venerdì 25 marzo 2011

GUERRA TOTALE O GUERRA TOTAL? - ABBIAMO MESSO GLI ESERCITI OCCIDENTALI AL SERVIZIO DEI RIBELLI LIBICI, DOMANI FAREMO LO STESSO PER BAHREIN, YEMEN, ARABIA SAUDITA, SIRIA? (LASCIAMO POI PERDERE LA DEMOCRATICA CINA) - ANCHE QUELLI SONO REGIMI AUTORITARI, E STANNO AMMAZZANDO COME CANI CHI OSA PROTESTARE O CHIEDERE RIFORME - MA DI QUESTI RIBELLI NON CI FREGA NIENTE: DEPORRE GLI AMICHEVOLI RE SUNNITI VORREBBE DIRE REGALARE IL MEDIO ORIENTE E IL PETROLIO AD AHMADINEJAD…

Maurizio Chierici per "il Fatto quotidiano"

Mentre l'Europa riposava nell'illusione che stabilità facesse rima con autocrazia, non importa la mano dura, non importano religione e ideologia, Obama sceglie di appoggiare la protesta delle piazze egiziane quando Ben Alì scappa da Tunisi: "C'è qualcosa nell'anima che pretende la libertà", parole di Martin Luther King. Il presidente le ripete stanando l'ipocrisia delle cancellerie dagli inchini rispettosi.


BEN ALI BENALI
All'improvviso si accorgono (sfogliando l'Economist) che il Dipartimento di Stato prevede rivoluzioni "imminenti e probabili" in paesi considerati pompe di petrolio o capisaldi strategici. Yemen al primo posto, 85 per cento di probabilità. Libia e Siria in seconda fila: 65 per cento. Poi Bahrein, Arabia Saudita, in fondo spunta la Giordania. Bengasi accende la rivolta che trascina la guerra. Gli ultimatum di Washington non servono; partono aerei e navi per dare una mano alla democrazia annegata nel petrolio. I nostri governi obbediscono, le opinioni pubbliche si dividono: ormai si combatte.

Bahrein e Yemen sono agitate dalle stesse ribellioni ma le magre indicazioni che arrivano da Washington riguardano i civili americani: invito a lasciare lo Yemen o a trasferirsi "provvisoriamente" nella base Usa del Bahrein. Nessun intervento diretto; tutela dell'integrità del regno affidata alla piccola Nato organizzata con preveggenza in difesa del petrolio, pozzi e traffico.


ECONOMIST
Il 20 per cento dell'energia necessaria ai G20 passa da lì. Il nome è Consiglio della Cooperazione del Golfo: Emirati Arabi, Kuwait, Oman, Qatar, naturalmente Bahrein, assieme in armi (americane) sotto la stessa bandiera impugnata dal gigante saudita. Il quale ha delega di intervenire con duemila uomini: assieme ai carri hanno attraversato il ponte che unisce l'isola al regno amico per accamparsi lontani dalle piazze in subbuglio dove si comincia a morire; tende e cannoni attorno alla residenza del sovrano Hamad bin Isa al Khalifa dove si è trasferito anche il primo ministro, cugino del re.


YEMEN
Questa la democrazia da tutelare con Hamad che promette la nuova costituzione, ma la promette dalle prima grida e ancora non muove un dito. Se nelle strade si muore, i bunker reali sembrano calmi. Eppure l'inquietudine si allarga. Monarchi sunniti, popolazione al 70 per cento sciita. Il sovrano ripete in tv che non tutti gli sciiti obbediscono alle parole d'ordine di Teheran, ma la verità é un'altra. L'Iran parla di "occupazione militare saudita" e fa balenare l'ipotesi di rispondere come si deve. Minacce impossibili, i sovrani lo sanno.

A cinque chilometri da piazza della Perla, parterre dei passeggi oggi cuore della rivolta, la base Usa di Juffair fa la guardia al via vai delle petroliere. Ma non solo. È il centro che ha coordinato la guerra in Iraq, migliaia di militari con famiglie, vita californiana lontana dai problemi del Bahrein. Nei due porti militari galleggia la Quinta Flotta, portaerei della guerra irachena, oggi Awacs che vanno a spiare l'Afghanistan. Insomma, paese agitato per il momento controllato.



OBAMA
Nello Yemen la situazione sta scappando al presidente Ali Abdalà Saleh. Governa dal 1978 sotto l'ala americana e con l'aiuto di Washington ha stroncato la rivolta degli ufficiali marxisti che avevano proclamato la repubblica di Aden. Voleva candidare il figlio alla successione, ma i morti in piazza (ogni giorno il numero si allarga) gli hanno fatto cambiare idea.

Tre generali e tanti militari gli voltano le spalle: la lezione della Libia é arrivata qui. Stava per firmare la concessione di una base Usa, la rivolta l'ha fermato. Mosca e Teheran contrari: fra le accuse che sparge parlando all'infinito, c'é la cospirazione di "forze esterne ostili", e poi la ritorsione degli americani per la parola mancata.


ESERCITO IN BAHREIN
Sfogliando l'Economist, la Siria in subbuglio aveva l'aria di un'ipotesi avventata. Repubblica ereditaria dalle dieci polizie governate da clan alawita che ha in mano ogni potere. Il Sadat figlio continua la politica cominciata da Sadad padre nel 1970. Governo laico all'ombra della Mosca dei soviet, passato ad amicizie supplenti: Iran di Khomeini, ritratti che ossessionavano Damasco; Venezuela di Chavez ma anche aperture verso gli Stati Uniti di Obama con una furbizia diplomatica ereditata dal padre.


BAHRAIN IN RIVOLTA
Analisi di chi guarda di fuori, ma la vita dentro è congelata dalla dittatura senza spiragli. E senza tenerezze. Qualche giorno prima del massacro (1982) assieme a Robert Fisk ascoltavo ad Hama i Fratelli Musulmani. Erano furibondi con Assad padre. Siamo andati via in tempo. Gli incanti della città sgretolati dai bombardieri. Forse 20, 40 mila morti. Fisk è tornato quando l'assalto si è concluso ma la vecchia Hama l'ha vista dalla nuova Hama: proibito entrare, hanno costruito un'altra città.


CAMPI PROFUGHI IN DARFUR
Chi sfida il figlio è consapevole dell'intolleranza del regime, ma la corruzione insopportabile anima il coraggio. Per il momento il "mondo libero" osserva immobile. Come osserva il Darfur: dopo 20 anni di una guerra dimenticata, 2 milioni di profughi tormentati dai militari del Sudan scopre che la sabbia galleggia sul petrolio mentre il referendum lo rende indipendente ma con troppi interessi che opprimono una comunità organizzata per sopravvivere, non per governare.
Torna la maledizione dell'oro nero. Che nello Zimbabwe è la maledizione dei diamanti di Mugabe al potere dal 1980, indifferente all'isolamento internazionale, blocco economico che irride. Imbroglia le elezioni, assassina gli avversari, reprime nel sangue le rivolte, ma i diamanti gli allungano la vita. Nessun paese civile si muove. Fino a quando non si sa.


by dagospia

Nessun commento:

Posta un commento