Francesco La Licata per "La Stampa" Ciancimino Tra i documenti che Massimo Ciancimino ha consegnato alla Procura di Palermo c'è un appunto scritto dal padre, Vito, l'ex sindaco dc, che rivelerebbe la sua appartenenza alla Gladio, la rete di controspionaggio del Patto Altantico che operò in Italia dalla fine delle seconda guerra mondiale fino all'inizio degli anni Novanta, quando Giulio Andreotti (decretandone la fine perché ormai superata dai nuovi assetti dell'Europa) ne rivelò l'esistenza in Parlamento.
vito e massimo ciancimino L'appunto manoscritto è stato consegnato ieri mattina dal figlio, insieme con una quarantina di altre "carte", tra cui la copia originale del famigerato «papello» finora esistente, ma in fotocopia, e custodito negli archivi dei sostituti procuratori di Palermo. Il biglietto sarebbe una sorta di "rivelazione" autografa destinata all'enorme materiale politico e autobiografico che Vito Ciancimino intendeva racchiudere in una pubblicazione, mai ottenuta per il completo disinteresse che allora suscitavano le sue affermazioni. «Ho fatto parte di Gladio», scrive don Vito.
E non si sa quanto di altro aggiunge nel corso del "messaggio". Ovviamente ogni cautela è d'obbligo, quando ci si imbatte in un argomento così scivoloso. I magistrati, infatti, non si sbilanciano, almeno fino a quando non saranno in grado di valutare l'attendibilità dell'appunto e soprattutto fino a che non riusciranno a collocarlo temporalmente e nel clima di quegli anni.
Ciamcimino padre e figlio Fino a questo momento ci si deve accontentare dei ricordi e delle riflessioni del figlio, Massimo. Pure il giovane Ciancimino non trae conclusioni affrettate, anche se è stato testimone di strane e lunghe frequentazioni del padre con ambienti dei servizi segreti. In questo senso fa fede tutta la vicenda legata al «papello» con le richieste di Totò Riina allo Stato e alla «trattativa» che don Vito intavolò coi carabinieri del Ros per conto di Cosa nostra.
VITO CIANCIMINO SCARCERATO DALL'UCCIARDONE - CON IL FIGLIO MASSIMO Da cosa potrebbe essere nato il "filo" tra Ciancimino e i servizi? Il mondo economico, finanziario e politico - specialmente in Sicilia - è stato sempre al centro delle attenzioni e dello sguardo lungo degli apparati di sicurezza. Ma don Vito, a quanto sembra, ne aveva dimestichezza anche per via del ruolo ricoperto dal padre, Giovanni, che durante la guerra e subito dopo era divenuto una sorta di punto di riferimento degli americani nella zona di Corleone, anche perché padrone (forse l'unico, nel territorio) della lingua inglese.
Si vedrà, comunque, se le indagini porteranno a qualcosa di concreto. Nella stessa giornata di ieri - abbastanza convulsa per il teste privilegiato Ciancimino - alla Procura di Palermo ha finalmente fatto ingresso ufficiale il «papello». Dal punto di vista del contenuto (i dodici punti di richiesta della mafia) il documento non aggiunge nulla a quanto si conosceva attraverso la fotocopia.
Importanza, invece, viene data all'originale per via delle conoscenze che potranno essere acquisite attraverso le perizie già disposte. A parte quella grafica, che potrebbe portare all'identificazione dell'autore, sarà interessante accertare «l'età» del documento (attraverso l'analisi della carta) e forse anche la provenienza.
Vito Ciancimino Tra le carte consegnate ieri da Massimo Ciancimino ci sarebbe pure una pagina manoscritta dedicata alla morte di Paolo Borsellino. Don Vito titola: «Post scriptum traditori», e riflette sulle tragedie di Falcone e Borsellino, a suo dire «traditi». Anche lui, don Vito, ritiene di essere vittima di tradimenti.
A tradirlo, sarebbe stata la politica (non aveva gradito il lancio di volantini da un aereo con la scritta: «Meglio vivere un giorno da Borsellino che cento giorni da Ciancimino»). E alla fine immagina che Borsellino, venuto a conoscenza dei tradimenti subìti, (e «forse anche Falcone»), «se risuscitasse» non rifarebbe le cose che ha fatto.
In mattinata Massimo Ciancimino aveva reso dichiarazioni spontanee al processo d'appello che le vede condannato a cinque anni e mezzo. «Ci sono - ha detto - tante cose che non vanno nel mio processo. Tante intercettazioni, a suo tempo ritenute irrilevanti dai magistrati, contengono invece elementi a mia discolpa che, quantomeno, avrebbe potuto evitarmi l'accusa di riciclaggio. Io desidero essere giudicato per quel che ho fatto».
borsellino 2- FRANCESCO COSSIGA: "UN GLADIATORE PROPRIO IN SICILIA? DAVVERO STRANO"
Da "La Stampa"
falcone e borsellinoPresidente Cossiga, ha sentito? Pare che Vito Ciancimino, l'ex sindaco di Palermo, l'uomo al centro di tanti misteri e mediatore della famigerata trattativa tra lo Stato e la mafia, fosse un gladiatore. Così ha lasciato scritto su una sua agenda. Le risulta?
«Mai sentito dire prima e guardi che io, modestamente, la storia di Gladio un po' la conosco. Comunque, che io non sapessi, non vuol dire nulla. Né mi pare che il suo nome sia negli elenchi pubblici... ma anche questo dice poco. Nessuno me ne ha mai parlato, neanche in seguito, però era una struttura altamente compartimentata e quindi è possibile che certi segreti fossero davvero segreti. Di sicuro il nome di Ciancimino non è citato neanche nei libri che recentemente hanno raccontato di Gladio. Boh...».
Francesco Cossiga - Copyright Pizzi Presidente, sembra molto scettico. E così?
«Un poco. Non capisco che cosa avrebbe dovuto fare un gladiatore in Sicilia. Prima che le armate sovietiche fossero arrivatE fino a Palermo, sarebbero intervenuti americani e inglesi. Qualcuno dimentica che razza di presidi fossero le loro basi nel Mediterraneo, un tempo»
Quindi il Sud era escluso?
«Certo, c'era una piccola quota di gladiatori in Sardegna, ma il motivo è chiaro: non soltanto perché in Sardegna c'era la base operativa e di addestramento, ma anche perché i piani, in caso di guerra e di invasione da parte dell'Est, prevedevano il trasferimento del legittimo governo nazionale sull'isola. Non a caso, però, la stragrande maggioranza dei gladiatori si trovava in Lombardia e nel Triveneto.
Nei testi dell'Alleanza atlantica, quella era definita la "combat zone", l'area dove si sarebbe combattuto, e lì serviva la Gladio. Che poi questo non è neanche il suo nome. Ricordiamoci che il vero nome della struttura era "Stay behind", restare indietro. La rete dei gladiatori, messa su nell'intera Europa occidentale doveva servire a organizzare la resistenza contro gli invasori del Patto di Varsavia. Se si chiamano ancora oggi così, è perché a livello europeo lo stemma era un gladio, mentre il simbolo araldico in Italia era una civetta, l'animale notturno per eccellenza. Io ho ancora qui, nella mia libreria, il loro scudetto in legno, che l'ammiraglio Martini fece fare a posteriori».
Lei non ci crede, insomma, che don Vito fosse un esperto di sabotaggi e di esfiltrazione. Ma nemmeno, considerando che nella sfera dei servizi segreti c'è sempre qualche mistero che rimane nell'ombra, se la sente di escluderlo, giusto?
«Escluderlo, no. Ciancimino era un democristiano e quindi avrebbe avuto il profilo giusto. Venivano arruolate persone con forte spirito patriottico e chiara militanza politica. Andavano bene tutti, eccetto missini, monarchici e comunisti. Magari, considerando che il tutore di don Vito è stato Bernardo Mattarella, se l'ha mai fatto studiare sul Continente, a Padova o Milano, lì potrebbe essere entrato in contatto con gli arruolatori. Ma sinceramente io non ne so nulla». (Fra. Gri.)
by dagospia
[30-10-2009]
Nessun commento:
Posta un commento