Roosevelt rimarrà per sempre l'unico presidente ad avere svolto più di due mandati consecutivi.
A differenza che nelle elezioni del 1936, quando ottenne senza contestazioni la candidatura del partito democratico, nel 1940 subì l'opposizione di diversi candidati, il più importante dei quali fu il suo stesso vice presidente, John Nance Garner.
Roosevelt si avviò a battere Garner per la candidatura del suo partito, quindi sconfisse il candidato repubblicano Wendell L. Willkie vincendo le elezioni con una maggioranza schiacciante. Al posto di Garner divenne vice presidente Henry Agard Wallace.
[modifica] La Seconda Guerra Mondiale
8 dicembre 1941, Roosevelt firma la dichiarazione di guerra al Giappone
Nel 1941 gli interessi contrapposti del Giappone e degli Stati Uniti in Asia e nel Pacifico, specialmente in Cina, produssero una rottura delle relazioni diplomatiche al punto che la guerra sembrava inevitabile (vedi i dieci punti di Hull).
Roosvelt finanziò largamente le spese di guerra con emissioni di titoli a lungo termine emessi dal Tesoro americano, i Titoli Serie E, ideati dal suo amico ed allora Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Henry Morgenthau Jr..
Il 14 gennaio 1943 Roosevelt fu il primo presidente degli Stati Uniti a viaggiare in aereo durante la carica, con il suo volo da Miami al Marocco per incontrare Winston Churchill e discutere della Seconda guerra mondiale. L'incontro si concluse il 24 gennaio.
Tra il 4 e l'11 febbraio del 1945 partecipò, insieme a Stalin e Churchill, alla Conferenza di Yalta, il più famoso degli incontri nei quali fu deciso quale sarebbe stato l'assetto politico internazionale al termine della guerra.
A posteriori, probabilmente, la decisione più discutibile di Roosevelt fu l'Ordine Esecutivo 9066 che provocò l'internamento in campi di concentramento di 110.000 tra cittadini giapponesi e cittadini americani di origini giapponesi sulla West Coast.
Considerato una grave violazione delle libertà civili, fu anche avversato a quel tempo dal direttore dell'FBI J. Edgar Hoover, da Eleanor Roosevelt e da molti altri gruppi. La Corte Suprema sostenne la costituzionalità dell'Ordine Esecutivo. Altri hanno criticato Roosevelt per non aver fatto di tutto per contrastare le operazioni naziste che perpetravano l'Olocausto, nonostante avesse informazioni sulle atrocità.
Roosevelt fu il primo presidente a rivolgersi regolarmente al pubblico americano attraverso la radio. Istituì la tradizione dei discorsi settimanali alla radio, che chiamò le "chiacchierate al caminetto" (fireside chats). Queste "chiacchierate" gli diedero l'opportunità di portare le sue opinioni agli americani, e spesso contribuirono ad affermare la sua popolarità mentre egli era impegnato a realizzare diversi cambiamenti. Durante la Seconda guerra mondiale le "chiacchierate al caminetto" furono viste come stimolanti per il morale degli americani nelle loro abitazioni.
Un discorso per il quale Roosevelt è famoso fu il Discorso sullo stato dell'Unione nel 1941. Questo discorso è anche conosciuto come il "discorso delle Quattro Libertà". Il suo messaggio al Congresso e alla nazione l'8 dicembre 1941, dopo l'attacco di Pearl Harbor, entrò nella storia con la frase: «Il 7 dicembre 1941 – una data che vivrà nell'infamia». Dopo questo discorso gli USA entrarono nella Seconda guerra mondiale a fianco degli Alleati.
La Conferenza di Yalta.
[modifica] Elezioni per il quarto mandato
Per approfondire, vedi la voce Elezioni presidenziali statunitensi del 1944.
Sebbene molti nel Partito Democratico vedessero che Roosevelt era già sofferente, al punto che non si era certi che potesse ricoprire un quarto mandato, non ci fu quasi discussione sul fatto che, in tempo di guerra, "FDR" sarebbe stato il candidato del partito nelle elezioni del 1944.
Il vice presidente Henry Wallace si era alienato l'appoggio di molti dei dirigenti democratici durante i suoi quattro anni di mandato e tenendo conto della salute di Roosevelt, convinsero il senatore del Missouri Harry S. Truman a formare la coppia di candidati democratici nel 1944.
La coppia Roosevelt/Truman vinse le elezioni, tenutesi il 7 novembre 1944, sconfiggendo lo sfidante, il popolare repubblicano Thomas E. Dewey.
[modifica] La morte
Sofferente per la lunga tensione di tre anni e mezzo di guerra e debilitato dalla malattia, dall'eccessivo fumo di sigarette, da una malattia al cuore e da altri malanni, Roosevelt morì per una emorragia cerebrale mentre era in vacanza a Warm Springs, in Georgia, il 12 aprile 1945, all'età di 63 anni. Harry S. Truman, che era in carica da solo 82 giorni come vice presidente, giurò quel giorno stesso come suo successore.
[modifica] Onorificenze
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine militare di Guglielmo dei Paesi Bassi (Paesi Bassi)
Médaille militaire (Francia)
[modifica] Riconoscimenti
Un "Dime" coniato nel 2005.
Fin dal 1946, il ritratto di Roosevelt appare sul recto della moneta da dieci centesimi di dollaro (il "Dime").
Il Franklin Delano Roosevelt Memorial a Washington fu inaugurato il 2 maggio 1997.
[modifica] Spettacolo
Nella canzone di denuncia They don't care about us (Non si interessano di noi), Michael Jackson dice:
(EN)
« I can't believe this is that land from which I came/You know I really do hate to say it/The government don't wanna see/But if Roosevelt was livin',/he wouldn't let this be, no, no! »
(IT)
« Non riesco a credere che questa sia la terra da cui vengo/Lo sai che odio seriamente dirlo/[che] il governo non vuole vedere/Ma se Roosevelt fosse ancora vivo/non lo avrebbe permesso, no, no! »
(Michael Jackson)
.
Nel video di Lifeline della rock band americana Papa Roach compare la seguente citazione di Roosvelt: «Men are not prisoners of their fate, but only prisoners of their own mind». (Gli uomini non sono prigionieri dei loro destini, ma sono solo prigionieri delle loro menti).
[modifica] Note
^ (EN) ROOSEVELT - Significato del cognome, Origine del cognome Roosevelt. URL consultato il 23-11-2007.
^ Jean Edward Smith, Franklin Delano Roosevelt, p. 17
^ Smith, Franklin Delano Roosevelt, p. 10,
^ Grand Lodge of Pennsylvania The Masonic Presidents Tour, Retrieved May 6, 2009
^ www.fdr-littlewhitehouse.org
^ www.rooseveltrehab.org
^ http://science-mag.aaas.org/cgi/content/short/302/5647/981a
^ Leuchtenburg, William E. Franklin D. Roosevelt and the New Deal, 1932–1940. (1963). A standard interpretive history of era. pp. 199–203.
^ Leuchtenburg (1963), pp. 203–210.
[modifica] Voci correlate
Harry Truman
New Deal
A SUD DEL "CHIAGNE E FOTTI" - L’UNIONE EUROPEA HA MESSO 31 MILIARDI A DISPOSIZIONE DELLE 5 REGIONI MERIDIONALI: SAPETE QUANTI NE HANNO USATI? IL 9%! - SICILIA, CALABRIA, PUGLIA, BASILICATA E CAMPANIA PIANGONO MISERIA, MA HANNO AVUTO 4 ANNI PER AVVIARE PROGETTI, INVESTIMENTI, INCENTIVI CON QUESTA MONTAGNA DI SOLDI - INVECE L’EUROPA SE LI RIPRENDERÀ, PER ASSEGNARLI ALL’EST…
Mario Giordano per "il Giornale"
Poi dicono che il Sud è senza soldi. Balle. Il Sud è pieno di soldi. Basterebbe che li prendesse. I soldi sono lì, pronti, cash, a disposizione. Bisognerebbe solo compilare l'apposito modulo. Basterebbe averne voglia. Basterebbe un'idea. Non ci credete? Stiamo parlando di 31 miliardi, più di 60mila miliardi delle vecchie lire, tre volte il Pil dell' Islanda, per intenderci, 15 volte il fatturato di un gruppo internazionale come la Benetton. Sono i soldi che l'Europa mette a disposizione di cinque Regioni meridionali.
FONDI EUROPEI PER IL MEZZOGIORNO
Eppure le Regioni meridionali li snobbano. Li lasciano nel cassetto. Ci sputazzano sopra, insomma. Salvo poi mettersi a piangere che non hanno soldi. Che è un po' come morire di fame quando si ha la dispensa piena di biscotti al cioccolato.Per carità, all'università del lamento noi italiani siamo tutti laureati. I governanti del Sud, però, hanno pure il master. Roba da Harvard, docenza specializzata in piagnisteo multiplo e ripetuto, con irrorazione di lacrime comparate. A volte viene da pensare che se gli amministratori meridionali sapessero gestire la cosa pubblica come gestiscono la faccia di circostanza, oggi la Calabria sarebbe una specie di Norvegia felice e la Sicilia la dimostrazione dell'esistenza del Paradiso terrestre.
Invece sono in difficoltà. Come la Puglia, come la Campania. Non riescono a gestire non diciamo le emergenze, ma nemmeno l'ordinario quotidiano. Poi se la prendono con lo Stato che li abbandona. Con l'Europa che li trascura. E con la politica filo leghista del governo. Un modo come un altro per chiedere altri soldi. Altri aiuti. Altri contributi, piccole casse del mezzogiorno d'occasione, gepi&agensud di circostanza e piani straordinari. Si può dire di no? Di fronte a tante lacrime? Di fronte a tante emergenze?
VENDOLA
Si può essere così egoisti e antisolidali da non mettere mano al portafoglio? Da non far scorrere giorno dopo giorno nuovi fiumi di denaro come nei giorni dell'Iri funesta? Per l'amor del cielo. Si proceda: altri soldi. Altri aiuti. Altri contributi. Che è un po' come versare metà dello stipendio a uno che ti chiede l'elemosina, salvo poi scoprire che tiene sotto il materasso l'eredità milionaria della zia. Poi dicono che il Sud è senza soldi. Balle. Il sud è pieno di soldi. Solo che li tiene sotto il materasso come l'eredità della zia. Anzi, no: li tiene nei forzieri di Bruxelles.
La quota di fondi del programma 2007-2013 utilizzata dalle cinque Regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Campania, Puglia e Basilicata) ammonta al 9 per cento. Avete letto bene: proprio 9 per cento. Trasformato in voto scolastico non sarebbe nemmeno un «1». Diciamo: «1 meno meno». D'incoraggiamento. Fra l'altro tenete presente che quei soldi, a differenza di quelli che si mettono sotto il materasso, non si conservano. Al contrario: deperiscono.
LOMBARDO A LAMPEDUSA
Svaniscono nel nulla come i conigli nel cilindro del mago Alexander. Riflettete: il programma parte nel 2007. Siamo arrivati oltre la metà e siamo al 9 per cento: l'anno scorso l'Europa voleva già decurtare la dotazione. «Tanto non la usate». Ci fu un intervento del governo, il pericolo fu scongiurato. O, per lo meno, rimandato. Ma tutto il denaro che non avremo incassato entro il 2013, cioè entro i prossimi due anni, andrà perduto per sempre. Dirottato verso le regioni dell'Est Europa, che piangono uguale. Ma almeno lavorano di più.
CUFFARO
A luglio, quando Tremonti rimproverò la «cialtronaggine » dei governatori del Sud, incapaci di sfruttare i soldi messi a disposizione dall'Europa, ci fu una levata di scudi. «Non si fa, non si dice, ma per carità, il solito filo leghista, il ventriloquo di Bossi, il ragioniere della Valtellina ecc.». Tremonti, invece, aveva ragione. Eccome. Lo dimostrano i numeri che vi stiamo fornendo e che non sono stime, calcoli approssimati, opinioni varie e occasionali: sono dati della Ragioneria dello Stato.
AGAZIO LOIERO
Praticamente il vangelo dei conti nazionali. La bocca della verità economica. E allora ripetiamo con Tremonti: questi governanti del Sud sono dei cialtroni. Va bene, diamo pure il beneficio a quelli eletti da un anno di essere ancora non giudicabili, ma per gli altri non ci può essere pietà. Bassolino, Loiero, Vendola, Cuffaro, Lombardo: hanno governato per anni o governano da anni e hanno lasciato per strada tutto questo patrimonio.
ANTONIO BASSOLINO - COPYRIGHT PIZZI
Capaci soltanto di chiagnere e fottere. Perché non solo hanno peccato d'omissione, non solo si sono rivelati incapaci di sfruttare la ricchezza della loro meravigliosa terra, il talento e l'intelligenza dei loro straordinari cittadini, le bellezze naturali, le risorse storiche e culturali, mancando ogni occasione di crescita e sviluppo.
Ma hanno anche fallito nell' azione più semplice del mondo: quella di prendere i soldi (i nostri soldi, si badi bene) offerti come un regalo di Natale da Santa Claus Europa. Perché non l'hanno fatto? Boh. Forse perché si sono persi nei labirinti della burocrazia. Forse perché si sono persi nella mancanza di progetti e di idee. O forse, semplicemente, perché con i soldi in tasca sarebbero finiti gli alibi. Toccava darsi da fare. E smettere di piangere. Che, come è noto, per quanto faticoso, è pur sempre meglio che lavorare.
by dagospia
Poi dicono che il Sud è senza soldi. Balle. Il Sud è pieno di soldi. Basterebbe che li prendesse. I soldi sono lì, pronti, cash, a disposizione. Bisognerebbe solo compilare l'apposito modulo. Basterebbe averne voglia. Basterebbe un'idea. Non ci credete? Stiamo parlando di 31 miliardi, più di 60mila miliardi delle vecchie lire, tre volte il Pil dell' Islanda, per intenderci, 15 volte il fatturato di un gruppo internazionale come la Benetton. Sono i soldi che l'Europa mette a disposizione di cinque Regioni meridionali.
FONDI EUROPEI PER IL MEZZOGIORNO
Eppure le Regioni meridionali li snobbano. Li lasciano nel cassetto. Ci sputazzano sopra, insomma. Salvo poi mettersi a piangere che non hanno soldi. Che è un po' come morire di fame quando si ha la dispensa piena di biscotti al cioccolato.Per carità, all'università del lamento noi italiani siamo tutti laureati. I governanti del Sud, però, hanno pure il master. Roba da Harvard, docenza specializzata in piagnisteo multiplo e ripetuto, con irrorazione di lacrime comparate. A volte viene da pensare che se gli amministratori meridionali sapessero gestire la cosa pubblica come gestiscono la faccia di circostanza, oggi la Calabria sarebbe una specie di Norvegia felice e la Sicilia la dimostrazione dell'esistenza del Paradiso terrestre.
Invece sono in difficoltà. Come la Puglia, come la Campania. Non riescono a gestire non diciamo le emergenze, ma nemmeno l'ordinario quotidiano. Poi se la prendono con lo Stato che li abbandona. Con l'Europa che li trascura. E con la politica filo leghista del governo. Un modo come un altro per chiedere altri soldi. Altri aiuti. Altri contributi, piccole casse del mezzogiorno d'occasione, gepi&agensud di circostanza e piani straordinari. Si può dire di no? Di fronte a tante lacrime? Di fronte a tante emergenze?
VENDOLA
Si può essere così egoisti e antisolidali da non mettere mano al portafoglio? Da non far scorrere giorno dopo giorno nuovi fiumi di denaro come nei giorni dell'Iri funesta? Per l'amor del cielo. Si proceda: altri soldi. Altri aiuti. Altri contributi. Che è un po' come versare metà dello stipendio a uno che ti chiede l'elemosina, salvo poi scoprire che tiene sotto il materasso l'eredità milionaria della zia. Poi dicono che il Sud è senza soldi. Balle. Il sud è pieno di soldi. Solo che li tiene sotto il materasso come l'eredità della zia. Anzi, no: li tiene nei forzieri di Bruxelles.
La quota di fondi del programma 2007-2013 utilizzata dalle cinque Regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Campania, Puglia e Basilicata) ammonta al 9 per cento. Avete letto bene: proprio 9 per cento. Trasformato in voto scolastico non sarebbe nemmeno un «1». Diciamo: «1 meno meno». D'incoraggiamento. Fra l'altro tenete presente che quei soldi, a differenza di quelli che si mettono sotto il materasso, non si conservano. Al contrario: deperiscono.
LOMBARDO A LAMPEDUSA
Svaniscono nel nulla come i conigli nel cilindro del mago Alexander. Riflettete: il programma parte nel 2007. Siamo arrivati oltre la metà e siamo al 9 per cento: l'anno scorso l'Europa voleva già decurtare la dotazione. «Tanto non la usate». Ci fu un intervento del governo, il pericolo fu scongiurato. O, per lo meno, rimandato. Ma tutto il denaro che non avremo incassato entro il 2013, cioè entro i prossimi due anni, andrà perduto per sempre. Dirottato verso le regioni dell'Est Europa, che piangono uguale. Ma almeno lavorano di più.
CUFFARO
A luglio, quando Tremonti rimproverò la «cialtronaggine » dei governatori del Sud, incapaci di sfruttare i soldi messi a disposizione dall'Europa, ci fu una levata di scudi. «Non si fa, non si dice, ma per carità, il solito filo leghista, il ventriloquo di Bossi, il ragioniere della Valtellina ecc.». Tremonti, invece, aveva ragione. Eccome. Lo dimostrano i numeri che vi stiamo fornendo e che non sono stime, calcoli approssimati, opinioni varie e occasionali: sono dati della Ragioneria dello Stato.
AGAZIO LOIERO
Praticamente il vangelo dei conti nazionali. La bocca della verità economica. E allora ripetiamo con Tremonti: questi governanti del Sud sono dei cialtroni. Va bene, diamo pure il beneficio a quelli eletti da un anno di essere ancora non giudicabili, ma per gli altri non ci può essere pietà. Bassolino, Loiero, Vendola, Cuffaro, Lombardo: hanno governato per anni o governano da anni e hanno lasciato per strada tutto questo patrimonio.
ANTONIO BASSOLINO - COPYRIGHT PIZZI
Capaci soltanto di chiagnere e fottere. Perché non solo hanno peccato d'omissione, non solo si sono rivelati incapaci di sfruttare la ricchezza della loro meravigliosa terra, il talento e l'intelligenza dei loro straordinari cittadini, le bellezze naturali, le risorse storiche e culturali, mancando ogni occasione di crescita e sviluppo.
Ma hanno anche fallito nell' azione più semplice del mondo: quella di prendere i soldi (i nostri soldi, si badi bene) offerti come un regalo di Natale da Santa Claus Europa. Perché non l'hanno fatto? Boh. Forse perché si sono persi nei labirinti della burocrazia. Forse perché si sono persi nella mancanza di progetti e di idee. O forse, semplicemente, perché con i soldi in tasca sarebbero finiti gli alibi. Toccava darsi da fare. E smettere di piangere. Che, come è noto, per quanto faticoso, è pur sempre meglio che lavorare.
by dagospia
martedì 29 marzo 2011
REPORT” NON SVELA SOLO LA LOGISTICA SVIZZERA GRAZIE ALLA QUALE MARPIONNE PAGA MENO TASSE, MA RIVELA ANCHE COME LA FIAT RENDE LA VITA FELICE AI SUOI FORNITORI - 2- PER POTER VENDERE I LORO PRODOTTI AL LINGOTTO, OGNI ANNO I FORNITORI DEVONO PAGARE UN ASSEGNO (“BONUS”) INTESTATO A “FIAT SPA”, IN PERCENTUALE SULL’ORDINE - 3- CELLINO, PRESIDENTE API: "COSA SUCCEDE? IO FIAT TI DICO, ALLA FINE DELL’ANNO TI CONTEGGIO QUANTO TI HO DATO DI LAVORO, 10 MILIONI DI EURO, E TU MI DAI IL 2% DI DIECI MILIONI DI EURO, CIOÈ SONO 200.000 EURO: TI FACCIO UN ASSEGNO. QUESTO È IL BONUS" - 4- MOLTI FORNITORI DENUNCIANO UN TORBIDO GIRO DI “INTERMEDIARI”, “CONSULENTI” ED EX DIPENDENTI FIAT, NON AUTORIZZATI, CHE INTASCANO MIGLIAIA DI EURO PER GARANTIRE GLI APPALTI. CHI LAVORA NELL’INDOTTO NON HA SCELTA E PAGA... -
- LA FIAT E IL "BONUS" DEI FORNITORI
Dalla trascrizione di "Report" del 27 marzo 2011
GIOVANNA BOURSIER FUORI CAMPO
La Fiat (...) oggi ha circa 200.000 dipendenti nel mondo, in Italia 80.000 più l'indotto, che solo in Piemonte significa 100.000 addetti e 880 aziende. Uno dei fornitori è il Presidente Associazione Piccole Imprese.
MARCHIONNE E ELKANN BIG
GIOVANNA BOURSIER
Si deve pagare per diventare fornitori Fiat?
FABRIZIO CELLINO - PRESIDENTE API (Associazione Piccole Imprese)
No, quello che le posso dire è che nelle varie trattative, così come ci sono con anche committenze estere, ci sono evidentemente degli accordi pluriennali delle riduzioni richieste, ora queste riduzioni possono venire a fronte di riduzioni di listini, come è più usuale o in altri casi come bonus, nel senso di dire: invece di oggi toglierti l'1%, 2% sul prezzo di listino, a fronte magari di aumenti, di incrementi di volume o di fatturato, io alla fine dell'anno conteggio questo 1%, non lo togliamo dal listino, ma mi è dato un bonus al committente. Cioè cosa succede: io Fiat ti dico, alla fine dell'anno ti conteggio quanto ti ho dato di lavoro, 10 milioni di euro, e tu mi dai il 2% di dieci milioni di euro, cioè sono 200.000 euro: ti faccio un assegno. Questo è il bonus.
GIOVANNA BOURSIER
Ma a chi?
MARCHIONNE JOHN ELKANN E LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO
FABRIZIO CELLINO - PRESIDENTE API
Agli acquisti della Fiat, io intesto un assegno alla Fiat S.p.a. Poi, se per entrare nella fornitura, ti devo dare dei soldi, allora, questo può succedere... nel senso che ne ho sentito parlare ... io però personalmente non l'ho mai vissuto. Io c'ho qui un pacchetto da 3 milioni di euro di nuovo lavoro, faccio un'asta - tra virgolette - e ti dico: "oltre al prezzo, questa fornitura, mi dici quanto mi dai di bonus". Voglio dire.. mh non mi piace... però sta nel gioco delle parti perché io posso non accettarlo.
GIOVANNA BOURSIER FUORI CAMPO
C'è chi ci ha rimesso l'azienda. Parliamo di subfornitura e di consulenti che chiederebbero la percentuale per trovarti il lavoro.
PARLA UN SUBFORNITORE DELLA MAGNETI MARELLI
Ti affidi ad una serie di persone che pensi per bene, i quali o sono ex dipendenti o sono in pensione e fanno da tramite tra chi è ancora dentro e chi deve lavorare per vivere, procacciando del lavoro che già in partenza comunque è senza utile. Quindi segnano già le loro percentuali, quando ti accorgi dopo due o tre anni di quello che hai fatto scopri che hanno guadagnato solo loro, te hai solo fatto debito. Chiamiamola una consulenza...
JOHN ELKANN CON MARCHIONNE
GIOVANNA BOURSIER
Cioè non ho capito: loro chiedono una parte per loro?
PARLA UN SUBFORNITORE DELLA MAGNETI MARELLI
Certo che sì.
GIOVANNA BOURSIER
Quanto chiedono?
PARLA UN SUBFORNITORE DELLA MAGNETI MARELLI
Su un caso di una di queste agenzie di consulenza eravamo al 6% più 3.500 al mese di fisso.
GIOVANNA BOURSIER
In nero?
UOMO
No, no: sono organizzati con fatture e tutto quanto. E' tutto molto regolare è difficile che avvengano delle cose, sono molto molto organizzati. È tutto sbagliato, ma la forma è tutta corretta. Sono delle società di consulenza. Uno basta che non ci vada e non succede niente. Il problema è che hai bisogno di lavorare per cui come tutti cerchi qualche aggancio.
GIOVANNA BOURSIER
Ma se il fornitore, che già farà un'offerta al ribasso, per cercare di avere quel lavoro, se poi deve pure pagarci come dire il bonus, la qualità del prodotto Fiat può diminuire.
FABRIZIO CELLINO - PRESIDENTE API
Quello che le posso dire è che oggi noi riscontriamo una necessità di abbassare ulteriormente i prezzi per riuscire a prendere nuovo lavoro e questo può essere nel lungo periodo anche una difficoltà oggettiva per le piccole e medie imprese. Devo dire che posso anche pensare che ci siano delle piccole e medie imprese che oggi, per riuscire a tirare avanti, come si dice tra virgoletatto, facciano una specie di dumping di prezzo e lo abbassino anche oltre a quello che non dovrebbero fare.
FIAT MIRAFIORI
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Allora Fiat precisa che "tratta direttamente con i fornitori ed esclude rapporti con eventuali intermediari, mentre conferma la prassi dello sconto sotto forma di bonus da restituire con assegno per ripristinare l'equilibrio economico del rapporto"... misteri della contabilità. Sta di fatto che il prodotto vende poco e adesso siamo al bivio: da una parte i 60.000 dipendenti che per tenersi il posto devono accettare condizioni molto dure, dall'altra Fiat che diventa grande con Chrysler.
Allora, Marchionne ha sempre detto che l'alleanza con Chrysler avrebbe portato una nuova stagione gloriosa per la fiat, non solo avremmo salvato posti di lavoro, ma anzi ne avremmo creati di nuovi. Cerchiamo di capire come, andando là, possiamo diventare grandi qua... L'operazione è iniziata nel 2009, Chrysler è appena uscita dal fallimento, e deve iniziare la ristrutturazione servono soldi e un partner. Il governo americano e quello canadese prestano 7 miliardi e mezzo e il partner è Fiat.
GABANELLI
2 - LA CAPORETTO TV DI MARCHIONNE - "REPORT" SPIEGA A 3,5 MILIONI DI PERSONE COME FA A PAGARE MENO TASSE...
Giorgio Meletti per "il Fatto quotidiano"
La notizia era stata già pubblicata mesi fa dal Fatto e da altre testate. Ma domenica sera ben tre milioni e mezzo di telespettatori hanno imparato dalla prima puntata della nuova serie di Report come fa Sergio Marchionne a risparmiare sulla tasse. L'inchiesta firmata da Giovanna Boursier per il settimanale di Milena Gabanelli non è stata avara di particolari, affidando al noto fiscalista Tommaso Di Tanno un semplice calcolo: sui quattro milioni di stipendio che prende dalla Fiat, l'amministratore delegato sottrae ogni anno 500 mila euro all'erario italiano grazie alla residenza in Svizzera, nel cantone di Zug.
Se fosse residente in Italia, seguendo l'appello che la Gabanelli gli ha rivolto dal video, Marchionne pagherebbe di tasse il 43 per cento del suo reddito. Come residente in Svizzera, invece, è sottoposto solo a un'aliquota secca del 30 per cento.
GIOVANNA BOURSIER
Per la Fiat si è trattata di una Caporetto televisiva. Difficile convincere i telespettatori che, a fronte delle quotidiane lezioni di Marchionne su come recuperare la competitività perduta, si debba assistere serenamente al magistero di come si risparmiano 500 mila euro all'anno di tasse. Ma lo spettacolo delle incertezze del vertice Fiat si è arricchito di altri momenti memorabili. A chi aveva ancora dei dubbi sulla volontà della capogruppo Exor di abbandonare l'Italia, Report ha offerto un impagabile squarcio di verità.
CESARE ROMITI
Il 10 gennaio 2011, alla vigilia del drammatico referendum di Mirafiori, il presidente John Elkann rilascia un'intervista al Tg2, che però non la manda in onda. Finalmente domenica sera gli spettatori hanno visto e sentito. Domanda: "Il cuore della Fiat è metà americano e metà italiano o in che percentuale?". Risposta: "No, ma queste sono tutte domande che poi sono interpretate male. Fatta la domanda così poi dopo qualunque risposta io do non la riesco a rigirare".
SERGIO CHIAMPARINO LAP
Brutta immagine per la Fiat anche dalle parole rancorose del quasi 88enne Cesare Romiti che ha escluso dal novero degli storici capi Fiat (Agnelli fondatore, Agnelli avvocato, Vittorio Valletta e Romiti medesimo) sia Umberto Agnelli che il giovane Marchionne. In compenso Romiti giura di non ricordare quanto lo pagavano alla Fiat, e allora la Gabanelli ricorda che nel 1998 se ne andò con una liquidazione di 101 miliardi di lire (ma in verità erano 101,5 milioni di euro, cioè il doppio).
Unico sostegno all'immagine Fiat è risultasto quello, consueto, del sindaco di Torino, Sergio Chiamparino (Pd), che mantiene per Marchionne un posto nel Pantheon della sinistra. Domanda: "Molto di sinistra Marchionne?". Risposta: "Su certe cose molto più a sinistra di me...". E probabilmente ha ragione.
by dagospia
Dalla trascrizione di "Report" del 27 marzo 2011
GIOVANNA BOURSIER FUORI CAMPO
La Fiat (...) oggi ha circa 200.000 dipendenti nel mondo, in Italia 80.000 più l'indotto, che solo in Piemonte significa 100.000 addetti e 880 aziende. Uno dei fornitori è il Presidente Associazione Piccole Imprese.
MARCHIONNE E ELKANN BIG
GIOVANNA BOURSIER
Si deve pagare per diventare fornitori Fiat?
FABRIZIO CELLINO - PRESIDENTE API (Associazione Piccole Imprese)
No, quello che le posso dire è che nelle varie trattative, così come ci sono con anche committenze estere, ci sono evidentemente degli accordi pluriennali delle riduzioni richieste, ora queste riduzioni possono venire a fronte di riduzioni di listini, come è più usuale o in altri casi come bonus, nel senso di dire: invece di oggi toglierti l'1%, 2% sul prezzo di listino, a fronte magari di aumenti, di incrementi di volume o di fatturato, io alla fine dell'anno conteggio questo 1%, non lo togliamo dal listino, ma mi è dato un bonus al committente. Cioè cosa succede: io Fiat ti dico, alla fine dell'anno ti conteggio quanto ti ho dato di lavoro, 10 milioni di euro, e tu mi dai il 2% di dieci milioni di euro, cioè sono 200.000 euro: ti faccio un assegno. Questo è il bonus.
GIOVANNA BOURSIER
Ma a chi?
MARCHIONNE JOHN ELKANN E LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO
FABRIZIO CELLINO - PRESIDENTE API
Agli acquisti della Fiat, io intesto un assegno alla Fiat S.p.a. Poi, se per entrare nella fornitura, ti devo dare dei soldi, allora, questo può succedere... nel senso che ne ho sentito parlare ... io però personalmente non l'ho mai vissuto. Io c'ho qui un pacchetto da 3 milioni di euro di nuovo lavoro, faccio un'asta - tra virgolette - e ti dico: "oltre al prezzo, questa fornitura, mi dici quanto mi dai di bonus". Voglio dire.. mh non mi piace... però sta nel gioco delle parti perché io posso non accettarlo.
GIOVANNA BOURSIER FUORI CAMPO
C'è chi ci ha rimesso l'azienda. Parliamo di subfornitura e di consulenti che chiederebbero la percentuale per trovarti il lavoro.
PARLA UN SUBFORNITORE DELLA MAGNETI MARELLI
Ti affidi ad una serie di persone che pensi per bene, i quali o sono ex dipendenti o sono in pensione e fanno da tramite tra chi è ancora dentro e chi deve lavorare per vivere, procacciando del lavoro che già in partenza comunque è senza utile. Quindi segnano già le loro percentuali, quando ti accorgi dopo due o tre anni di quello che hai fatto scopri che hanno guadagnato solo loro, te hai solo fatto debito. Chiamiamola una consulenza...
JOHN ELKANN CON MARCHIONNE
GIOVANNA BOURSIER
Cioè non ho capito: loro chiedono una parte per loro?
PARLA UN SUBFORNITORE DELLA MAGNETI MARELLI
Certo che sì.
GIOVANNA BOURSIER
Quanto chiedono?
PARLA UN SUBFORNITORE DELLA MAGNETI MARELLI
Su un caso di una di queste agenzie di consulenza eravamo al 6% più 3.500 al mese di fisso.
GIOVANNA BOURSIER
In nero?
UOMO
No, no: sono organizzati con fatture e tutto quanto. E' tutto molto regolare è difficile che avvengano delle cose, sono molto molto organizzati. È tutto sbagliato, ma la forma è tutta corretta. Sono delle società di consulenza. Uno basta che non ci vada e non succede niente. Il problema è che hai bisogno di lavorare per cui come tutti cerchi qualche aggancio.
GIOVANNA BOURSIER
Ma se il fornitore, che già farà un'offerta al ribasso, per cercare di avere quel lavoro, se poi deve pure pagarci come dire il bonus, la qualità del prodotto Fiat può diminuire.
FABRIZIO CELLINO - PRESIDENTE API
Quello che le posso dire è che oggi noi riscontriamo una necessità di abbassare ulteriormente i prezzi per riuscire a prendere nuovo lavoro e questo può essere nel lungo periodo anche una difficoltà oggettiva per le piccole e medie imprese. Devo dire che posso anche pensare che ci siano delle piccole e medie imprese che oggi, per riuscire a tirare avanti, come si dice tra virgoletatto, facciano una specie di dumping di prezzo e lo abbassino anche oltre a quello che non dovrebbero fare.
FIAT MIRAFIORI
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Allora Fiat precisa che "tratta direttamente con i fornitori ed esclude rapporti con eventuali intermediari, mentre conferma la prassi dello sconto sotto forma di bonus da restituire con assegno per ripristinare l'equilibrio economico del rapporto"... misteri della contabilità. Sta di fatto che il prodotto vende poco e adesso siamo al bivio: da una parte i 60.000 dipendenti che per tenersi il posto devono accettare condizioni molto dure, dall'altra Fiat che diventa grande con Chrysler.
Allora, Marchionne ha sempre detto che l'alleanza con Chrysler avrebbe portato una nuova stagione gloriosa per la fiat, non solo avremmo salvato posti di lavoro, ma anzi ne avremmo creati di nuovi. Cerchiamo di capire come, andando là, possiamo diventare grandi qua... L'operazione è iniziata nel 2009, Chrysler è appena uscita dal fallimento, e deve iniziare la ristrutturazione servono soldi e un partner. Il governo americano e quello canadese prestano 7 miliardi e mezzo e il partner è Fiat.
GABANELLI
2 - LA CAPORETTO TV DI MARCHIONNE - "REPORT" SPIEGA A 3,5 MILIONI DI PERSONE COME FA A PAGARE MENO TASSE...
Giorgio Meletti per "il Fatto quotidiano"
La notizia era stata già pubblicata mesi fa dal Fatto e da altre testate. Ma domenica sera ben tre milioni e mezzo di telespettatori hanno imparato dalla prima puntata della nuova serie di Report come fa Sergio Marchionne a risparmiare sulla tasse. L'inchiesta firmata da Giovanna Boursier per il settimanale di Milena Gabanelli non è stata avara di particolari, affidando al noto fiscalista Tommaso Di Tanno un semplice calcolo: sui quattro milioni di stipendio che prende dalla Fiat, l'amministratore delegato sottrae ogni anno 500 mila euro all'erario italiano grazie alla residenza in Svizzera, nel cantone di Zug.
Se fosse residente in Italia, seguendo l'appello che la Gabanelli gli ha rivolto dal video, Marchionne pagherebbe di tasse il 43 per cento del suo reddito. Come residente in Svizzera, invece, è sottoposto solo a un'aliquota secca del 30 per cento.
GIOVANNA BOURSIER
Per la Fiat si è trattata di una Caporetto televisiva. Difficile convincere i telespettatori che, a fronte delle quotidiane lezioni di Marchionne su come recuperare la competitività perduta, si debba assistere serenamente al magistero di come si risparmiano 500 mila euro all'anno di tasse. Ma lo spettacolo delle incertezze del vertice Fiat si è arricchito di altri momenti memorabili. A chi aveva ancora dei dubbi sulla volontà della capogruppo Exor di abbandonare l'Italia, Report ha offerto un impagabile squarcio di verità.
CESARE ROMITI
Il 10 gennaio 2011, alla vigilia del drammatico referendum di Mirafiori, il presidente John Elkann rilascia un'intervista al Tg2, che però non la manda in onda. Finalmente domenica sera gli spettatori hanno visto e sentito. Domanda: "Il cuore della Fiat è metà americano e metà italiano o in che percentuale?". Risposta: "No, ma queste sono tutte domande che poi sono interpretate male. Fatta la domanda così poi dopo qualunque risposta io do non la riesco a rigirare".
SERGIO CHIAMPARINO LAP
Brutta immagine per la Fiat anche dalle parole rancorose del quasi 88enne Cesare Romiti che ha escluso dal novero degli storici capi Fiat (Agnelli fondatore, Agnelli avvocato, Vittorio Valletta e Romiti medesimo) sia Umberto Agnelli che il giovane Marchionne. In compenso Romiti giura di non ricordare quanto lo pagavano alla Fiat, e allora la Gabanelli ricorda che nel 1998 se ne andò con una liquidazione di 101 miliardi di lire (ma in verità erano 101,5 milioni di euro, cioè il doppio).
Unico sostegno all'immagine Fiat è risultasto quello, consueto, del sindaco di Torino, Sergio Chiamparino (Pd), che mantiene per Marchionne un posto nel Pantheon della sinistra. Domanda: "Molto di sinistra Marchionne?". Risposta: "Su certe cose molto più a sinistra di me...". E probabilmente ha ragione.
by dagospia
LA VENDETTA DI MARA: NON VA GIÙ ESSERE LIQUIDATA COME "UN ERRORE" DA BOCCHINO - 2- AL FINE DI SVICOLARE UN POSSIBILE E IMBARAZZANTE CONTRADDITTORIO, LA MINISTRA (PER MANCANZA DI PROVE) APPARECCHIA UN IMBARAZZANTE VIDEO-MESSAGGIO - 3- VISTO CHE È SENZA FUTURO - DENTRO IL PDL È RIPUDIATA COME "TRADITRICE", UNO SBARCO NEL PARTITO DI FINI, DOPO L’INTERVISTA DELLA MOGLIE DI BOCCHINO, PORTEREBBE A UNA ROTTURA MATRIMONIALE - PER L’EX VALLETTA COCCA DEL BANANA NON RIMANE ALTRO CHE TENTARE DI SALVARE L’UNICA VIA D’USCITA: LE NOZZE CON MEZZAROMA - 4- UN "AVVISO" IMBARAZZANTE: “MEZZAROMA È L’UNICA PERSONA CHE AMO DAL 2008" - 5- MA SE FINO A TRE MESI FA LA SIGNORINA RINGRAZIAVA BOCCHINO SUI GIORNALI? MA SE TUTTI I SUOI COLLABORATORI AL MINISTERO ERANO TARGATI BOCCHINO? (L’UNICA FUORI GIRO, SIMONETTA MATONE, È STATA ACCOMPAGNATA ALL’USCITA). PER NON PARLARE DELLA CAMPAGNA DELLE REGIONALI FATTA PORTA A PORTA CON IL MAL-DESTRO BOCCHINO -
Dal blog di Mara Carfagna, http://www.maracarfagna.net/
IL VIDEO MESSAGGIO DI MARA CARFAGNA
Fino al minuto 2:40, il ripasso delle opere del ministro. Dal minuto 2:41, un sorriso forzato introduce il discorso sulla vita privata, le domande sulla tresca ammessa da Bocchino e sul suo rapporto con Marco Mezzaroma, l'imprenditore immobiliare romano con cui si sposerà a giugno
http://bit.ly/hwRWz4
VIDEOMESSAGGIO MARA CARFAGNA
Cari amici, in questi anni, in questi mesi abbiamo condiviso tantissime battaglie, e ho ricevuto da voi tanti apprezzamenti, tanti consigli e spesso anche critiche, ma tutto questo era rivolto alla mia attività politica ed istituzionale. Attività politica grazie alla quale siamo riusciti a varare quella legge che in Italia introduce per la prima volta il reato di stalking.
BOCCHINO E CARFAGNA NEL
Abbiamo introdotto norme che garantiscono che chi commette atti di violenza e abusi su minori e su donne sconti la pena in carcere dal primo giorno all'ultimo giorno senza mai uscire. Ancora tante battaglie per evitare che le donne siano vittime di discriminazioni su luoghi di lavoro.
Ancora, abbiamo stanziato 40 milioni di Euro per finanziare asili nido. Siamo quasi al traguardo per quello che riguarda un disegno di Legge.
Un lavoro lungo, faticoso, operoso che ci ha portato a raggiungere risultati importanti. Sicuramente ancora molto c'è da fare, e lo faremo ed io continuerò su questa strada nella convinzione che lavorare per favorire l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro e per favorire e promuovere le pari opportunità delle donne all'interno della nostra società non è solo una questione di equità e giustizia ma favorirebbe lo sviluppo economico e sociale del nostro paese.
CARFAGNA E BOCCHINO IN PARLAMENTO
BOCCHINO DA FAZIO
Abbiamo fatto molto in questi quasi tre anni di Governo, ma sicuramente c'è ancora molto da fare, e lo faremo, con passione e determinazione e di questo vi renderò conto nei prossimi mesi, ma voi oggi da me volete altre risposte, mi chiedete di confermare o smentire quel gossip che ha alimentato le pagine dei giornali in questi giorni. Di queste cose ne devo parlare con una sola persona, anche se mi imbarazza molto perché riguarda la mia vita privata. Ma credo che ne debba parlare solo con Marco Mezzaroma, che è l'unica persona che amo dal 2008, la persona che ho deciso di sposare nei prossimi mesi.
MARA CARFAGNA E IL FIDANZATO MARCO MEZZAROMA
Il resto sono solo chiacchiere al vento e che il vento se le porti, ed è l'ultima volta che parlo di vicende personali, per il resto sarò sempre qui puntuale a rispondere di tutte le cose che faccio.
MARA CARFAGNA MARCO MEZZAROMA
«ITALO? CHIACCHIERE, IO AMO SOLO MARCO»
Corriere.it
Un messaggio in video sul suo blog per dire che quelle di una presunta relazione con Italo Boccino sono solo «chiacchiere al vento». Mara Carfagna rompe il silenzio sui rumors che scuotono da giorni il panorama politico e usa la Rete per dichiarare amore profondo al fidanzato Marco Mezzaroma.
«Mi si chiede - dice il ministro delle Pari Opportunità nel filmato postato sul web - di confermare o smentire quel gossip che ha alimentato le pagine dei giornali in questi giorni. Di queste cose ne devo parlare con una sola persona - spiega -, anche se mi imbarazza molto perché riguarda la mia vita privata. Ma credo - prosegue - che ne debba parlare solo con Marco Mezzaroma, che è l'unica persona che amo dal 2008, la persona che ho deciso di sposare nei prossimi mesi».
CARFAGNA TRA BOCCHINO E BERLUSCONI
BERLUSCONI GELMINI CARFAGNA BARALDI VIA NONLEGGERLO
Dopo aver snocciolato i risultati del suo lavoro al ministero, la Carfagna dedica giusto poche battute alla presunta relazione con il deputato futurista. «Sono solo chiacchiere al vento e che il vento se le porti, ed è l'ultima volta che parlo di vicende personali, per il resto sarò sempre qui puntuale a rispondere di tutte le cose che faccio».
LE SCUSE DI LUI - Era stata Graziella Buontempo, la moglie di Bocchino, a rivelare dalle pagine di Vanity Fair di essere a conoscenza da molto tempo di una relazione tra il marito e il ministro. Una uscita che ha spinto il deputato di Fli a porgere pubbliche scuse (in tv da Fabio Fazio) alla consorte «per gli errori commessi». Nel videomessaggio la Carfagna non è entrata, invece, nel merito della vicenda. E non ha seguito, quindi, il consiglio di Alessandra Mussolini che, certa del tradimento, le ha suggerito di domandare perdono alla moglie del futurista: «Un ministro delle Pari Opportunità che si mette in una situazione non semplice, sapendolo dovrebbe chiedere scusa».
CARFAGNA-BERLUSCONI
CARFAGNA-BERLUSCONI
«LO SCONTRO POLITICO NON DIVENTI GOSSIP» - Lo stesso Bocchino è tornato poi sulla vicenda, all'indomani dell'intervento a Che tempo che fa. «Sarebbe molto positivo per il Paese, come accade in altre democrazie, lasciare lo scontro politico ai valori, ai programmi, alle tesi proprie della politica» ha detto il coordinatore di Futuro e Libertà rispondendo a una domanda sul confine tra politica e gossip.
«Purtroppo - ha aggiunto - siamo in una fase di scontro politico molto duro che tende anche a travalicare, ma la cosa non ci preoccupa più di tanto perché, avendo fatto una scelta molto coraggiosa, sapevamo dall'inizio che si trattava di aprire una nuova frontiera per costruire una coalizione che fosse in grado di dare risposte ai cittadini».
by dagospia
IL VIDEO MESSAGGIO DI MARA CARFAGNA
Fino al minuto 2:40, il ripasso delle opere del ministro. Dal minuto 2:41, un sorriso forzato introduce il discorso sulla vita privata, le domande sulla tresca ammessa da Bocchino e sul suo rapporto con Marco Mezzaroma, l'imprenditore immobiliare romano con cui si sposerà a giugno
http://bit.ly/hwRWz4
VIDEOMESSAGGIO MARA CARFAGNA
Cari amici, in questi anni, in questi mesi abbiamo condiviso tantissime battaglie, e ho ricevuto da voi tanti apprezzamenti, tanti consigli e spesso anche critiche, ma tutto questo era rivolto alla mia attività politica ed istituzionale. Attività politica grazie alla quale siamo riusciti a varare quella legge che in Italia introduce per la prima volta il reato di stalking.
BOCCHINO E CARFAGNA NEL
Abbiamo introdotto norme che garantiscono che chi commette atti di violenza e abusi su minori e su donne sconti la pena in carcere dal primo giorno all'ultimo giorno senza mai uscire. Ancora tante battaglie per evitare che le donne siano vittime di discriminazioni su luoghi di lavoro.
Ancora, abbiamo stanziato 40 milioni di Euro per finanziare asili nido. Siamo quasi al traguardo per quello che riguarda un disegno di Legge.
Un lavoro lungo, faticoso, operoso che ci ha portato a raggiungere risultati importanti. Sicuramente ancora molto c'è da fare, e lo faremo ed io continuerò su questa strada nella convinzione che lavorare per favorire l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro e per favorire e promuovere le pari opportunità delle donne all'interno della nostra società non è solo una questione di equità e giustizia ma favorirebbe lo sviluppo economico e sociale del nostro paese.
CARFAGNA E BOCCHINO IN PARLAMENTO
BOCCHINO DA FAZIO
Abbiamo fatto molto in questi quasi tre anni di Governo, ma sicuramente c'è ancora molto da fare, e lo faremo, con passione e determinazione e di questo vi renderò conto nei prossimi mesi, ma voi oggi da me volete altre risposte, mi chiedete di confermare o smentire quel gossip che ha alimentato le pagine dei giornali in questi giorni. Di queste cose ne devo parlare con una sola persona, anche se mi imbarazza molto perché riguarda la mia vita privata. Ma credo che ne debba parlare solo con Marco Mezzaroma, che è l'unica persona che amo dal 2008, la persona che ho deciso di sposare nei prossimi mesi.
MARA CARFAGNA E IL FIDANZATO MARCO MEZZAROMA
Il resto sono solo chiacchiere al vento e che il vento se le porti, ed è l'ultima volta che parlo di vicende personali, per il resto sarò sempre qui puntuale a rispondere di tutte le cose che faccio.
MARA CARFAGNA MARCO MEZZAROMA
«ITALO? CHIACCHIERE, IO AMO SOLO MARCO»
Corriere.it
Un messaggio in video sul suo blog per dire che quelle di una presunta relazione con Italo Boccino sono solo «chiacchiere al vento». Mara Carfagna rompe il silenzio sui rumors che scuotono da giorni il panorama politico e usa la Rete per dichiarare amore profondo al fidanzato Marco Mezzaroma.
«Mi si chiede - dice il ministro delle Pari Opportunità nel filmato postato sul web - di confermare o smentire quel gossip che ha alimentato le pagine dei giornali in questi giorni. Di queste cose ne devo parlare con una sola persona - spiega -, anche se mi imbarazza molto perché riguarda la mia vita privata. Ma credo - prosegue - che ne debba parlare solo con Marco Mezzaroma, che è l'unica persona che amo dal 2008, la persona che ho deciso di sposare nei prossimi mesi».
CARFAGNA TRA BOCCHINO E BERLUSCONI
BERLUSCONI GELMINI CARFAGNA BARALDI VIA NONLEGGERLO
Dopo aver snocciolato i risultati del suo lavoro al ministero, la Carfagna dedica giusto poche battute alla presunta relazione con il deputato futurista. «Sono solo chiacchiere al vento e che il vento se le porti, ed è l'ultima volta che parlo di vicende personali, per il resto sarò sempre qui puntuale a rispondere di tutte le cose che faccio».
LE SCUSE DI LUI - Era stata Graziella Buontempo, la moglie di Bocchino, a rivelare dalle pagine di Vanity Fair di essere a conoscenza da molto tempo di una relazione tra il marito e il ministro. Una uscita che ha spinto il deputato di Fli a porgere pubbliche scuse (in tv da Fabio Fazio) alla consorte «per gli errori commessi». Nel videomessaggio la Carfagna non è entrata, invece, nel merito della vicenda. E non ha seguito, quindi, il consiglio di Alessandra Mussolini che, certa del tradimento, le ha suggerito di domandare perdono alla moglie del futurista: «Un ministro delle Pari Opportunità che si mette in una situazione non semplice, sapendolo dovrebbe chiedere scusa».
CARFAGNA-BERLUSCONI
CARFAGNA-BERLUSCONI
«LO SCONTRO POLITICO NON DIVENTI GOSSIP» - Lo stesso Bocchino è tornato poi sulla vicenda, all'indomani dell'intervento a Che tempo che fa. «Sarebbe molto positivo per il Paese, come accade in altre democrazie, lasciare lo scontro politico ai valori, ai programmi, alle tesi proprie della politica» ha detto il coordinatore di Futuro e Libertà rispondendo a una domanda sul confine tra politica e gossip.
«Purtroppo - ha aggiunto - siamo in una fase di scontro politico molto duro che tende anche a travalicare, ma la cosa non ci preoccupa più di tanto perché, avendo fatto una scelta molto coraggiosa, sapevamo dall'inizio che si trattava di aprire una nuova frontiera per costruire una coalizione che fosse in grado di dare risposte ai cittadini».
by dagospia
TOTO-NOMINE, TOTO-MINE – LA GUERRA DI POLTRONE TRA TREMONTI E LETTA PER I VERTICI DELLE GRANDI AZIENDE POTREBBE CONCLUDERSI CON LE CONFERME-TREGUA DI CONTI-GNUDI (ENEL) E POLI-SCARONI (ENI) – PARTITA INCERTA PER FINMECCANICA: O’GUARGUAGLIONE SARÀ DI SICURO DEPOTENZIATO CON L’AFFIANCAMENTO DI UN NUOVO AMMINISTRATORE DELEGATO (IN CORSA ORSI, ZAMPINI, PANSA E ZAPPA) – MA C’È UN’ALTRA PARTITA TUTTA DA GIOCARE E ALTRETTANTO DECISIVA: LA PATTUGLIA DEI CONSIGLIERI CHE ANDRANNO A COMPORRE I BOARD DELLE SOCIETA’…
(Adnkronos) - Sta per cominciare il valzer d primavera delle nomine ai vertici dei grandi gruppi a controllo statale. E' ormai imminente la presentazione delle liste da parte dell'azionista Tesoro, che dovra' pubblicarle entro il prossimo 4 aprile. A questo primo appello sono chiamate Eni, Enel e Finmeccanica. Per Terna, il termine e' fissato per 16 aprile e poi sara' la volta di Poste Italiane.
Il tempo stringe, dunque, ma il quadro non si presenta, ancora, compiutamente definito: quella che sembra, a momento, prevalere e' la linea della di una sostanziale conferma degli attuali assetti ma non e' escluso che nella formazione delle coppie che scenderanno in pista non ci sia qualche sorpresa dell'ultimo momento.
ROBERTO POLI PIERO GNUDI
Tutto dipenderà, secondo i 'rumors' che da tempo girano con insistenza, dal punto di equilibrio che raggiungera' il confronto tra i due principali registi di questa operazione: il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, che propenderebbe per una sostanziale conferma dello 'status quo', e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che vedrebbe con favore un rafforzamento della squadra di manager d'area leghista.
E, comunque, va sempre ricordato, che, oltre alle nomine ai massimi vertici, c'e' sempre la partita, che si gioca al livello immediatamente piu' basso e che ha il suo peso per realizzare il giusto equilibrio tra diverse 'anime' della politica, e cioe' la pattuglia dei consiglieri che andranno a comporre i board delle societa'
PAOLO SCARONI
Tira aria di conferma ai vertici dell'Eni, guidata dal tandem composto dall'amministratore delegato, Paolo Scaroni, e il presidente Roberto Poli. Questi due nomi, in verita', sembravano in dubbio per le perplessita' nutrite dal Carroccio. Perplessita' che ora sembrerebbero superate.
FULVIO CONTI PIERO GNUDI
Anche per l'Enel, non dovrebbero esserci particolari sorprese. Scontata sembra la conferma dell'amministratore delegato, Fulvio Conti. E di conferma si parla anche per il presidente, Piero Gnudi, che avrebbe la fiducia del premier Silvio Berlusconi. Nondimeno, non pochi sarebbero gli aspiranti alla poltrona di presidente: si parla dell'ex sindaco di Busto Arsizio Gianfranco Tosi, del viceministro alle Infrastrutture, Roberto Castelli. Che per altro potrebbe essere anche chiamato alla presidenza di Terna.
ROBERTO CASTELLI
Altro nome che circola è quello del commissario straordinario della vecchia Alitalia, Augusto Fantozzi, che, invece sempre secondo le voci del 'totonomine', potrebbe contare sull'appoggio di Letta. La partita piu' incerta e' quella che riguarda Finmeccanica. Ormai, da tempo si parla di uno sdoppiamento dell'incarico di presidente e amministratore delegato, attualmente, rivestiti da Pier Francesco Guarguaglini. Il quale, va ricordato, addirittura piu' di un anno fa, aveva ricevuto pubblicamente la nuova investitura da sottosegretario Letta, a fronte dei risultati raggiunti dalla holding dell'aerospazio e difesa.
PIER FRANCESCO GUARGUAGLINI E MARINA GROSSI
Da allora di tempo ne e' passato e un'ombra e' stata gettata dalle vicende giudiziarie che hanno coinvolto il gruppo e l'ad di Selex Sistemi Integrati, Marina Grossi. Per una possibile successione nel tourbillon delle indiscrezioni, venivano indicato, Massimo Sarmi ad di Poste, Flavio Cattaneo, ad di Terna, il quale, pero', ha smentito il suo interesse per un trasloco a Piazza Montegrappa.
FLAVIO CATTANEO
Ma sono stati fatti i nomi anche di Massimo Ponzellini, Gianni De Gennaro, Gianni Castellaneta. Tuttavia, i bene informati sostengono che il numero uno di Finmeccanica abbia riguadagnato terreno e scommettono su una sua conferma come presidente con deleghe anche pesanti come quella sulle strategie.
Sarebbe allora aperta la partita per l'altra poltrona che scotta: quella di amministratore delegato. In pista ci sarebbero top manager della holding e di importanti societa' controllate. In pole, ci sono l'ad di AgustaWestland, Giuseppe Orsi forte dei risultati conseguiti ai vertici dell'azienda per'elicotteristica e dell'appoggio leghista e l'ad di Ansaldo Energia, Giuseppe Zampini. Ci sono poi il condirettore generale e direttore finanziario Alessandro Pansa e un altro manager di lungo corso in Finmeccanica quale e' il direttore generale Giorgio Zappa Altrettanto aperta sarebbe poi la partita per il rinnovo de vertice delle Poste.
MASSIMO PONZELLINI
La casella di amministratore delegato di Sarm potrebbe essere occupato da Danilo Broggi, attualmente amministratore delegato di Consip. Possibile cambio della guardia anche alla presidenza, sulla cui poltrona siede oggi Giovanni Ialongo Quanto poi a Terna, sembrerebbe destinato alla riconferma i'ticket' formato dall'ad Cattaneo e dal presidente Luigi Roth, che pure, nella vorticosa danza delle nomine, e' stato dato per 'papabile ad incarichi in altri collossi dello Stato. Qualora si optasse per un cambio alla presidenza, il candidato piu' accreditato sarebbe i eghista Castelli
by dagospia
Il tempo stringe, dunque, ma il quadro non si presenta, ancora, compiutamente definito: quella che sembra, a momento, prevalere e' la linea della di una sostanziale conferma degli attuali assetti ma non e' escluso che nella formazione delle coppie che scenderanno in pista non ci sia qualche sorpresa dell'ultimo momento.
ROBERTO POLI PIERO GNUDI
Tutto dipenderà, secondo i 'rumors' che da tempo girano con insistenza, dal punto di equilibrio che raggiungera' il confronto tra i due principali registi di questa operazione: il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, che propenderebbe per una sostanziale conferma dello 'status quo', e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che vedrebbe con favore un rafforzamento della squadra di manager d'area leghista.
E, comunque, va sempre ricordato, che, oltre alle nomine ai massimi vertici, c'e' sempre la partita, che si gioca al livello immediatamente piu' basso e che ha il suo peso per realizzare il giusto equilibrio tra diverse 'anime' della politica, e cioe' la pattuglia dei consiglieri che andranno a comporre i board delle societa'
PAOLO SCARONI
Tira aria di conferma ai vertici dell'Eni, guidata dal tandem composto dall'amministratore delegato, Paolo Scaroni, e il presidente Roberto Poli. Questi due nomi, in verita', sembravano in dubbio per le perplessita' nutrite dal Carroccio. Perplessita' che ora sembrerebbero superate.
FULVIO CONTI PIERO GNUDI
Anche per l'Enel, non dovrebbero esserci particolari sorprese. Scontata sembra la conferma dell'amministratore delegato, Fulvio Conti. E di conferma si parla anche per il presidente, Piero Gnudi, che avrebbe la fiducia del premier Silvio Berlusconi. Nondimeno, non pochi sarebbero gli aspiranti alla poltrona di presidente: si parla dell'ex sindaco di Busto Arsizio Gianfranco Tosi, del viceministro alle Infrastrutture, Roberto Castelli. Che per altro potrebbe essere anche chiamato alla presidenza di Terna.
ROBERTO CASTELLI
Altro nome che circola è quello del commissario straordinario della vecchia Alitalia, Augusto Fantozzi, che, invece sempre secondo le voci del 'totonomine', potrebbe contare sull'appoggio di Letta. La partita piu' incerta e' quella che riguarda Finmeccanica. Ormai, da tempo si parla di uno sdoppiamento dell'incarico di presidente e amministratore delegato, attualmente, rivestiti da Pier Francesco Guarguaglini. Il quale, va ricordato, addirittura piu' di un anno fa, aveva ricevuto pubblicamente la nuova investitura da sottosegretario Letta, a fronte dei risultati raggiunti dalla holding dell'aerospazio e difesa.
PIER FRANCESCO GUARGUAGLINI E MARINA GROSSI
Da allora di tempo ne e' passato e un'ombra e' stata gettata dalle vicende giudiziarie che hanno coinvolto il gruppo e l'ad di Selex Sistemi Integrati, Marina Grossi. Per una possibile successione nel tourbillon delle indiscrezioni, venivano indicato, Massimo Sarmi ad di Poste, Flavio Cattaneo, ad di Terna, il quale, pero', ha smentito il suo interesse per un trasloco a Piazza Montegrappa.
FLAVIO CATTANEO
Ma sono stati fatti i nomi anche di Massimo Ponzellini, Gianni De Gennaro, Gianni Castellaneta. Tuttavia, i bene informati sostengono che il numero uno di Finmeccanica abbia riguadagnato terreno e scommettono su una sua conferma come presidente con deleghe anche pesanti come quella sulle strategie.
Sarebbe allora aperta la partita per l'altra poltrona che scotta: quella di amministratore delegato. In pista ci sarebbero top manager della holding e di importanti societa' controllate. In pole, ci sono l'ad di AgustaWestland, Giuseppe Orsi forte dei risultati conseguiti ai vertici dell'azienda per'elicotteristica e dell'appoggio leghista e l'ad di Ansaldo Energia, Giuseppe Zampini. Ci sono poi il condirettore generale e direttore finanziario Alessandro Pansa e un altro manager di lungo corso in Finmeccanica quale e' il direttore generale Giorgio Zappa Altrettanto aperta sarebbe poi la partita per il rinnovo de vertice delle Poste.
MASSIMO PONZELLINI
La casella di amministratore delegato di Sarm potrebbe essere occupato da Danilo Broggi, attualmente amministratore delegato di Consip. Possibile cambio della guardia anche alla presidenza, sulla cui poltrona siede oggi Giovanni Ialongo Quanto poi a Terna, sembrerebbe destinato alla riconferma i'ticket' formato dall'ad Cattaneo e dal presidente Luigi Roth, che pure, nella vorticosa danza delle nomine, e' stato dato per 'papabile ad incarichi in altri collossi dello Stato. Qualora si optasse per un cambio alla presidenza, il candidato piu' accreditato sarebbe i eghista Castelli
by dagospia
“REPORT” SI CUCINA MARPIONNE AL ZUGO! COME RESIDENTE IN SVIZZERA (NEL CANTONE DETASSANTE DI ZUGO), IL NUOVO PADRONE DI CASA AGNELLI SBORSA IL 30% DI IMPOSTE INVECE DEL 43 SUL COMPENSO ANNUO DI 4 MILIONI, RISPARMIANDO 500MILA EURO! - 2- DA "REPORT": "SECONDO IL TESTO UNICO SULLA FISCALITÀ SE ABITI ALMENO 183 GIORNI L’ANNO IN ITALIA, NON PUOI PAGARE LE TASSE DA UN’ALTRA PARTE. IL SUO UFFICIO STAMPA CI DICE CHE A TORINO HA UNA CASA E CI STA ALMENO METÀ SETTIMANA" - 3- NON SOLO: BECCATO CHE SI PORTA IN SVIZZERA I GIARDINIERI PER PAGARE DI MENO! - 4- I BALBETTAMENTI DI ELKANN MENTRE IMPLORAVA IL TG2 DI NON TRASMETTERE LO STATO CONFUSIONALE DELLE SUE PAROLE SUL TRASLOCO DELLA SEDE DA TORINO A DETROIT - 5- PANCHO VILLARI ALL’ATTACCO: “CHE C’ENTRA IL CASO FIAT CON LA SUA CASA PRIVATA? -
IL LINK AL SERVIZIO DI REPORT SULLA FIAT: VIDEO E TESTO INTEGRALE
http://bit.ly/g28rkD
1- DAGOREPORT - YAKI IN STATO CONFUSIONALE
Nel "Report" di ieri sera con Marpionne hanno fatto enorme impressione i balbettamenti di Yaki Elkann che la Gabanelli ha messo in onda senza pietà. Il presidente della Fiat e di Exor è stato pescato mentre implorava la giornalista del Tg2 di non trasmettere lo stato confusionale delle sue parole sul trasferimento della sede da Torino a Detroit: uno spettacolo penoso.
2- "REPORT": LA CASA SVIZZERA DI MARCHIONNE E IL RISPARMIO SULLE TASSE
Dalla puntata di ieri sera di "Report" su Raitre
GIOVANNA BOURSIER
Mi dice dove abita lei.
SERGIO MARCHIONNE - AMMINISTRATORE DELEGATO FIAT
Dappertutto, guardi, faccio il giro del mondo io continuamente. Io sono residente svizzero da molti anni, e quindi lo ero prima di arrivare in Italia nel 2004.
BOURSIER
Dove?
MARCHIONNE
In Svizzera, cose personali è inutile che faccia la domanda, non domando dove abita lei
BOURSIER
Ma io glielo dico, però io la residenza fiscale ce l'ho in Italia.
MARCHIONNE
Ma io sono residente fiscale svizzero da anni. Quindi è inutile che cerchi di cambiare...
BOURSIER
Però ce l'ha a Zugo?
MARCHIONNE
Da sempre a Zugo.
BOURSIER
A Zugo
MARCHIONNE
Sempre!
BOURSIER FUORI CAMPO
Da 8 anni Marchionne comanda in Fiat, ma non vive in Italia. Ha casa a Toronto, a Detroit... e in Svizzera, dove la fiscalità è più conveniente. Ma, dentro la Svizzera, Marchionne ha la residenza fiscale nel cantone tedesco di Zugo, dove conviene ancora di più. Qui l'aliquota massima è del 23%.
[...]
YAKI ELKANN-LARGE
E' difficile capire quanto versa di tasse in Italia.
BOURSIER
Ma se lei vuole fare la grande Fabbrica Italia, perché non ha una casa in Italia, cioè perché non paga le tasse in Italia, chiariamolo!
MARCHIONNE
Le pago le tasse in Italia.
BOURSIER
No, non le paga in Italia.
MARCHIONNE
Le pago e poi pago la differenza in Svizzera. Io pago le tasse in Italia come un lavoratore italiano che vive all'estero, tutto lì, le pago come le pagano gli altri.
[...]
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
È soggetto a una ritenuta definitiva cioè a una sorta di cedolare secca del 30% sui compensi che percepisce da parte di una società italiana.
BOURSIER
Cioè questo vuol dire che lui paga il 30% con questa ritenuta secca in Italia e poi pagherà svizzera tra il 15% e il 23% a Zugo?
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
No, non paga più nulla in Svizzera, perché il trattato contro le doppie imposizioni fra Italia e Svizzera prevede che il prelievo, in questo caso, lo faccia soltanto il paese in cui risiede la società pagatrice e non c'è null'altro da pagare nel paese di residenza del manager. Quindi paga il 30%, punto e basta.
BOURSIER
Quindi vuol dire che rispetto all'aliquota del 43%, sarebbe l'aliquota italiana...
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
Se fosse residente in Italia o comunque se passasse in Italia più di 183 giorni l'anno allora, in questo caso, in Italia pagherebbe il 43%; quindi il risparmio che questa persona consegue attraverso la residenza in Svizzera è del 13%.
BOURSIER
È del 13%...
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
E questo riguarda semplicemente i compensi percepiti a carico di una società italiana ma se questa persona percepisse degli ulteriori compensi...
BOURSIER
Cioè per esempio prende un compenso da un'azienda americana di cui è anche amministratore delegato?
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
Benissimo, in questo caso, nulla paga all'Italia, essendo un residente in Svizzera, pagherà in Svizzera un'aliquota compresa tra 15 e 23%.
BOURSIER
Comunque su 4 milioni di stipendio quel 13%...
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
Vale 500.000 euro.
BOURSIER
Non è poco? Ogni anno...
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
Questa è la situazione, buon per lui!
3- VILLARI, MA CHE C'ENTRA LA FIAT CON RESIDENZA MARCHIONNE?
(AGI) - Dovrebbe forse intervenire il Garante della privacy dopo la puntata di ieri di 'Report' su Raitre dedicata alle vicende Fiat, e in particolare per la parte relativa alla localita' (nel Cantone di Zugo, Svizzera centrale -lingua prevalente il tedesco- con uno dei livelli piu' bassi di tassazione del Paese, ndr) dove ufficialmente risulta residente Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo torinese.
MARCHIONNE SALUTA A PUGNO CHIUSO
Lo sostiene Riccardo Villari, vicepresidente di Coesione nazionale e gia' presidente -per un breve periodo- della commissione di Vigilanza Rai con i voti del Pdl quando era in forza al Pd. "La prima puntata dell'atteso ritorno della trasmissione di Milena Gabanelli era dedicata alla Fiat", dice Villari, "e tra i vari servizi c'era anche una lunga intervista a Sergio Marchionne.
Quando la giornalista autrice del servizio gli ha chiesto dove abitasse in Svizzera, Marchionne ha scelto legittimamente di non rispondere, precisando anzi che preferiva non divulgare l'indirizzo. Da quel momento sono seguite numerose immagini e in diversi frangenti della trasmissione, della localita' in cui risiede l'amministratore delegato Fiat, della sua casa vista dall'esterno, perfino dell'abitazione in cui vive l'ex moglie con i figli".
A questo punto -dice ancora Villari- "se la domanda che si poneva la puntata riguardava il futuro di Fiat in Italia, viene da chiedersi cosa si volesse dimostrare e soprattutto, cosa abbia apportato all'inchiesta un servizio come questo, che invece, spiace constatarlo, e' sembrato piuttosto quasi un'invasione di campo nella vita privata di Marchionne e che auspichiamo non abbia ripercussioni sulla sicurezza della persona e della famiglia. Un episodio, su cui forse occorrerebbe una valutazione dell'Authority per la Privacy".
GIOVANNA BOURSIER
4- DA "REPORT
Riassumiamo, per riuscire a fondersi con Chrysler in modo vantaggioso Marchionne deve riuscire il prima possibile a fare l'auto a basso consumo, ripagare Obama e poi quotarsi a Wall Street. Negli Stati Uniti sta andando bene, Chrysler comincia a vendere e Marchionne spera di scalare entro quest'anno. I veri problemi restano in italia. E torniamo all'ultimo bilancio consolidato al 31 dicembre 2010: 31 miliardi di euro di indebitamento finanziario e 15 miliardi di liquidità. Ma perché non usa la liquidità per ridurre il debito? Perché, dice Marchionne, il debito finanziario non è una preoccupazione: serve a finanziare la vendita di auto e quindi si auto liquida cioè quando i clienti pagano le famose rate.
Ma da bilancio, dentro i 31 miliardi di debiti complessivi, leggiamo, ce ne sono 2 più 9 di obbligazioni, che andranno rimborsati ai risparmiatori quindi non si auto liquidano, come non si auto liquidano i 2,3 più 6, 6 miliardi di prestiti bancari. E su questo debito complessivo si pagano gli interessi passivi.
Allora ci si domanda: quanto rende la liquidità e quanto costa il debito? A pagina 47 del bilancio è scritto "nel 2010 gli oneri finanziari netti del gruppo Fiat sono stati pari a 905 milioni. 150 in più rispetto al 2009 per mantenere più elevati livelli di liquidità".
Insomma Marchionne decide di pagare 150 milioni di euro di interessi passivi in più rispetto all'anno precedente per incrementare la disponibilità di cassa. Come intende usarla? Non per fare gli investimenti promessi in italia poiché alla domanda ha risposto "i soldi li trovo vendendo le auto". Ma allora questi 15 miliardi, di cui 12 in Fiat Auto, a cosa servono veramente? A fare bella figura? Un'anomalia che dovrebbe essere chiarita ai mercati finanziari. Sta di fatto che per ora Marchionne sta salvando i lavoratori americani e sistemando al meglio la famiglia. E chi salva i lavoratori italiani?
IL SENATORE RICCARDO VILLARI
La situazione è che la residenza fiscale di Marchionne è a Walchwill, ma possiede un'altra casa nel cantone di Vaud, a Blonay, mezzora da Ginevra:...qui dicono che l'abbia comprata nel 2007 e ci vive l'ex moglie coi 2 figli...tipico chalet del luogo, tutta in legno, con parco e campo da tennis. Per i lavori Marchionne ha preferito chiamare una ditta italiana, che secondo il sindacato sottopagava i giardinieri. E su questo la legge svizzera è molto ferrea...
ALDO FERRARI, responsabile del sindacato svizzero
questi giardinieri erano pagati con la tariffa italiana che è molto più bassa di quella della Svizzera, allora che in Svizzera doveva pagare questi giardinieri il doppio. Dunque...
cioè vuol dire tu puoi portarti chi vuoi a metterti in ordine il giardino
senza problemi
però lo paghi secondo le regole svizzere visto che questo lavoro lo stai facendo in Svizzera visto che hai una casa in Svizzera?
esattamente
e quindi?
e quindi questa gente era pagata di metà e al finale la ditta italiana ha dovuto pagare la differenza.
quindi lui nel 2007 si è comprato questa casa a Blonay?
si è comprato questa casa a Blonay e l'ha rifatta tutta, anche all'esterno, quello che è stato fatto dai giardinieri "italiani"
Secondo il testo unico sulla fiscalità se abiti almeno 183 giorni l'anno in Italia, non puoi pagare le tasse da un'altra parte. Il suo ufficio stampa ci dice che a Torino HA UNA CASA E ci sta almeno metà settimana...
UFFICIO STAMPA FIAT
si vabbè ma in questa casa torinese quanto ci sta?
ci sta, ci sta, ci sta! Lui ha ragione quando dice io sono un cittadino Tra virgolette del mondo, perché sta 4 giorni a Torino. Stasera va a dormire a casa sua, a Torino, non dorme a Ginevra, va a dormire a casa sua a Torino, tanto per farti un esempio, lui ci dorme, ha tutta la cultura delle sue cose a casa sua, cioè c'è la casa, esiste!
OBAMA
5- "PAGO LE IMPOSTE IN ITALIA LA SEDE FIAT NEGLI USA? NON HO ANCORA DECISO" - MARCHIONNE: «VENDERE LA FERRARI? PER ORA NO»
Mario Gerevini per "il Corriere della Sera"
Il filo conduttore è una lunga intervista a Sergio Marchionne, incalzato, al Salone dell'auto di Ginevra, sul piano Chrysler, sulla futura sede legale del nuovo gruppo (Italia o Stati Uniti?), sui bilanci e sulla sua denuncia dei redditi: dove paga le tasse l'amministratore delegato della Fiat?
La nuova stagione di Report, il programma di Rai3 condotto da Milena Gabanelli, si apre questa sera con settanta minuti di inchiesta («AutoAlleanza») di Giovanna Boursier su Fiat, ascoltando i fornitori che si lamentano dei «bonus» da pagare, interpellando banchieri, protagonisti delle stagioni passate come Cesare Romiti, scavando nelle pieghe del contratto con Chrysler e cercando di capire «dove salteranno fuori i 20 miliardi di investimenti in Italia». E con Marchionne, intervistato il primo marzo al Salone di Ginevra che ribadisce: «La scelta sulla sede legale non è ancora stata presa».
E sugli aiuti pubblici «noi, per fortuna, capacità, intelligenza, non abbiamo chiesto un euro a nessuno, è scoppiato un disastro finanziario che ha messo tutti in ginocchio e la Fiat è sopravvissuta a quell'evento da sola» . Dunque, s'infervora, «vogliamo riconoscere un po' di bravura invece di stare a picchiare la Fiat dalla Mattina alla sera?» . «Report» , tuttavia, ricorda gli incentivi statali per il 2008 e il 2009 e poi il crollo nel 2010 (senza incentivi) delle vendite in Europa. La Ferrari è in vendita? «Non per il momento» , afferma il manager in maglione, mentre sull'Alfa e sulle mire della Volkswagen butta lì un «penso che siano stati di una chiarezza brutale».
Ma Jochem Heinzmann, consigliere Vw interpellato da Report, non è particolarmente loquace e sul tema Alfa infila un «non comment» dietro l'altro. L'inchiesta da una parte segue il percorso che porterà alla fusione con Chrysler e dall'altra il tracciato delle promesse in Italia: i 2 miliardi di investimenti (sui 20 totali) per Mirafiori che produrrà Suv. Ma in cambio di sacrifici concreti non ci sarebbe una contropartita altrettanto concreta di impegni scritti.
Solo parole «ma chi obbliga Marchionne a mantenere le promesse?» , si chiede la Gabanelli. Forse dovrebbe esserci la vigilanza della politica che fa gli interessi del Paese. Già. Parte un flash dall'audizione in Parlamento di Marchionne, si vede e si sente un preoccupatissimo Sandro Biasotti (Pdl e concessionario Fiat) intervenire e contestare al manager Fiat l'apertura di nuove concessionarie. Sacrifici ed esempi. Le nuove condizioni di lavoro sono già state firmate in due stabilimenti, quelli dei referendum: Pomigliano e Mirafiori. Marchionne però dice che non è sufficiente perché ci sono «altri tre stabilimenti: Cassino, Melfi e Bertone».
OBAMA MARCHIONNE
L'inviata di «Report» stuzzica il manager, residente in svizzera («da sempre a Zug» ), sulle tasse. Zugo è il cantone con la fiscalità più leggera. «Pago le tasse in Italia e poi pago la differenza in Svizzera» , dice Marchionne. Il tributarista Tomaso Di Tanno spiega però che la ritenuta dello «svizzero» Marchionne è del 30%sui compensi italiani e poi non dovrebbe pagare più nulla.
Un guadagno secco, secondo Report, del 13%rispetto all'aliquota standard del 43%, cioè circa 500mila euro sui 4 milioni di stipendio. Tutto in regola, ma visto che l'attività del top manager Fiat - riassume la Gabanelli - non è in Svizzera, ma a Torino e Detroit, «allora trasferisca la sua residenza in Italia o negli Usa e contribuisca come i suoi dipendenti allo sviluppo del Paese dove sta l'azienda che gli paga lo stipendio».
Resta un punto: dove prende Marchionne i 20 miliardi per gli investimenti in Italia? «Vengono prodotti quando vendo le vetture» , lui dice. Report ha poi analizzato il bilancio consolidato da cui emergono «31 miliardi di indebitamento finanziario e 15 miliardi di liquidità» , un'apparente contraddizione che però Marchionne spiega con una gran parte di «posizioni che si autoliquidano» finanziando i clienti che acquistano auto o i concessionari. Sul punto Report osserva che ci sono «2 miliardi più 9 di obbligazioni» da rimborsare ai risparmiatori «quindi non si auto liquidano» così come «i 2,3 più 6,6 miliardi di prestiti bancari» .
by report
by dagospia
http://bit.ly/g28rkD
1- DAGOREPORT - YAKI IN STATO CONFUSIONALE
Nel "Report" di ieri sera con Marpionne hanno fatto enorme impressione i balbettamenti di Yaki Elkann che la Gabanelli ha messo in onda senza pietà. Il presidente della Fiat e di Exor è stato pescato mentre implorava la giornalista del Tg2 di non trasmettere lo stato confusionale delle sue parole sul trasferimento della sede da Torino a Detroit: uno spettacolo penoso.
2- "REPORT": LA CASA SVIZZERA DI MARCHIONNE E IL RISPARMIO SULLE TASSE
Dalla puntata di ieri sera di "Report" su Raitre
GIOVANNA BOURSIER
Mi dice dove abita lei.
SERGIO MARCHIONNE - AMMINISTRATORE DELEGATO FIAT
Dappertutto, guardi, faccio il giro del mondo io continuamente. Io sono residente svizzero da molti anni, e quindi lo ero prima di arrivare in Italia nel 2004.
BOURSIER
Dove?
MARCHIONNE
In Svizzera, cose personali è inutile che faccia la domanda, non domando dove abita lei
BOURSIER
Ma io glielo dico, però io la residenza fiscale ce l'ho in Italia.
MARCHIONNE
Ma io sono residente fiscale svizzero da anni. Quindi è inutile che cerchi di cambiare...
BOURSIER
Però ce l'ha a Zugo?
MARCHIONNE
Da sempre a Zugo.
BOURSIER
A Zugo
MARCHIONNE
Sempre!
BOURSIER FUORI CAMPO
Da 8 anni Marchionne comanda in Fiat, ma non vive in Italia. Ha casa a Toronto, a Detroit... e in Svizzera, dove la fiscalità è più conveniente. Ma, dentro la Svizzera, Marchionne ha la residenza fiscale nel cantone tedesco di Zugo, dove conviene ancora di più. Qui l'aliquota massima è del 23%.
[...]
YAKI ELKANN-LARGE
E' difficile capire quanto versa di tasse in Italia.
BOURSIER
Ma se lei vuole fare la grande Fabbrica Italia, perché non ha una casa in Italia, cioè perché non paga le tasse in Italia, chiariamolo!
MARCHIONNE
Le pago le tasse in Italia.
BOURSIER
No, non le paga in Italia.
MARCHIONNE
Le pago e poi pago la differenza in Svizzera. Io pago le tasse in Italia come un lavoratore italiano che vive all'estero, tutto lì, le pago come le pagano gli altri.
[...]
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
È soggetto a una ritenuta definitiva cioè a una sorta di cedolare secca del 30% sui compensi che percepisce da parte di una società italiana.
BOURSIER
Cioè questo vuol dire che lui paga il 30% con questa ritenuta secca in Italia e poi pagherà svizzera tra il 15% e il 23% a Zugo?
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
No, non paga più nulla in Svizzera, perché il trattato contro le doppie imposizioni fra Italia e Svizzera prevede che il prelievo, in questo caso, lo faccia soltanto il paese in cui risiede la società pagatrice e non c'è null'altro da pagare nel paese di residenza del manager. Quindi paga il 30%, punto e basta.
BOURSIER
Quindi vuol dire che rispetto all'aliquota del 43%, sarebbe l'aliquota italiana...
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
Se fosse residente in Italia o comunque se passasse in Italia più di 183 giorni l'anno allora, in questo caso, in Italia pagherebbe il 43%; quindi il risparmio che questa persona consegue attraverso la residenza in Svizzera è del 13%.
BOURSIER
È del 13%...
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
E questo riguarda semplicemente i compensi percepiti a carico di una società italiana ma se questa persona percepisse degli ulteriori compensi...
BOURSIER
Cioè per esempio prende un compenso da un'azienda americana di cui è anche amministratore delegato?
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
Benissimo, in questo caso, nulla paga all'Italia, essendo un residente in Svizzera, pagherà in Svizzera un'aliquota compresa tra 15 e 23%.
BOURSIER
Comunque su 4 milioni di stipendio quel 13%...
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
Vale 500.000 euro.
BOURSIER
Non è poco? Ogni anno...
TOMMASO DI TANNO TRIBUTARISTA
Questa è la situazione, buon per lui!
3- VILLARI, MA CHE C'ENTRA LA FIAT CON RESIDENZA MARCHIONNE?
(AGI) - Dovrebbe forse intervenire il Garante della privacy dopo la puntata di ieri di 'Report' su Raitre dedicata alle vicende Fiat, e in particolare per la parte relativa alla localita' (nel Cantone di Zugo, Svizzera centrale -lingua prevalente il tedesco- con uno dei livelli piu' bassi di tassazione del Paese, ndr) dove ufficialmente risulta residente Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo torinese.
MARCHIONNE SALUTA A PUGNO CHIUSO
Lo sostiene Riccardo Villari, vicepresidente di Coesione nazionale e gia' presidente -per un breve periodo- della commissione di Vigilanza Rai con i voti del Pdl quando era in forza al Pd. "La prima puntata dell'atteso ritorno della trasmissione di Milena Gabanelli era dedicata alla Fiat", dice Villari, "e tra i vari servizi c'era anche una lunga intervista a Sergio Marchionne.
Quando la giornalista autrice del servizio gli ha chiesto dove abitasse in Svizzera, Marchionne ha scelto legittimamente di non rispondere, precisando anzi che preferiva non divulgare l'indirizzo. Da quel momento sono seguite numerose immagini e in diversi frangenti della trasmissione, della localita' in cui risiede l'amministratore delegato Fiat, della sua casa vista dall'esterno, perfino dell'abitazione in cui vive l'ex moglie con i figli".
A questo punto -dice ancora Villari- "se la domanda che si poneva la puntata riguardava il futuro di Fiat in Italia, viene da chiedersi cosa si volesse dimostrare e soprattutto, cosa abbia apportato all'inchiesta un servizio come questo, che invece, spiace constatarlo, e' sembrato piuttosto quasi un'invasione di campo nella vita privata di Marchionne e che auspichiamo non abbia ripercussioni sulla sicurezza della persona e della famiglia. Un episodio, su cui forse occorrerebbe una valutazione dell'Authority per la Privacy".
GIOVANNA BOURSIER
4- DA "REPORT
Riassumiamo, per riuscire a fondersi con Chrysler in modo vantaggioso Marchionne deve riuscire il prima possibile a fare l'auto a basso consumo, ripagare Obama e poi quotarsi a Wall Street. Negli Stati Uniti sta andando bene, Chrysler comincia a vendere e Marchionne spera di scalare entro quest'anno. I veri problemi restano in italia. E torniamo all'ultimo bilancio consolidato al 31 dicembre 2010: 31 miliardi di euro di indebitamento finanziario e 15 miliardi di liquidità. Ma perché non usa la liquidità per ridurre il debito? Perché, dice Marchionne, il debito finanziario non è una preoccupazione: serve a finanziare la vendita di auto e quindi si auto liquida cioè quando i clienti pagano le famose rate.
Ma da bilancio, dentro i 31 miliardi di debiti complessivi, leggiamo, ce ne sono 2 più 9 di obbligazioni, che andranno rimborsati ai risparmiatori quindi non si auto liquidano, come non si auto liquidano i 2,3 più 6, 6 miliardi di prestiti bancari. E su questo debito complessivo si pagano gli interessi passivi.
Allora ci si domanda: quanto rende la liquidità e quanto costa il debito? A pagina 47 del bilancio è scritto "nel 2010 gli oneri finanziari netti del gruppo Fiat sono stati pari a 905 milioni. 150 in più rispetto al 2009 per mantenere più elevati livelli di liquidità".
Insomma Marchionne decide di pagare 150 milioni di euro di interessi passivi in più rispetto all'anno precedente per incrementare la disponibilità di cassa. Come intende usarla? Non per fare gli investimenti promessi in italia poiché alla domanda ha risposto "i soldi li trovo vendendo le auto". Ma allora questi 15 miliardi, di cui 12 in Fiat Auto, a cosa servono veramente? A fare bella figura? Un'anomalia che dovrebbe essere chiarita ai mercati finanziari. Sta di fatto che per ora Marchionne sta salvando i lavoratori americani e sistemando al meglio la famiglia. E chi salva i lavoratori italiani?
IL SENATORE RICCARDO VILLARI
La situazione è che la residenza fiscale di Marchionne è a Walchwill, ma possiede un'altra casa nel cantone di Vaud, a Blonay, mezzora da Ginevra:...qui dicono che l'abbia comprata nel 2007 e ci vive l'ex moglie coi 2 figli...tipico chalet del luogo, tutta in legno, con parco e campo da tennis. Per i lavori Marchionne ha preferito chiamare una ditta italiana, che secondo il sindacato sottopagava i giardinieri. E su questo la legge svizzera è molto ferrea...
ALDO FERRARI, responsabile del sindacato svizzero
questi giardinieri erano pagati con la tariffa italiana che è molto più bassa di quella della Svizzera, allora che in Svizzera doveva pagare questi giardinieri il doppio. Dunque...
cioè vuol dire tu puoi portarti chi vuoi a metterti in ordine il giardino
senza problemi
però lo paghi secondo le regole svizzere visto che questo lavoro lo stai facendo in Svizzera visto che hai una casa in Svizzera?
esattamente
e quindi?
e quindi questa gente era pagata di metà e al finale la ditta italiana ha dovuto pagare la differenza.
quindi lui nel 2007 si è comprato questa casa a Blonay?
si è comprato questa casa a Blonay e l'ha rifatta tutta, anche all'esterno, quello che è stato fatto dai giardinieri "italiani"
Secondo il testo unico sulla fiscalità se abiti almeno 183 giorni l'anno in Italia, non puoi pagare le tasse da un'altra parte. Il suo ufficio stampa ci dice che a Torino HA UNA CASA E ci sta almeno metà settimana...
UFFICIO STAMPA FIAT
si vabbè ma in questa casa torinese quanto ci sta?
ci sta, ci sta, ci sta! Lui ha ragione quando dice io sono un cittadino Tra virgolette del mondo, perché sta 4 giorni a Torino. Stasera va a dormire a casa sua, a Torino, non dorme a Ginevra, va a dormire a casa sua a Torino, tanto per farti un esempio, lui ci dorme, ha tutta la cultura delle sue cose a casa sua, cioè c'è la casa, esiste!
OBAMA
5- "PAGO LE IMPOSTE IN ITALIA LA SEDE FIAT NEGLI USA? NON HO ANCORA DECISO" - MARCHIONNE: «VENDERE LA FERRARI? PER ORA NO»
Mario Gerevini per "il Corriere della Sera"
Il filo conduttore è una lunga intervista a Sergio Marchionne, incalzato, al Salone dell'auto di Ginevra, sul piano Chrysler, sulla futura sede legale del nuovo gruppo (Italia o Stati Uniti?), sui bilanci e sulla sua denuncia dei redditi: dove paga le tasse l'amministratore delegato della Fiat?
La nuova stagione di Report, il programma di Rai3 condotto da Milena Gabanelli, si apre questa sera con settanta minuti di inchiesta («AutoAlleanza») di Giovanna Boursier su Fiat, ascoltando i fornitori che si lamentano dei «bonus» da pagare, interpellando banchieri, protagonisti delle stagioni passate come Cesare Romiti, scavando nelle pieghe del contratto con Chrysler e cercando di capire «dove salteranno fuori i 20 miliardi di investimenti in Italia». E con Marchionne, intervistato il primo marzo al Salone di Ginevra che ribadisce: «La scelta sulla sede legale non è ancora stata presa».
E sugli aiuti pubblici «noi, per fortuna, capacità, intelligenza, non abbiamo chiesto un euro a nessuno, è scoppiato un disastro finanziario che ha messo tutti in ginocchio e la Fiat è sopravvissuta a quell'evento da sola» . Dunque, s'infervora, «vogliamo riconoscere un po' di bravura invece di stare a picchiare la Fiat dalla Mattina alla sera?» . «Report» , tuttavia, ricorda gli incentivi statali per il 2008 e il 2009 e poi il crollo nel 2010 (senza incentivi) delle vendite in Europa. La Ferrari è in vendita? «Non per il momento» , afferma il manager in maglione, mentre sull'Alfa e sulle mire della Volkswagen butta lì un «penso che siano stati di una chiarezza brutale».
Ma Jochem Heinzmann, consigliere Vw interpellato da Report, non è particolarmente loquace e sul tema Alfa infila un «non comment» dietro l'altro. L'inchiesta da una parte segue il percorso che porterà alla fusione con Chrysler e dall'altra il tracciato delle promesse in Italia: i 2 miliardi di investimenti (sui 20 totali) per Mirafiori che produrrà Suv. Ma in cambio di sacrifici concreti non ci sarebbe una contropartita altrettanto concreta di impegni scritti.
Solo parole «ma chi obbliga Marchionne a mantenere le promesse?» , si chiede la Gabanelli. Forse dovrebbe esserci la vigilanza della politica che fa gli interessi del Paese. Già. Parte un flash dall'audizione in Parlamento di Marchionne, si vede e si sente un preoccupatissimo Sandro Biasotti (Pdl e concessionario Fiat) intervenire e contestare al manager Fiat l'apertura di nuove concessionarie. Sacrifici ed esempi. Le nuove condizioni di lavoro sono già state firmate in due stabilimenti, quelli dei referendum: Pomigliano e Mirafiori. Marchionne però dice che non è sufficiente perché ci sono «altri tre stabilimenti: Cassino, Melfi e Bertone».
OBAMA MARCHIONNE
L'inviata di «Report» stuzzica il manager, residente in svizzera («da sempre a Zug» ), sulle tasse. Zugo è il cantone con la fiscalità più leggera. «Pago le tasse in Italia e poi pago la differenza in Svizzera» , dice Marchionne. Il tributarista Tomaso Di Tanno spiega però che la ritenuta dello «svizzero» Marchionne è del 30%sui compensi italiani e poi non dovrebbe pagare più nulla.
Un guadagno secco, secondo Report, del 13%rispetto all'aliquota standard del 43%, cioè circa 500mila euro sui 4 milioni di stipendio. Tutto in regola, ma visto che l'attività del top manager Fiat - riassume la Gabanelli - non è in Svizzera, ma a Torino e Detroit, «allora trasferisca la sua residenza in Italia o negli Usa e contribuisca come i suoi dipendenti allo sviluppo del Paese dove sta l'azienda che gli paga lo stipendio».
Resta un punto: dove prende Marchionne i 20 miliardi per gli investimenti in Italia? «Vengono prodotti quando vendo le vetture» , lui dice. Report ha poi analizzato il bilancio consolidato da cui emergono «31 miliardi di indebitamento finanziario e 15 miliardi di liquidità» , un'apparente contraddizione che però Marchionne spiega con una gran parte di «posizioni che si autoliquidano» finanziando i clienti che acquistano auto o i concessionari. Sul punto Report osserva che ci sono «2 miliardi più 9 di obbligazioni» da rimborsare ai risparmiatori «quindi non si auto liquidano» così come «i 2,3 più 6,6 miliardi di prestiti bancari» .
by report
by dagospia
METTITI CONTRO BERLUSCONI E FINISCI NEL MIRINO DI COSA NOSTRA - IL PENTITO GIOVANNI BRUSCA INTERCETTATO DICE DI VOLER FARE LA PELLE ALL’EDITORE DEL GRUPPO ESPRESSO - "LA GUERRA NON È FRA BERLUSCONI E QUESTI DELLA SINISTRA! LA GUERRA È TRA BERLUSCONI E DE BENEDETTI..." - "VOLEVAMO UCCIDERE DI PIETRO... COSÌ PER FARE CONFUSIONE" - LE TRE MAFIE ITALIANE UNITE PER FAR FUORI GIORNALISTI E MAGISTRATI "SCOMODI" - CONDANNE A MORTE PER LIRIO ABBATE E RAFFAELE CANTONE, NEMICO GIURATO DEI CASALESI…
Francesco La Licata per "la Stampa"
DE BENEDETTI BERLUSCONI
Anche Cosa nostra, come tutte le grandi holding, dispone di una propria strategia della comunicazione. Dunque, di volta in volta, tradisce le proprie preferenze editoriali. Ma - ovviamente - i mafiosi riescono a parlare soltanto la lingua della violenza, per cui quando alcuni giornali e giornalisti non sono graditi le conseguenze sono cruente. Tutto ciò si desume dall'analisi di alcune intercettazioni ambientali «rubate» dalle microspie ai colloqui familiari di Giovanni Brusca, il pentito recentemente finito di nuovo nei guai per essersi fatto scoprire in possesso di beni e soldi che non avrebbe potuto detenere.
ANTONIO DI PIETRO IDV
Il quadro della «politica editoriale mafiosa», inoltre, è completato da un'indagine alquanto complessa che avrebbe portato alla luce un accordo federativo tra Cosa nostra, Camorra e ‘Ndrangheta con tanto di «interscambiabilità professionale» rivolta a operazioni speciali come l'eliminazione di giornalisti «non graditi», ad esempio l'inviato dell'Espresso Lirio Abbate.
I discorsi fra Giovanni Brusca, la moglie e i cognati Gioacchino e Salvatore Cristiano, risalgono al 19 agosto 2010. Dal tono generale si coglie un certo trasporto per l'attuale compagine governativa e quindi qualche avversione per personaggi come ad esempio Gaspare Spatuzza, il pentito che ha testimoniato al processo Dell'Utri raccontando la sua versione su un presunto coinvolgimento del senatore e del presidente Berlusconi nelle vicende mafiose.
Giovanni Brusca spiega ai cognati la reticenza di Spatuzza che «non è che ha riconosciuto uno dei servizi segreti», ma ha detto «mi sembra». Quanto basta a introdurre il sospetto di un coinvolgimento dei servizi nelle stragi del ‘92. Cosa assolutamente falsa, dice il pentito.
GIOVANNI BRUSCA
A quel punto i cognati, Gioacchino e Salvatore, auspicano un qualche intervento dall'alto: «Uno gli dovrebbe dire a Berlusconi... un giornalista a Brusca com'è che non glielo mandi? Che lo vogliono fottere a lei!». Ciò che si capisce è che qualche testata ha fatto richiesta di poter intervistare il collaboratore, ricevendo un diniego senza che Brusca fosse stato avvertito: «Perché non me l'hanno domandato»? Per provare la presunta censura, il pentito si rivolge alla moglie e la invita a raccontare ai fratelli: «Digli per Bruno Vespa... quanto ci ha messo per avere l'autorizzazione»? E lei: «Subito, in un giorno». Poi non se ne fece nulla, perché Brusca - sembra - si tirò indietro. Ma cosa vorrebbe raccontare Brusca adesso?
DELLUTRI GETCONTENT ASP JPEG
Per esempio: «... mi potrebbe chiedere come mai volevate uccidere a Di Pietro»? Ai cognati, increduli, conferma: «Volevamo uccidere Di Pietro... così per fare confusione». Perché alla mafia «non ce ne fotteva di Di Pietro», semmai «avrei motivo di uccidere no a Di Pietro ma a De Benedetti... perché ... quello che era quindici anni, vent'anni fa è ancora oggi... la guerra non è fra Berlusconi e questi della sinistra! La guerra è tra Berlusconi e De Benedetti...». I magistrati di Palermo hanno, in seguito, approfondito questo tema con Giovanni Brusca, nel corso di alcuni interrogatori avvenuti nello scorso mese di febbraio. Questa parte di documenti, però, non è ancora pubblica.
DELL UTRI IN AULA - DEPONE SPATUZZA - DA REPUBBLICA 10
L'altra storia riguarda un anonimo che ha tutta l'aria di una specie di «relazione riservata», scritta da un addetto ai lavori, inviata da Catania al Centro Dia di Caltanissetta (l'ufficio che indaga sulle stragi mafiose) e alla Commissione antimafia. Il documento racconta di alcuni summit mafiosi svoltisi nel Messinese, fra Mistretta e Barcellona Pozzo di Gotto.
«Riunioni confederali» tra i vertici delle tre mafie italiane per pianificare una ripresa degli attentati contro magistrati e giornalisti. La notizia ha ricevuto una significativa conferma quando la Procura di Messina (una delle tre che indagano sulla vicenda) ha trovato una relazione (autentica) dei servizi, che segnalava l'avvenuto incontro fra un avvocato palermitano con alcuni esponenti della ‘Ndrangheta.
SPATUZZA
All'ordine del giorno dell'incontro «il problema Spatuzza» e il «problema 41 bis», cioè come sfuggire al carcere duro. Nell'ambito del colloquio anche la richiesta del «favore di uccidere il giornalista Lirio Abbate». Preoccupa molto quello che è avvenuto subito dopo, ovvero la scoperta di armi e ordigni nei pressi degli uffici di magistrati «citati» nella lista nera: il procuratore di Reggio Giuseppe Pignatone e il suo aggiunto Prestipino, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, l'aggiunto Gozzo e il sostituto Marino. Dalla Campania sarebbe arrivata, invece, la richiesta di «colpire» Raffaele Cantone, il nemico giurato dei Casalesi.
by dagospia
DE BENEDETTI BERLUSCONI
Anche Cosa nostra, come tutte le grandi holding, dispone di una propria strategia della comunicazione. Dunque, di volta in volta, tradisce le proprie preferenze editoriali. Ma - ovviamente - i mafiosi riescono a parlare soltanto la lingua della violenza, per cui quando alcuni giornali e giornalisti non sono graditi le conseguenze sono cruente. Tutto ciò si desume dall'analisi di alcune intercettazioni ambientali «rubate» dalle microspie ai colloqui familiari di Giovanni Brusca, il pentito recentemente finito di nuovo nei guai per essersi fatto scoprire in possesso di beni e soldi che non avrebbe potuto detenere.
ANTONIO DI PIETRO IDV
Il quadro della «politica editoriale mafiosa», inoltre, è completato da un'indagine alquanto complessa che avrebbe portato alla luce un accordo federativo tra Cosa nostra, Camorra e ‘Ndrangheta con tanto di «interscambiabilità professionale» rivolta a operazioni speciali come l'eliminazione di giornalisti «non graditi», ad esempio l'inviato dell'Espresso Lirio Abbate.
I discorsi fra Giovanni Brusca, la moglie e i cognati Gioacchino e Salvatore Cristiano, risalgono al 19 agosto 2010. Dal tono generale si coglie un certo trasporto per l'attuale compagine governativa e quindi qualche avversione per personaggi come ad esempio Gaspare Spatuzza, il pentito che ha testimoniato al processo Dell'Utri raccontando la sua versione su un presunto coinvolgimento del senatore e del presidente Berlusconi nelle vicende mafiose.
Giovanni Brusca spiega ai cognati la reticenza di Spatuzza che «non è che ha riconosciuto uno dei servizi segreti», ma ha detto «mi sembra». Quanto basta a introdurre il sospetto di un coinvolgimento dei servizi nelle stragi del ‘92. Cosa assolutamente falsa, dice il pentito.
GIOVANNI BRUSCA
A quel punto i cognati, Gioacchino e Salvatore, auspicano un qualche intervento dall'alto: «Uno gli dovrebbe dire a Berlusconi... un giornalista a Brusca com'è che non glielo mandi? Che lo vogliono fottere a lei!». Ciò che si capisce è che qualche testata ha fatto richiesta di poter intervistare il collaboratore, ricevendo un diniego senza che Brusca fosse stato avvertito: «Perché non me l'hanno domandato»? Per provare la presunta censura, il pentito si rivolge alla moglie e la invita a raccontare ai fratelli: «Digli per Bruno Vespa... quanto ci ha messo per avere l'autorizzazione»? E lei: «Subito, in un giorno». Poi non se ne fece nulla, perché Brusca - sembra - si tirò indietro. Ma cosa vorrebbe raccontare Brusca adesso?
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Per esempio: «... mi potrebbe chiedere come mai volevate uccidere a Di Pietro»? Ai cognati, increduli, conferma: «Volevamo uccidere Di Pietro... così per fare confusione». Perché alla mafia «non ce ne fotteva di Di Pietro», semmai «avrei motivo di uccidere no a Di Pietro ma a De Benedetti... perché ... quello che era quindici anni, vent'anni fa è ancora oggi... la guerra non è fra Berlusconi e questi della sinistra! La guerra è tra Berlusconi e De Benedetti...». I magistrati di Palermo hanno, in seguito, approfondito questo tema con Giovanni Brusca, nel corso di alcuni interrogatori avvenuti nello scorso mese di febbraio. Questa parte di documenti, però, non è ancora pubblica.
DELL UTRI IN AULA - DEPONE SPATUZZA - DA REPUBBLICA 10
L'altra storia riguarda un anonimo che ha tutta l'aria di una specie di «relazione riservata», scritta da un addetto ai lavori, inviata da Catania al Centro Dia di Caltanissetta (l'ufficio che indaga sulle stragi mafiose) e alla Commissione antimafia. Il documento racconta di alcuni summit mafiosi svoltisi nel Messinese, fra Mistretta e Barcellona Pozzo di Gotto.
«Riunioni confederali» tra i vertici delle tre mafie italiane per pianificare una ripresa degli attentati contro magistrati e giornalisti. La notizia ha ricevuto una significativa conferma quando la Procura di Messina (una delle tre che indagano sulla vicenda) ha trovato una relazione (autentica) dei servizi, che segnalava l'avvenuto incontro fra un avvocato palermitano con alcuni esponenti della ‘Ndrangheta.
SPATUZZA
All'ordine del giorno dell'incontro «il problema Spatuzza» e il «problema 41 bis», cioè come sfuggire al carcere duro. Nell'ambito del colloquio anche la richiesta del «favore di uccidere il giornalista Lirio Abbate». Preoccupa molto quello che è avvenuto subito dopo, ovvero la scoperta di armi e ordigni nei pressi degli uffici di magistrati «citati» nella lista nera: il procuratore di Reggio Giuseppe Pignatone e il suo aggiunto Prestipino, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, l'aggiunto Gozzo e il sostituto Marino. Dalla Campania sarebbe arrivata, invece, la richiesta di «colpire» Raffaele Cantone, il nemico giurato dei Casalesi.
by dagospia
SUSHI DI GOMORRA A TOKYO (AVVISATE SAVIANO) - LA MAFIA GIAPPONESE STA GIÀ PREGUSTANDO I MILIARDI CHE SARANNO MESSI IN CIRCOLO PER LA RICOSTRUZIONE – PER ESSERE IN PRIMA FILA A RACCOGLIERE APPALTI E COMMESSE, LA YAKUZA SI TRAVESTE DA CARITAS E INVIA SOCCORSI (70 CAMION PIENI DI SCATOLONI CON GENERI DI PRIMA NECESSITÀ) – UN INVESTIMENTO PER INGRAZIARSI LA POPOLAZIONE, TENERE BUONE LE FORZE DELL’ORDINE E RIPOSIZIONARSI NEGLI AFFARI DOPO CHE IL GOVERNO KAN HA RISTRETTO LO SPAZIO DI MANOVRA DELLA CRIMINALITÀ NEI CONTRATTI PUBBLICI…
Ilaria Maria Sala per "la Stampa"
AFFILIATO YAKUZA
Quando il terremoto di Kobe colpì il Giappone, all'alba del 17 gennaio 1995, fra i primi a portare soccorso alla popolazione furono alcuni gangster appartenenti a uno dei principali gruppi della yakuza (mafia giapponese), lo «Yamaguchi gumi».
All'epoca, infatti, il governo Murayama si mostrò drammaticamente incapace di agire prontamente, e la yakuza - nota tanto per i tatuaggi a tutto corpo dei suoi membri quanto per i miliardi che guadagna ogni anno grazie all'estorsione, al gioco d'azzardo illegale, all'industria del sesso, al traffico d'armi e di droga, nonché alla speculazione edilizia e nel mercato azionario - divenne improvvisamente nota anche per un inaspettato lato caritatevole.
Kobe, del resto, è la base operativa dello «Yamaguchi gumi» (così chiamato dal nome del suo fondatore, Harukichi Yamaguchi, che diede il via alla cosca di Kobe nel 1915), una delle organizzazioni criminali più vaste al mondo, con circa 55 mila membri (circa la metà del totale dei gangster yakuza nel Paese) secondo le stime degli studiosi della criminalità giapponese, e un giro d'affari enorme che ha tentacoli in quasi ogni aspetto dell'economia nazionale.
MAGAZZINO IMPROVVISATO A ONAGAWA
Con il terremoto del Tohoku che ha colpito il Giappone lo scorso 11 marzo, di nuovo la mafia si è mostrata generosa, mobilitando decine di camion (70, secondo i dati resi noti) per portare soccorso e beni di prima necessità nelle zone sinistrate, malgrado le difficoltà logistiche presentate dalla vastità dell'area colpita dal disastro, dove quasi tutte le strade e le linee di trasporto sono state danneggiate dal cataclisma. Spesso, per non vedere i loro doni rifiutati, i gangster hanno scaricato dai camion gli scatoloni, li hanno aperti e lasciati agli angoli delle strade, affinché chi avesse bisogno del loro contenuto potesse attingere liberamente senza doversi sentire in debito con la mafia.
GLI EFFETTI DEL TERREMOTO IN GIAPPONE
Stando a quanto riportato in questi giorni da diverse fonti, i due gruppi che sarebbero più attivi negli aiuti post-terremoto, questa volta, sarebbero lo «Sumiyoshi-kai» e lo «Inakawa-kai», rispettivamente il secondo e il terzo gruppo malavitoso più importanti del Giappone.
GLI EFFETTI DEL TERREMOTO IN GIAPPONE
Le ragioni per tanta solerzia nell'aiutare il prossimo da parte di gruppi criminali sono molteplici, e più o meno altruiste, a seconda di come si voglia analizzare la questione. Per gli osservatori più freddi, il movente principale della yakuza, anche in questa occasione, è legato alla possibilità di fare affari: l'immobiliare e la costruzione, dopo tutto, sono uno dei settori in cui la malavita è più attiva, e la distruzione che si sono lasciati dietro il terremoto e lo tsunami che hanno devastato il Nord-Est giapponese significa che, una volta finito di raccogliere le macerie e contare le vittime, bisognerà ricostruire in modo capillare.
GLI EFFETTI DEL TERREMOTO IN GIAPPONE
La mafia ha bisogno di posizionarsi per tempo in particolare in questo frangente politico: il governo Kan, infatti, fin dalla sua inaugurazione lo scorso anno, ha cercato di restringere in modo netto lo spazio di manovra della yakuza nei contratti pubblici (interrompendo il tacito far finta di nulla rispetto ad alcune attività delle cosche che aveva contraddistinto molti governi precedenti). Non solo: la campagna anti-mafia dell'amministrazione Kan è stata molto pubblica, e ha fatto aumentare la disapprovazione popolare nei confronti della yakuza. Oltre a favorire possibili contratti di ricostruzione, la buona condotta mafiosa potrebbe anche aiutare a ingraziarsi un po' le forze dell'ordine.
NAOTO KAN PRIMO MINISTRO GIAPPONESE
Altri osservatori, più benevoli nei confronti delle bande criminali giapponesi, citano invece il codice d'onore dei membri delle gang, detto «ninkyo», che mette in rilievo il senso del dovere e della giustizia, due valori che al momento verrebbero adoperati.
by dagospia
AFFILIATO YAKUZA
Quando il terremoto di Kobe colpì il Giappone, all'alba del 17 gennaio 1995, fra i primi a portare soccorso alla popolazione furono alcuni gangster appartenenti a uno dei principali gruppi della yakuza (mafia giapponese), lo «Yamaguchi gumi».
All'epoca, infatti, il governo Murayama si mostrò drammaticamente incapace di agire prontamente, e la yakuza - nota tanto per i tatuaggi a tutto corpo dei suoi membri quanto per i miliardi che guadagna ogni anno grazie all'estorsione, al gioco d'azzardo illegale, all'industria del sesso, al traffico d'armi e di droga, nonché alla speculazione edilizia e nel mercato azionario - divenne improvvisamente nota anche per un inaspettato lato caritatevole.
Kobe, del resto, è la base operativa dello «Yamaguchi gumi» (così chiamato dal nome del suo fondatore, Harukichi Yamaguchi, che diede il via alla cosca di Kobe nel 1915), una delle organizzazioni criminali più vaste al mondo, con circa 55 mila membri (circa la metà del totale dei gangster yakuza nel Paese) secondo le stime degli studiosi della criminalità giapponese, e un giro d'affari enorme che ha tentacoli in quasi ogni aspetto dell'economia nazionale.
MAGAZZINO IMPROVVISATO A ONAGAWA
Con il terremoto del Tohoku che ha colpito il Giappone lo scorso 11 marzo, di nuovo la mafia si è mostrata generosa, mobilitando decine di camion (70, secondo i dati resi noti) per portare soccorso e beni di prima necessità nelle zone sinistrate, malgrado le difficoltà logistiche presentate dalla vastità dell'area colpita dal disastro, dove quasi tutte le strade e le linee di trasporto sono state danneggiate dal cataclisma. Spesso, per non vedere i loro doni rifiutati, i gangster hanno scaricato dai camion gli scatoloni, li hanno aperti e lasciati agli angoli delle strade, affinché chi avesse bisogno del loro contenuto potesse attingere liberamente senza doversi sentire in debito con la mafia.
GLI EFFETTI DEL TERREMOTO IN GIAPPONE
Stando a quanto riportato in questi giorni da diverse fonti, i due gruppi che sarebbero più attivi negli aiuti post-terremoto, questa volta, sarebbero lo «Sumiyoshi-kai» e lo «Inakawa-kai», rispettivamente il secondo e il terzo gruppo malavitoso più importanti del Giappone.
GLI EFFETTI DEL TERREMOTO IN GIAPPONE
Le ragioni per tanta solerzia nell'aiutare il prossimo da parte di gruppi criminali sono molteplici, e più o meno altruiste, a seconda di come si voglia analizzare la questione. Per gli osservatori più freddi, il movente principale della yakuza, anche in questa occasione, è legato alla possibilità di fare affari: l'immobiliare e la costruzione, dopo tutto, sono uno dei settori in cui la malavita è più attiva, e la distruzione che si sono lasciati dietro il terremoto e lo tsunami che hanno devastato il Nord-Est giapponese significa che, una volta finito di raccogliere le macerie e contare le vittime, bisognerà ricostruire in modo capillare.
GLI EFFETTI DEL TERREMOTO IN GIAPPONE
La mafia ha bisogno di posizionarsi per tempo in particolare in questo frangente politico: il governo Kan, infatti, fin dalla sua inaugurazione lo scorso anno, ha cercato di restringere in modo netto lo spazio di manovra della yakuza nei contratti pubblici (interrompendo il tacito far finta di nulla rispetto ad alcune attività delle cosche che aveva contraddistinto molti governi precedenti). Non solo: la campagna anti-mafia dell'amministrazione Kan è stata molto pubblica, e ha fatto aumentare la disapprovazione popolare nei confronti della yakuza. Oltre a favorire possibili contratti di ricostruzione, la buona condotta mafiosa potrebbe anche aiutare a ingraziarsi un po' le forze dell'ordine.
NAOTO KAN PRIMO MINISTRO GIAPPONESE
Altri osservatori, più benevoli nei confronti delle bande criminali giapponesi, citano invece il codice d'onore dei membri delle gang, detto «ninkyo», che mette in rilievo il senso del dovere e della giustizia, due valori che al momento verrebbero adoperati.
by dagospia
venerdì 25 marzo 2011
ODO GELLI FAR FESTA - DUBBI, SOSPETTI E MINACCE NEI DIARI DI TINA ANSELMI: POSSIBILE CHE ANDREOTTI E BERLINGUER NON SAPESSERO DELLA P2? - PERCHÉ IL PCI NON VUOLE ANDARE FINO IN FONDO - SUL RAPIMENTO MORO POSSIBILE CONVERGENZA CON LE BR - L’ONOREVOLE GIUSEPPE D’ALEMA (PADRE DI MASSIMO) “CONSIGLIA DI PARLARE” CON UN POCO CONOSCIUTO GIUDICE DI PALERMO: GIOVANNI FALCONE - LA PROFEZIA: “LE P2 NON NASCONO A CASO, MA OCCUPANO SPAZI LASCIATI VUOTI E LI OCCUPANO PER CREARE LA P3, LA P4…”
Marzio Breda per "il Corriere della Sera"
TINA ANSELMI
Il 17 marzo 1981 il colonnello Vincenzo Bianchi si presenta a Villa Wanda, a Castiglion Fibocchi, vicino ad Arezzo, residenza dell'allora quasi sconosciuto Licio Gelli. Ha in tasca un mandato di perquisizione dei giudici milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo, che indagano sull'assassinio Ambrosoli e sul finto sequestro di Sindona, mandante del delitto. Dopo qualche ora di lavoro, l'ufficiale riceve una telefonata del comandante generale della Finanza, Orazio Giannini.
Si sente dire: «So che hai trovato gli elenchi e so che ci sono anch'io. Personalmente non me ne frega niente, ma fai attenzione perché lì dentro ci sono tutti i massimi vertici» . Poche parole, dalle quali Bianchi è colpito per la doppia intimidazione che riassumono. Cioè per quel «non me ne frega niente», che esprime un assoluto senso d'impunità. E per quel «tutti i massimi vertici», che capisce va riferito ai vertici «dello Stato e non del corpo» di cui lui stesso indossa la divisa.
TINA ANSELMI
Ed è proprio vero: c'è una parte importante dell'Italia che conta, in quella lista di affiliati alla loggia massonica Propaganda Due, che il colonnello sequestra assieme a molti altri documenti e trasporta sotto scorta armata a Milano. Ci sono 12 generali dei carabinieri, 5 della guardia di Finanza, 22 dell'Esercito, 4 dell'Areonautica militare, 8 ammiragli, direttori e funzionari dei vari servizi segreti, 44 parlamentari, 2 ministri in carica, un segretario di partito, banchieri, imprenditori, manager, faccendieri, giornalisti, magistrati. Insomma: nella P2 ci sono 962 nomi di persone che formano «il nocciolo del potere fuori dalla scena del potere, o almeno fuori dalle sue sedi conosciute».
COPERTINA LIBRO P2
Una sorta di «interpartito» formatosi su quello che appare subito come un oscuro groviglio d'interessi dietro il quale affiorano business e tangenti, legami con mafia e stragismo, il golpe Borghese, omicidi eccellenti (Moro, Calvi, Ambrosoli, Pecorella) e soprattutto un progetto politico anti-sistema.
GELLI GETCONTENT ASP JPEG
Quando, dopo due mesi di traccheggiamenti, gli elenchi sono resi pubblici, lo scandalo è enorme. Il governo ne è travolto e il 9 dicembre 1981, anche per la spinta di un'opinione pubblica sotto choc e che chiede la verità, s'insedia una commissione parlamentare d'inchiesta che la presidente della Camera, Nilde Jotti, affida alla guida di Tina Anselmi.
Da allora l'ex partigiana di Castelfranco Veneto, deputata della Dc e prima donna a ricoprire l'incarico di ministro, comincia a tenere un memorandum a uso personale oggi raccolto in volume: «La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi», a cura di Anna Vinci (Chiarelettere, pag. 576, euro 16).
GIULIA ANDREOTTI
Tra i primi appunti, uno è rivelatore del clima che investe la politica («i socialisti sono terrorizzati dall'inchiesta») e l'altro del metodo che la Anselmi intende seguire: «Fare presto, delimitare la materia, stare nei tempi della legge» . Un proposito giusto.
ENRICO BERLINGUER
Lo sfogo del colonnello Bianchi le ha fatto percepire l'enormità dell'indagine e i livelli che è destinata a toccare. Diventa decisivo, per lei, sottrarsi all'accusa di «dar la caccia ai fantasmi» e di certificare quindi l'attendibilità delle liste (su questo si gioca la critica principale), come pure evitare che l'investigazione si chiuda con il giudizio minimalista accreditato da alcuni, secondo i quali la P2 sarebbe solo un «comitato d'affari» . È un'impresa dura e difficile, per la Anselmi. Carica di inquietudini.
COPERTINA LEFT ALDO MORO
Lo dimostrano i 773 foglietti in cui annota ciò che più la colpisce durante le 147 sedute della commissione. Riflette, ad esempio, il 14 aprile 1983: «Strano atteggiamento del Pci... non mi pare che voglia andare a fondo. La stessa richiesta loro di non approfondire il filone servizi segreti fa pensare che temano delle verità che emergono dal periodo della solidarietà. Ipotesi: ruolo di Andreotti, che li ha traditi? O coinvolgimento di qualche loro uomo? Più probabile la prima ipotesi. Mi pare che Br e P2 si siano mosse in parallelo e abbiano fatto coincidere i loro obiettivi sul rapimento e sulla morte di Moro».
GHERARDO COLOMBO
Altro appunto, del 26 gennaio ' 84, con l'audizione di Marco Pannella: «Com'è possibile che Piccoli, Berlinguer e Andreotti non sapessero della P2 prima del 1981?» . Ragionando poi sul fatto che gli elenchi non sono forse completi e che Gelli potrebbe essere solo «un segretario», si chiede se la pista non vada esplorata fino a Montecarlo, sede di una evocata super loggia.
FALCONE GIOVANNI
E ancora, il 16 dicembre ' 81 mette a verbale che il parlamentare Giuseppe D'Alema (padre di Massimo) «consiglia di parlare» con un poco conosciuto giudice di Palermo che cominciava a conquistarsi le prime pagine sui giornali: Giovanni Falcone. S'incrocia di tutto in quelle carte.
MARCO PANNELLA NEGLI ANNI SETTANTA
La fantapolitica diventa realtà. Ci sono momenti nei quali la commissione è una «buca delle lettere»: arrivano messaggi cifrati, notizie pilotate o false, ricatti. Parecchi riguardano la partita aperta intorno al Corriere della Sera, che era stato infiltrato (nella proprietà e in parte anche nella redazione) da uomini del «venerabile» e alla cui direzione c'è ora Alberto Cavallari, indicato da Pertini per restituire l'onore al giornale.
In questo caso sono insieme all'opera finanzieri e politici, ossessionati dalla smania di controllare via Solferino. Si agitano anche pezzi del Vaticano, il cardinale Marcinkus, senza che la cattolica Anselmi se ne turbi e lo dimostra ciò che dice al segretario, Giovanni Di Ciommo: «Non ho fatto la staffetta partigiana per farmi intimidire da un monsignore».
GIUSEPPE D'ALEMA
Ma a intimidirla ci provano comunque. La pedinano per strada. Qualche collega, passando davanti al suo scranno a Montecitorio, le sibila: «Chi te lo fa fare? Qua dobbiamo metterci i fiori». Fanno trovare tre chili di tritolo vicino a casa sua. Lei tira dritto. Quando, il 9 gennaio '86, presenta alla Camera la monumentale conclusione del suo lavoro, 120 volumi, definisce la P2 «il più dotato arsenale di pericolosi e validi strumenti di eversione politica e morale» (il piano di Rinascita Democratica di Gelli).
Nel diario aveva profeticamente scritto: «Le P2 non nascono a caso, ma occupano spazi lasciati vuoti, per insensibilità, e li occupano per creare la P3, la P4...». Sono passati trent'anni e la testimonianza di Tina Anselmi, dimenticata e da tempo malata, è da riprendere. Magari riflettendo su un dato: nella lista compariva anche il nome di Silvio Berlusconi. All'epoca era soltanto un giovane imprenditore rampante e i parlamentari non ritennero di sentirlo perché era parso un «personaggio secondario».
by dagospia
TINA ANSELMI
Il 17 marzo 1981 il colonnello Vincenzo Bianchi si presenta a Villa Wanda, a Castiglion Fibocchi, vicino ad Arezzo, residenza dell'allora quasi sconosciuto Licio Gelli. Ha in tasca un mandato di perquisizione dei giudici milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo, che indagano sull'assassinio Ambrosoli e sul finto sequestro di Sindona, mandante del delitto. Dopo qualche ora di lavoro, l'ufficiale riceve una telefonata del comandante generale della Finanza, Orazio Giannini.
Si sente dire: «So che hai trovato gli elenchi e so che ci sono anch'io. Personalmente non me ne frega niente, ma fai attenzione perché lì dentro ci sono tutti i massimi vertici» . Poche parole, dalle quali Bianchi è colpito per la doppia intimidazione che riassumono. Cioè per quel «non me ne frega niente», che esprime un assoluto senso d'impunità. E per quel «tutti i massimi vertici», che capisce va riferito ai vertici «dello Stato e non del corpo» di cui lui stesso indossa la divisa.
TINA ANSELMI
Ed è proprio vero: c'è una parte importante dell'Italia che conta, in quella lista di affiliati alla loggia massonica Propaganda Due, che il colonnello sequestra assieme a molti altri documenti e trasporta sotto scorta armata a Milano. Ci sono 12 generali dei carabinieri, 5 della guardia di Finanza, 22 dell'Esercito, 4 dell'Areonautica militare, 8 ammiragli, direttori e funzionari dei vari servizi segreti, 44 parlamentari, 2 ministri in carica, un segretario di partito, banchieri, imprenditori, manager, faccendieri, giornalisti, magistrati. Insomma: nella P2 ci sono 962 nomi di persone che formano «il nocciolo del potere fuori dalla scena del potere, o almeno fuori dalle sue sedi conosciute».
COPERTINA LIBRO P2
Una sorta di «interpartito» formatosi su quello che appare subito come un oscuro groviglio d'interessi dietro il quale affiorano business e tangenti, legami con mafia e stragismo, il golpe Borghese, omicidi eccellenti (Moro, Calvi, Ambrosoli, Pecorella) e soprattutto un progetto politico anti-sistema.
GELLI GETCONTENT ASP JPEG
Quando, dopo due mesi di traccheggiamenti, gli elenchi sono resi pubblici, lo scandalo è enorme. Il governo ne è travolto e il 9 dicembre 1981, anche per la spinta di un'opinione pubblica sotto choc e che chiede la verità, s'insedia una commissione parlamentare d'inchiesta che la presidente della Camera, Nilde Jotti, affida alla guida di Tina Anselmi.
Da allora l'ex partigiana di Castelfranco Veneto, deputata della Dc e prima donna a ricoprire l'incarico di ministro, comincia a tenere un memorandum a uso personale oggi raccolto in volume: «La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi», a cura di Anna Vinci (Chiarelettere, pag. 576, euro 16).
GIULIA ANDREOTTI
Tra i primi appunti, uno è rivelatore del clima che investe la politica («i socialisti sono terrorizzati dall'inchiesta») e l'altro del metodo che la Anselmi intende seguire: «Fare presto, delimitare la materia, stare nei tempi della legge» . Un proposito giusto.
ENRICO BERLINGUER
Lo sfogo del colonnello Bianchi le ha fatto percepire l'enormità dell'indagine e i livelli che è destinata a toccare. Diventa decisivo, per lei, sottrarsi all'accusa di «dar la caccia ai fantasmi» e di certificare quindi l'attendibilità delle liste (su questo si gioca la critica principale), come pure evitare che l'investigazione si chiuda con il giudizio minimalista accreditato da alcuni, secondo i quali la P2 sarebbe solo un «comitato d'affari» . È un'impresa dura e difficile, per la Anselmi. Carica di inquietudini.
COPERTINA LEFT ALDO MORO
Lo dimostrano i 773 foglietti in cui annota ciò che più la colpisce durante le 147 sedute della commissione. Riflette, ad esempio, il 14 aprile 1983: «Strano atteggiamento del Pci... non mi pare che voglia andare a fondo. La stessa richiesta loro di non approfondire il filone servizi segreti fa pensare che temano delle verità che emergono dal periodo della solidarietà. Ipotesi: ruolo di Andreotti, che li ha traditi? O coinvolgimento di qualche loro uomo? Più probabile la prima ipotesi. Mi pare che Br e P2 si siano mosse in parallelo e abbiano fatto coincidere i loro obiettivi sul rapimento e sulla morte di Moro».
GHERARDO COLOMBO
Altro appunto, del 26 gennaio ' 84, con l'audizione di Marco Pannella: «Com'è possibile che Piccoli, Berlinguer e Andreotti non sapessero della P2 prima del 1981?» . Ragionando poi sul fatto che gli elenchi non sono forse completi e che Gelli potrebbe essere solo «un segretario», si chiede se la pista non vada esplorata fino a Montecarlo, sede di una evocata super loggia.
FALCONE GIOVANNI
E ancora, il 16 dicembre ' 81 mette a verbale che il parlamentare Giuseppe D'Alema (padre di Massimo) «consiglia di parlare» con un poco conosciuto giudice di Palermo che cominciava a conquistarsi le prime pagine sui giornali: Giovanni Falcone. S'incrocia di tutto in quelle carte.
MARCO PANNELLA NEGLI ANNI SETTANTA
La fantapolitica diventa realtà. Ci sono momenti nei quali la commissione è una «buca delle lettere»: arrivano messaggi cifrati, notizie pilotate o false, ricatti. Parecchi riguardano la partita aperta intorno al Corriere della Sera, che era stato infiltrato (nella proprietà e in parte anche nella redazione) da uomini del «venerabile» e alla cui direzione c'è ora Alberto Cavallari, indicato da Pertini per restituire l'onore al giornale.
In questo caso sono insieme all'opera finanzieri e politici, ossessionati dalla smania di controllare via Solferino. Si agitano anche pezzi del Vaticano, il cardinale Marcinkus, senza che la cattolica Anselmi se ne turbi e lo dimostra ciò che dice al segretario, Giovanni Di Ciommo: «Non ho fatto la staffetta partigiana per farmi intimidire da un monsignore».
GIUSEPPE D'ALEMA
Ma a intimidirla ci provano comunque. La pedinano per strada. Qualche collega, passando davanti al suo scranno a Montecitorio, le sibila: «Chi te lo fa fare? Qua dobbiamo metterci i fiori». Fanno trovare tre chili di tritolo vicino a casa sua. Lei tira dritto. Quando, il 9 gennaio '86, presenta alla Camera la monumentale conclusione del suo lavoro, 120 volumi, definisce la P2 «il più dotato arsenale di pericolosi e validi strumenti di eversione politica e morale» (il piano di Rinascita Democratica di Gelli).
Nel diario aveva profeticamente scritto: «Le P2 non nascono a caso, ma occupano spazi lasciati vuoti, per insensibilità, e li occupano per creare la P3, la P4...». Sono passati trent'anni e la testimonianza di Tina Anselmi, dimenticata e da tempo malata, è da riprendere. Magari riflettendo su un dato: nella lista compariva anche il nome di Silvio Berlusconi. All'epoca era soltanto un giovane imprenditore rampante e i parlamentari non ritennero di sentirlo perché era parso un «personaggio secondario».
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