martedì 29 marzo 2011

METTITI CONTRO BERLUSCONI E FINISCI NEL MIRINO DI COSA NOSTRA - IL PENTITO GIOVANNI BRUSCA INTERCETTATO DICE DI VOLER FARE LA PELLE ALL’EDITORE DEL GRUPPO ESPRESSO - "LA GUERRA NON È FRA BERLUSCONI E QUESTI DELLA SINISTRA! LA GUERRA È TRA BERLUSCONI E DE BENEDETTI..." - "VOLEVAMO UCCIDERE DI PIETRO... COSÌ PER FARE CONFUSIONE" - LE TRE MAFIE ITALIANE UNITE PER FAR FUORI GIORNALISTI E MAGISTRATI "SCOMODI" - CONDANNE A MORTE PER LIRIO ABBATE E RAFFAELE CANTONE, NEMICO GIURATO DEI CASALESI…

Francesco La Licata per "la Stampa"


DE BENEDETTI BERLUSCONI
Anche Cosa nostra, come tutte le grandi holding, dispone di una propria strategia della comunicazione. Dunque, di volta in volta, tradisce le proprie preferenze editoriali. Ma - ovviamente - i mafiosi riescono a parlare soltanto la lingua della violenza, per cui quando alcuni giornali e giornalisti non sono graditi le conseguenze sono cruente. Tutto ciò si desume dall'analisi di alcune intercettazioni ambientali «rubate» dalle microspie ai colloqui familiari di Giovanni Brusca, il pentito recentemente finito di nuovo nei guai per essersi fatto scoprire in possesso di beni e soldi che non avrebbe potuto detenere.


ANTONIO DI PIETRO IDV
Il quadro della «politica editoriale mafiosa», inoltre, è completato da un'indagine alquanto complessa che avrebbe portato alla luce un accordo federativo tra Cosa nostra, Camorra e ‘Ndrangheta con tanto di «interscambiabilità professionale» rivolta a operazioni speciali come l'eliminazione di giornalisti «non graditi», ad esempio l'inviato dell'Espresso Lirio Abbate.

I discorsi fra Giovanni Brusca, la moglie e i cognati Gioacchino e Salvatore Cristiano, risalgono al 19 agosto 2010. Dal tono generale si coglie un certo trasporto per l'attuale compagine governativa e quindi qualche avversione per personaggi come ad esempio Gaspare Spatuzza, il pentito che ha testimoniato al processo Dell'Utri raccontando la sua versione su un presunto coinvolgimento del senatore e del presidente Berlusconi nelle vicende mafiose.

Giovanni Brusca spiega ai cognati la reticenza di Spatuzza che «non è che ha riconosciuto uno dei servizi segreti», ma ha detto «mi sembra». Quanto basta a introdurre il sospetto di un coinvolgimento dei servizi nelle stragi del ‘92. Cosa assolutamente falsa, dice il pentito.


GIOVANNI BRUSCA
A quel punto i cognati, Gioacchino e Salvatore, auspicano un qualche intervento dall'alto: «Uno gli dovrebbe dire a Berlusconi... un giornalista a Brusca com'è che non glielo mandi? Che lo vogliono fottere a lei!». Ciò che si capisce è che qualche testata ha fatto richiesta di poter intervistare il collaboratore, ricevendo un diniego senza che Brusca fosse stato avvertito: «Perché non me l'hanno domandato»? Per provare la presunta censura, il pentito si rivolge alla moglie e la invita a raccontare ai fratelli: «Digli per Bruno Vespa... quanto ci ha messo per avere l'autorizzazione»? E lei: «Subito, in un giorno». Poi non se ne fece nulla, perché Brusca - sembra - si tirò indietro. Ma cosa vorrebbe raccontare Brusca adesso?



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Per esempio: «... mi potrebbe chiedere come mai volevate uccidere a Di Pietro»? Ai cognati, increduli, conferma: «Volevamo uccidere Di Pietro... così per fare confusione». Perché alla mafia «non ce ne fotteva di Di Pietro», semmai «avrei motivo di uccidere no a Di Pietro ma a De Benedetti... perché ... quello che era quindici anni, vent'anni fa è ancora oggi... la guerra non è fra Berlusconi e questi della sinistra! La guerra è tra Berlusconi e De Benedetti...». I magistrati di Palermo hanno, in seguito, approfondito questo tema con Giovanni Brusca, nel corso di alcuni interrogatori avvenuti nello scorso mese di febbraio. Questa parte di documenti, però, non è ancora pubblica.


DELL UTRI IN AULA - DEPONE SPATUZZA - DA REPUBBLICA 10
L'altra storia riguarda un anonimo che ha tutta l'aria di una specie di «relazione riservata», scritta da un addetto ai lavori, inviata da Catania al Centro Dia di Caltanissetta (l'ufficio che indaga sulle stragi mafiose) e alla Commissione antimafia. Il documento racconta di alcuni summit mafiosi svoltisi nel Messinese, fra Mistretta e Barcellona Pozzo di Gotto.

«Riunioni confederali» tra i vertici delle tre mafie italiane per pianificare una ripresa degli attentati contro magistrati e giornalisti. La notizia ha ricevuto una significativa conferma quando la Procura di Messina (una delle tre che indagano sulla vicenda) ha trovato una relazione (autentica) dei servizi, che segnalava l'avvenuto incontro fra un avvocato palermitano con alcuni esponenti della ‘Ndrangheta.


SPATUZZA
All'ordine del giorno dell'incontro «il problema Spatuzza» e il «problema 41 bis», cioè come sfuggire al carcere duro. Nell'ambito del colloquio anche la richiesta del «favore di uccidere il giornalista Lirio Abbate». Preoccupa molto quello che è avvenuto subito dopo, ovvero la scoperta di armi e ordigni nei pressi degli uffici di magistrati «citati» nella lista nera: il procuratore di Reggio Giuseppe Pignatone e il suo aggiunto Prestipino, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, l'aggiunto Gozzo e il sostituto Marino. Dalla Campania sarebbe arrivata, invece, la richiesta di «colpire» Raffaele Cantone, il nemico giurato dei Casalesi.


by dagospia

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