Francesco La Licata per "La Stampa"
E non si sa quanto di altro aggiunge nel corso del "messaggio". Ovviamente ogni cautela è d'obbligo, quando ci si imbatte in un argomento così scivoloso. I magistrati, infatti, non si sbilanciano, almeno fino a quando non saranno in grado di valutare l'attendibilità dell'appunto e soprattutto fino a che non riusciranno a collocarlo temporalmente e nel clima di quegli anni.
Si vedrà, comunque, se le indagini porteranno a qualcosa di concreto. Nella stessa giornata di ieri - abbastanza convulsa per il teste privilegiato Ciancimino - alla Procura di Palermo ha finalmente fatto ingresso ufficiale il «papello». Dal punto di vista del contenuto (i dodici punti di richiesta della mafia) il documento non aggiunge nulla a quanto si conosceva attraverso la fotocopia.
Importanza, invece, viene data all'originale per via delle conoscenze che potranno essere acquisite attraverso le perizie già disposte. A parte quella grafica, che potrebbe portare all'identificazione dell'autore, sarà interessante accertare «l'età» del documento (attraverso l'analisi della carta) e forse anche la provenienza.
A tradirlo, sarebbe stata la politica (non aveva gradito il lancio di volantini da un aereo con la scritta: «Meglio vivere un giorno da Borsellino che cento giorni da Ciancimino»). E alla fine immagina che Borsellino, venuto a conoscenza dei tradimenti subìti, (e «forse anche Falcone»), «se risuscitasse» non rifarebbe le cose che ha fatto.
In mattinata Massimo Ciancimino aveva reso dichiarazioni spontanee al processo d'appello che le vede condannato a cinque anni e mezzo. «Ci sono - ha detto - tante cose che non vanno nel mio processo. Tante intercettazioni, a suo tempo ritenute irrilevanti dai magistrati, contengono invece elementi a mia discolpa che, quantomeno, avrebbe potuto evitarmi l'accusa di riciclaggio. Io desidero essere giudicato per quel che ho fatto».
Da "La Stampa"
«Mai sentito dire prima e guardi che io, modestamente, la storia di Gladio un po' la conosco. Comunque, che io non sapessi, non vuol dire nulla. Né mi pare che il suo nome sia negli elenchi pubblici... ma anche questo dice poco. Nessuno me ne ha mai parlato, neanche in seguito, però era una struttura altamente compartimentata e quindi è possibile che certi segreti fossero davvero segreti. Di sicuro il nome di Ciancimino non è citato neanche nei libri che recentemente hanno raccontato di Gladio. Boh...».
«Un poco. Non capisco che cosa avrebbe dovuto fare un gladiatore in Sicilia. Prima che le armate sovietiche fossero arrivatE fino a Palermo, sarebbero intervenuti americani e inglesi. Qualcuno dimentica che razza di presidi fossero le loro basi nel Mediterraneo, un tempo»
Quindi il Sud era escluso?
«Certo, c'era una piccola quota di gladiatori in Sardegna, ma il motivo è chiaro: non soltanto perché in Sardegna c'era la base operativa e di addestramento, ma anche perché i piani, in caso di guerra e di invasione da parte dell'Est, prevedevano il trasferimento del legittimo governo nazionale sull'isola. Non a caso, però, la stragrande maggioranza dei gladiatori si trovava in Lombardia e nel Triveneto.
Nei testi dell'Alleanza atlantica, quella era definita la "combat zone", l'area dove si sarebbe combattuto, e lì serviva la Gladio. Che poi questo non è neanche il suo nome. Ricordiamoci che il vero nome della struttura era "Stay behind", restare indietro. La rete dei gladiatori, messa su nell'intera Europa occidentale doveva servire a organizzare la resistenza contro gli invasori del Patto di Varsavia. Se si chiamano ancora oggi così, è perché a livello europeo lo stemma era un gladio, mentre il simbolo araldico in Italia era una civetta, l'animale notturno per eccellenza. Io ho ancora qui, nella mia libreria, il loro scudetto in legno, che l'ammiraglio Martini fece fare a posteriori».
Lei non ci crede, insomma, che don Vito fosse un esperto di sabotaggi e di esfiltrazione. Ma nemmeno, considerando che nella sfera dei servizi segreti c'è sempre qualche mistero che rimane nell'ombra, se la sente di escluderlo, giusto?
«Escluderlo, no. Ciancimino era un democristiano e quindi avrebbe avuto il profilo giusto. Venivano arruolate persone con forte spirito patriottico e chiara militanza politica. Andavano bene tutti, eccetto missini, monarchici e comunisti. Magari, considerando che il tutore di don Vito è stato Bernardo Mattarella, se l'ha mai fatto studiare sul Continente, a Padova o Milano, lì potrebbe essere entrato in contatto con gli arruolatori. Ma sinceramente io non ne so nulla». (Fra. Gri.)
by dagospia
[30-10-2009]
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