domenica 29 agosto 2010

ROMITONE CHE FA LA PREDICA A MARPIONNE: COME SE LENIN FACESSE LE PULCI A STALIN! - IL DRAMMA È CHE OGGI CESARONE HA RAGIONE DA VENDERE. COME SI FA A PENSARE E DIRE CHE LA CONTRAPPOSIZIONE DI INTERESSI FRA IMPRENDITORI E LAVORATORI DEVE CESSARE, COME IL FILOSOFO DELLA CATENA (DI MONTAGGIO), FINTO ADRIANO OLIVETTI IN MAGLIETTA DÉLABRÉ HA SDOTTOREGGIATO DI FRONTE AI FINTI GIOVANI DEL MEETING DI RIMINI? - INFINE, IL COLPO DEL KAPPAO: ROMITI RICORDA CHE GLI UTILI FIAT VENGONO DAL BRASILE E QUI MARPIONNE NON HA MERITI, PERCHÉ È FORSE L’UNICA SCELTA INDUSTRIALE VERA E CORRETTA FATTA DALLA FIAT NEGLI ULTIMI 40 ANNI, E NON CERTO DA MARPIONNE

ROMITONE CHE FA LA PREDICA A MARPIONNE: COME SE LENIN FACESSE LE PULCI A STALIN!
Bancomat per Dagospia

Romiti che fa la predica a Marchionne: grandioso spettacolo di fine estate. E' come se Lenin facesse le pulci a Stalin!


agnelli, cossiga, romiti
Il dramma è che oggi c'ha ragione da vendere Romiti. Come si fa a pensare e dire che la contrapposizione di interessi fra imprenditori e lavoratori deve cessare, come il finto pensatore in maglietta délabré ha sostenuto e sdottoreggiato di fronte ai finti giovani del meeting di Rimini?


CESARE ROMITI PAOLO MIELI Ha ragione Romitone: la contrapposizione ci sarà sempre, è fisiologica, va però gestita con buon senso. Quello che Romiti per la verità non sempre aveva (la sua Fiat non è mai stata un modello di relazioni industriali, come peraltro neppure quella di Valletta) ma certo Marpionne pare averne di meno ancora.

Diciamo che la superiorità di Romiti è una sola: non ha mai giocato a fare il filosofo della catena di montaggio o l'Adriano Olivetti delle carrozzerie & presse. Personaggio, il mito di Ivrea, che anzi criticava con lodevole schiettezza. Faceva il Romiti, quello vero. Sempre meglio delle imitazioni. E la giacca e cravatta le sapeva indossare, in tutti i Palazzi.

Poi ricorda che gli utili Fiat vengono dal Brasile e qui Marchionne non ha meriti, perché è forse l'unica scelta industriale vera e corretta fatta dalla Fiat negli ultimi quarant'anni, e non certo da Marchionne.


y 2bag35 romiti marchetti bea borromeo
Infine ecco il Romitone, quello duro e puro, che deve rammentare agli italiani come sia sbagliato e pericoloso per una sana dialettica industriale dividere i sindacati. Grande Cesare, tutte le persone di buon senso lo hanno sempre saputo, ma ricordacelo tu e ricordaglielo oggi a Marpionne, magari ti ascoltasse...


CESARE ROMITI WALTER VELTRONI Nella sua ricostruzione della Fiat negli ultimi 50 anni Romiti scorda il nome di Ghidella, peccato, una inutile caduta di stile. L'unico manager mai avuto dalla Fiat meritava un ricordo. Ma pretendere da Lenin che criticasse Stalin parlando pure bene della liberal democrazia era forse troppo..

2 - A MARCHIONNE DICO: I SINDACATI? LI PUOI BATTERE, NON DIVIDERE»
ROMITI: DURANTE LE VERTENZE ANCHE LE TENSIONI VANNO GOVERNATE OPERAI E AZIENDA? LA CONTRAPPOSIZIONE DI INTERESSI CI SARÀ SEMPRE
Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera

«Sa qual è la prima cosa che mi è venuta in mente, ascoltando l'intervento di Sergio Marchionne al Meeting di Rimini?».


CESARE ROMITI ANNA BOMPRINI No, dottor Romiti. Ce la dica.
«Ho pensato a quando, due mesi fa, vidi Raffaele Bonanni in tv, intervistato a "In mezz'ora", su RaiTre. Lucia Annunziata gli chiese: "Scusi, lei preferisce Romiti o Marchionne?". Lui, un po' imbarazzato, rispose: Marchionne. Il giorno dopo gli telefonai. Bonanni, decisamente imbarazzato, pensava volessi lamentarmi.


ER SOR CESARE ROMITI Invece gli dissi: "Non si preoccupi, ci mancherebbe altro che uno non possa esprimere le sue opinioni. Vorrei solo capire le ragioni per cui ha risposto in quella maniera". Bonanni, sempre più imbarazzato, disse che non si aspettava la domanda della giornalista. Chiusi la conversazione ricordandogli che i giudizi vanno dati nel lungo termine, in base ai risultati...».

Dottor Romiti, da quando nel '98 lasciò la Fiat lei non ha mai parlato dei suoi successori né dell'azienda. Che cosa non le è piaciuto dell'intervento di Marchionne?
«Marchionne ha fatto bene a parlare del presente e del futuro. Ma le cose di oggi esistono perché c'è stato il passato. Del passato non s'è parlato. O, meglio, si è parlato delle presenze internazionali della Fiat come di realizzazioni nuove, anche là dove si tratta di fatti acquisiti».

A cosa si riferisce?
«Al Brasile. Agli Stati Uniti, per quanto riguarda le macchine movimento terra e i trattori. Alla Cina. Quando arrivai, nel '74, il Brasile era sguarnito: vi si era insediata la Volkswagen. La Fiat, con Peccei, aveva puntato sull'Argentina: una tragedia. Smobilitai l'Argentina e riorganizzai ex novo la nostra presenza in Brasile, dove nacque uno dei principali stabilimenti Fiat, da cui sono sempre venuti forti utili».


Giovanni Spadolini, marella e Susanna Agnelli, Marco Benedetto, Cesare Romiti
Ci sono altri temi su cui Marchionne non la convince?
«Sì. Quando tratteggia un futuro in cui non esiste la lotta di classe. Ora, guai se mancasse non dico la lotta, ma la contrapposizione degli interessi. Sarebbe un guaio che non finisce mai. Un conto è trovare la formula per ricomporre la contrapposizione, come in Germania, con la partecipazione dei lavoratori ai risultati dell'impresa. Ma la contrapposizione degli interessi ci sarà sempre, ed è un bene che ci sia».

Marchionne chiede un nuovo patto sociale.
«Ecco il punto principale. Vede, la situazione che affrontammo noi nel 1980 era un po' più complicata di quella di oggi. Oggi per fortuna non scorre il sangue. Allora scorreva il sangue. Ci ammazzarono il vicedirettore della Stampa, Carlo Casalegno, e il responsabile della pianificazione, Carlo Ghiglieno. Le Br ci azzoppavano un caposquadra ogni settimana.

Di fronte avevamo leader sindacali che si chiamavano Lama, Carniti, Benvenuto, Bertinotti; non voglio fare paragoni con quelli di oggi, ma diciamo che erano leader di un certo calibro. Eppure noi non ci siamo mai sognati di dividere il sindacato, o anche solo di provarci. Il sindacato lo puoi battere, non dividere. Dividere il sindacato è un errore grave, perché il sindacato escluso ti tormenterà nelle fabbriche; a maggior ragione se è il sindacato più grande. Ed è proprio quel che sta accadendo».


MARCHIONNE
marchionne
Guardi che la Fiat ha tentato a lungo di raggiungere un accordo con la Cgil e la Fiom.
«Il rapporto tra azienda e sindacato è un rapporto dialettico. È sbagliato rinunciare a parlarsi, cercare accordi separati, lasciar fuori qualcuno».

Marchionne dice di essere disposto a incontrare Epifani.
«Ma intanto elogia gli altri due leader sindacali, chiamandoli pure per nome, tra gli applausi. Mi pare un crinale pericoloso. Nel momento in cui sarebbe meglio placare le divisioni, le si alimenta. Mi auguro sinceramente che tutto si risolva bene per la Fiat, ma la situazione è delicata. Anche perché ogni sindacato è da sempre legato a un partito, o comunque a posizioni politiche, pro o contro il governo. Anche per questo dividere il sindacato porta sempre svantaggi».

Marchionne ha ricordato di aver trovato nel 2004 una Fiat sull'orlo del fallimento. Non è forse così?
«La storia della Fiat è legata a grandi cicli e a brevi periodi di gravi difficoltà. Dopo il grande ciclo di Valletta, ci furono cinque o sei anni neri. Poi c'è stato il ciclo tra il 1974 e il 1998, in cui sconfiggemmo il sindacato, battemmo le Brigate rosse, riportammo l'ordine in fabbrica. Nel '98 lasciai la Fiat in condizioni ottime.


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agnelli lamalfa mau ces romiti
Sono seguiti sei anni di interregno, in cui morirono prima l'Avvocato e poi Umberto Agnelli, mentre si susseguivano amministratori delegati che non davano buoni frutti. Ora mi auguro davvero che si apra un nuovo ciclo virtuoso. Dico solo che la teoria della pacificazione generale e la divisione del sindacato non mi sembrano le premesse giuste. Anzi, sono le premesse che hanno creato il caso Melfi».


marchionne Che idea si è fatto della vicenda dei tre operai?
«Quella notte a Melfi è accaduto quel che accade da sempre in caso di sciopero. L'ostruzionismo c'è stato. Il licenziamento dei tre può anche essere legittimo, per quanto due di loro siano sindacalisti. Ma io non avrei acuito la tensione. Se il tribunale decide per il reintegro, si prepara l'appello, e intanto si rispetta la sentenza. Lo scontro va rabbonito, non eccitato».


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Lei andò allo scontro con i sessantuno licenziamenti del 1979.
«Come si fa a paragonare la Mirafiori del 1979 con la Melfi del 2010? A Torino avevamo decine di migliaia di operai, un partito comunista fortissimo, il terrorismo nelle fabbriche. Melfi è sempre stata una fabbrica tranquilla, ideale. Le sono particolarmente affezionato perché l'ho voluta io. E ricordo ancora la gioia con cui, quando gli telefonai, reagì il sindaco, al pensiero dei concittadini che avrebbero avuto un'opportunità di lavoro. Gente particolarmente adatta: seria, affidabile.


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obama e marchionneNoi decidemmo di licenziare i sessantuno dopo che le nuove cabine della verniciatura, fatte secondo le norme, vennero subito sabotate. E non tenemmo all'oscuro il sindacato, anzi, avvertii Lama, Carniti e Benvenuto. Dissi: "Vi comunico che faremo questi licenziamenti. Non chiedo il vostro assenso. Vi chiedo però di non fare causa, perché lo facciamo anche nel vostro interesse, visto che questi sono violenti: terroristi o contigui al terrorismo". Fecero causa lo stesso, e venne fuori che una buona parte dei sessantuno erano legati all'eversione armata. Altro che i tre di Melfi».
by dagospia

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