mercoledì 17 novembre 2010

Togliere il 41 bis per fermare le stragi: la versione di Amato, la smentita di Martelli

di Lorenzo Baldo - 16 novembre 2010
«Non sapevo, non so e non mi interessa sapere di trattative». Letteralmente tirato per i capelli dalle dichiarazioni di Giovanni Conso, l'ex capo del Dap, Nicolò Amato, si difende a spada tratta.




«Fui io – ribadisce convinto in un'intervista all'Adnkronos – ad avanzare la proposta di cercare forme di lotta alla mafia più serie, dure ed efficaci di quelle rappresentate dal 41 bis di allora».
L'ex magistrato si dice «indignato dei sospetti» e smentisce categoricamente di essere stato lui ad aver “suggerito” nel marzo del 1993, all'allora ministro della Giustizia, Giovanni Conso, la revoca del regime carcerario duro per 140 mafiosi. «Il 41 bis l'ho introdotto io – sottolinea Amato –, d'accordo con Claudio Martelli, nell'estate del 1992», il legale rivendica il suo ruolo nel provvedimento con il quale, dopo le stragi di Capaci e via d'Amelio «di notte riaprimmo l'Asinara e Pianosa». L'ex capo del Dap non ci sta a finire nel tritacarne di quelle che lui definisce “interpretazioni”. «Identificare questo appunto come una proposta per eliminare il 41 bis vuol dire distorcerlo completamente». Nel giro di poche ore giunge la smentita di Claudio Martelli. «Non è vero che io e Nicolò Amato elaborammo insieme il 41 bis – replica seccamente l'ex Guardasigilli socialista –. Non entro nel merito delle singole dichiarazioni di Amato perchè ciò richiederebbe una discussione approfondita sulle strategie più efficaci e sulle responsabilità». «Non avanzo nessun sospetto perché non è nel mio stile – sottolinea Martelli –. Ma una cosa la voglio contestare: di aver elaborato il decreto Falcone insieme con Nicolò Amato. Lui (Nicolò Amato, ndr) era contrario al 41 bis, tant'è che non firmò il decreto di trasferimento dei boss nelle carceri speciali di Pianosa e dell'Asinara. A farlo dovette essere il ministro, cioè io». Una smentita asciutta, senza possibilità di appello. Nessun commento arriva dal procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, che si limita a un lapidario no comment in quanto «l'indagine è tutt'ora aperta». E' invece intenzionato a esprimere una sua opinione sulla questione l'avvocato Luigi Li Gotti, attuale capogruppo dell'Idv in Commissione giustizia, al senato, già difensore del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, il primo “pentito” a parlare della “trattattiva” mafia-Stato. Secondo Li Gotti il mancato rinnovo del 41 bis per 140 boss mafiosi potrebbe essere stato il «primo esito della trattativa» tra Stato e mafia. «C'è un punto che rimane insoluto – spiega Li Gotti all'Adnkronos – Mancino in commissione Antimafia ha dichiarato che nel 1992 si parlava delle due ali di Cosa Nostra, l'ala militarista di Riina e l'ala dialogante di Provenzano, ma all'epoca nessuno ne era a conoscenza». L'ex legale di Brusca mette in fila tutti i pezzi “scomposti” di un disegno criminale che pochi uomini delle istituzioni intendono ricomporre. «Conso dice che arrivò la comunicazione della diversa linea di Provenzano rispetto alla linea stragista di Totò Riina – puntualizza Li Gotti – e proprio per questo motivo non vennero prorogati i 140 41 bis. In quegli anni non si sapeva di queste due ali di Cosa Nostra, però sia Mancino che Conso ne parlano. Allora mi chiedo chi è che si fece portatore di questa diversità di vedute di Provenzano rispetto a Riina? E chi portò la notizia dell'abbandono della linea stragista ai vertici dello Stato?». Gli interrogativi posti dal senatore dell'Idv pesano come macigni su tutti i morti del biennio stragista '92/'93. «Chi è che ha avuto questa capacità di sapere che in Cosa Nostra vi era questa spaccatura?», si chiede ancora Li Gotti. «Ognuno dice di aver assunto le proprie decisioni in solitudine – continua – ma era un anno di stragi, la situazione era molto grave. Dubito che queste iniziative dello Stato siano state iniziative 'solitarie': tutto questo confluisce nell'ambito della cosiddetta trattativa e questi atti, anche inconsapevolmente per alcuni, possono essere il primo esito della trattativa». «Il mancato rinnovo dei 140 decreti – osserva Li Gotti – fu deciso perchè qualcuno aveva segnalato il cambio di strategia di Cosa Nostra». «Conso dice che la fonte era la stampa – conclude l'ex legale di Giovanni Brusca – ma obiettivamente nella stampa non c'erano cose del genere, si pensava addirittura che Provenzano fosse morto». Il ruolo di Nicolò Amato potrebbe assumere a questo punto una posizione nevralgica nell'inchiesta sulla “trattativa”. Il figlio dell'ex sindaco di Palermo ha dichiarato ieri ai magistrati palermitani che a un certo punto proprio Nicolò Amato diventò l'avvocato di suo padre. «Il suo nome fu suggerito e imposto da uomini delle istituzioni – ha dichiarato Ciancimino jr –. All'epoca, la cosa ci sembrò molto strana in famiglia, mio padre aveva fior di avvocati. Lui disse: "Bisogna fare così"». «Ricordo che andavo spesso nello studio dell'avvocato Amato – ha concluso il figlio di Don Vito –, per consegnare o prendere delle buste chiuse». A tutt'oggi i magistrati di Palermo che indagano sulla “trattativa” attendono di leggere le trascrizioni delle audizioni alla Commissione antimafia dell'ex Guardasigilli Giovanni Conso e dell'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino per valutare se e quando interrogarli. «La Commissione antimafia – ha esortato dal canto suo il componente dell'organismo bicamerale Giuseppe Lumia – esamini tutti i documenti possibili per capire chi spinse i vertici delle istituzioni a prendere decisioni che, di fatto, combaciano col tenore delle richieste avanzate dalla mafia e se queste pressioni vennero proprio da chi stava gestendo la trattativa». Lo scontro tra smemorati più o meno famosi folgorati sulla via di Damasco è appena agli inizi.

http://www.antimafiaduemila.com

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