Ravenna, 21 luglio 2013 - «QUELLA SERA Gardini voleva venire a parlare con noi, ma era disperato perché non poteva avere i rendiconti». E’ un passo, illuminante, della requisitoria di Antonio Di Pietro al
processo a Sergio Cusani celebratosi a Milano fra l’ottobre 1993 e la
primavera seguente. Cusani e successivamente altri imputati fra cui ex
amministratori e collaboratori dell’impero Ferruzzi (Ferfin spa),
vennero condannati oltre che per l’illecito finanziamento dei partiti e
per i falsi in bilancio, anche per appropriazione indebita di una
consistente fetta di quella ‘provvista’ nota come ‘madre di tutte le
tangenti’, ma che in realtà fu soprattutto una colossale appropriazione.
ECCO, in questa impotenza di Raul Gardini a dimostrare alla Procura milanese come in realtà si fosse dipanato il meccanismo dei ‘soldi ai partiti’, sta senza ombra di dubbio la genesi della tragica decisione adottata quella mattina del 23 luglio 1993 nella stanza da letto di palazzo Belgioioso. Un colpo alla testa con la sua Walter PPK 7.65: l’arma fu trovata sul comodino (ivi posta dai primi soccorritori) e questo aprì la strada a una ridda di ipotesi che ancora, a vent’anni di distanza, tengono banco su piste diverse da quella giudiziariamente accertata dalla prima immediata inchiesta, ovvero il suicidio. Ipotesi che addirittura portano sulla scena, oltre alla mafia, anche la Cia e Gladio attraverso racconti recenti di un ex militare.
GARDINI sapeva fin dal pomeriggio del 22 luglio che il gip Italo Ghitti stava per firmare (in effetti lo fece alle 9.15 del 23 luglio) un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti suoi (che con il Gruppo Ferruzzi non aveva più nulla a che fare), di Carlo Sama (a capo del Gruppo), di Sergio Cusani, di Giuseppe Berlini e di Vittorio Giuliani Ricci. L’accusa era, per tutti, di falso in bilancio e finanziamento illecito dei partiti a seguito della maxi provvista da 152 miliardi attraverso la cosiddetta ‘provvista Bonifaci’, ovvero fondi ottenuti mediante plusvalenze relative a compravendita di terreni.
Da quella provvista, presto sfuggita al controllo di Gardini, furono attinti fondi anche per pagare tangenti a molti partiti fino alle elezioni del 1992, dalla Dc al Psi, al Pli, al Psdi, e anche alla Lega, e pure al Pci. A gennaio, con l’accusa di aver pagato tangenti, già era finito in carcere Lorenzo Panzavolta, manager indiscusso di Calcestruzzi, gioiello della Ferfin.
A far scattare le misure cautelari del 23 luglio erano state le dichiarazioni di Giuseppe Garofano, amministratore di Montedison, che, inseguito da una antecedente ordinanza di custodia cautelare era apparso a Ginevra il 14 luglio e si era consegnato. Fu lui a svelare i primi passaggi della formazione della provvista e del pagamento delle tangenti e proprio quel 23 mattina, i quotidiani titolavano a nove colonne: «Le tangenti di Raul». Poi a fornire la propria versione provvide Carlo Sama nel carcere di Opera durante la detenzione di una settimana (cui, dal 29 luglio, seguirono gli arresti domiciliari nella villa di Marina Romea e infine nella residenza in centro a Ravenna).
La sua versione, Gardini non l’ha mai potuta dare: la ricostruzione delle sue attività si fonda sulle risultanze, concordanti, dei vari processi. Ma per quanto riguarda le decisioni assunte nel corso del tempo da Raul Gardini e che possono ritenersi dati storici, ci si deve fermare a metà del 1991: a giugno ‘il Corsaro’ divorziò dalla famiglia Ferruzzi e lasciò l’impero. Da quella data in poi, ogni decisione relativa al pagamento di tangenti ai partiti, alcune delle quali consegnate a Ravenna (500 milioni al segretario socialista Claudio Martelli in vista delle elezioni del 5 aprile 1992) furono adottate dagli amministratori del tempo, Carlo Sama in primo piano. Per comprendere la decisione di Raul Gardini di ricorrere al denaro si deve andare al 1988, quando ‘il Corsaro’, succeduto a Serafino Ferruzzi deceduto nell’incidente aereo del 10 dicembre 1979 a Forlì, aveva già in mano le redini della Ferfin, la holding che conteneva Montedison, Calcestruzzi e decine di altre grosse società. Raul era un imprenditore vulcanico con un’apertura mentale di grande caratura (basti pensare che aveva chiamato nel cda personaggi culturali del calibro di Rita Levi Montalcini) rivolta alle innovazioni tecnologiche, alle fonti energetiche alternative a cominciare dal bio-etanolo, assolutamente rivoluzionarie per quel periodo.
«La chimica sono io» divenne il suo motto e obiettivo, dopo peraltro aver conquistato British Sugar, costata 800 miliardi, e lo zucchero della francese Beghin-Say: Gardini prima avviò la scalata a Montedison e poi mise in cantiere il gigantesco progetto di Enimont, joint venture fra la privata Montedison e il pubblico Eni allora retto da Gabriele Cagliari. Enimont nacque il primo gennaio 1989, ma gli sgravi fiscali promessi dal governo di Ciriaco De Mita sulle plusvalenze dovute alla valutazione reale degli impianti non venivano sganciati. Fu così che Gardini mise mano per la prima volta al portafoglio grazie alle provviste generate dalle alchimie finanziarie del cervese Pino Berlini, custode in Svizzera del patrimonio di famiglia Ferruzzi e già artefice dell’occultamento dell’enorme buco (400 milioni di dollari) dovuto alla causa avviata nel 1989 nei confronti del Gruppo dalla Borsa cereali di Chicago (mercato della soia). E poi ai soldi Gardini fu costretto a ricorrervi di nuovo quando, di lì a 18 mesi, la strada di Enimont cominciò a mettersi in salita. Gardini voleva la maggioranza, l’Avvocatura dello Stato chiese e ottenne il blocco delle azioni, il ravennate decise di vendere a 2.805 miliardi di lire.
IL GOVERNO accettò, ma Gardini aveva già incaricato Cusani di rastrellare 150 miliardi, la cosiddetta ‘madre di tutte le tangenti’. Di quei 150 miliardi, si è detto, ne furono utilizzati una minima parte per le tangenti e ancor più minima da Gardini visto che di lì a un anno abbandonò le cariche del gruppo. Il resto, quasi 90 miliardi, nelle prime settimane del gennaio 1991, fu depositato, sotto forma di CCT, presso la Banca del Vaticano, lo Ior, grazie a Luigi Bisignani. Parcheggiata nel conto ‘San Serafino’ (a ricordo di Serafino Ferruzzi) l’ingente somma dal 10 giugno, tre giorni dopo il siluramento di Raul, prese le strade di alcuni conti cifrati in Lussemburgo e in Svizzera. Dopo di che se ne sono perse quasi tutte le tracce: evidentemente è rimasta nella disponibilità di qualcuno e poi ben utilizzata. Sergio Cusani restituì 35 miliardi. Questa era la verità che Raul avrebbe voluto raccontare a Di Pietro, ma non aveva i documenti e sbarrata era la strada per recuperarli.
AVEVA DUELLATO con Cefis, ancor più con Cuccia, con De Mita e ministri che non considerava, aveva combattuto al board di Chicago, aveva ospitato nella sua dimora veneziana Bill Clinton, che ancora non era presidente Usa e la moglie Hillary (il cui studio legale lo tutelava a Chicago), aveva solcato gli oceani nella Vuitton cup e nella Coppa America nel 1992: improvvisamente, quella mattina del 23 luglio di 20 anni fa, dopo una notte di telefonate vane, Raul per la prima volta sentì di essere travolto dagli eventi. In mano non aveva più alcuna carta.
Carlo Raggi
http://www.ilrestodelcarlino.it/ravenna/cronaca/2013/07/21/922906-raul-gardini-morto-venti-anni-fa.shtml
ECCO, in questa impotenza di Raul Gardini a dimostrare alla Procura milanese come in realtà si fosse dipanato il meccanismo dei ‘soldi ai partiti’, sta senza ombra di dubbio la genesi della tragica decisione adottata quella mattina del 23 luglio 1993 nella stanza da letto di palazzo Belgioioso. Un colpo alla testa con la sua Walter PPK 7.65: l’arma fu trovata sul comodino (ivi posta dai primi soccorritori) e questo aprì la strada a una ridda di ipotesi che ancora, a vent’anni di distanza, tengono banco su piste diverse da quella giudiziariamente accertata dalla prima immediata inchiesta, ovvero il suicidio. Ipotesi che addirittura portano sulla scena, oltre alla mafia, anche la Cia e Gladio attraverso racconti recenti di un ex militare.
GARDINI sapeva fin dal pomeriggio del 22 luglio che il gip Italo Ghitti stava per firmare (in effetti lo fece alle 9.15 del 23 luglio) un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti suoi (che con il Gruppo Ferruzzi non aveva più nulla a che fare), di Carlo Sama (a capo del Gruppo), di Sergio Cusani, di Giuseppe Berlini e di Vittorio Giuliani Ricci. L’accusa era, per tutti, di falso in bilancio e finanziamento illecito dei partiti a seguito della maxi provvista da 152 miliardi attraverso la cosiddetta ‘provvista Bonifaci’, ovvero fondi ottenuti mediante plusvalenze relative a compravendita di terreni.
Da quella provvista, presto sfuggita al controllo di Gardini, furono attinti fondi anche per pagare tangenti a molti partiti fino alle elezioni del 1992, dalla Dc al Psi, al Pli, al Psdi, e anche alla Lega, e pure al Pci. A gennaio, con l’accusa di aver pagato tangenti, già era finito in carcere Lorenzo Panzavolta, manager indiscusso di Calcestruzzi, gioiello della Ferfin.
A far scattare le misure cautelari del 23 luglio erano state le dichiarazioni di Giuseppe Garofano, amministratore di Montedison, che, inseguito da una antecedente ordinanza di custodia cautelare era apparso a Ginevra il 14 luglio e si era consegnato. Fu lui a svelare i primi passaggi della formazione della provvista e del pagamento delle tangenti e proprio quel 23 mattina, i quotidiani titolavano a nove colonne: «Le tangenti di Raul». Poi a fornire la propria versione provvide Carlo Sama nel carcere di Opera durante la detenzione di una settimana (cui, dal 29 luglio, seguirono gli arresti domiciliari nella villa di Marina Romea e infine nella residenza in centro a Ravenna).
La sua versione, Gardini non l’ha mai potuta dare: la ricostruzione delle sue attività si fonda sulle risultanze, concordanti, dei vari processi. Ma per quanto riguarda le decisioni assunte nel corso del tempo da Raul Gardini e che possono ritenersi dati storici, ci si deve fermare a metà del 1991: a giugno ‘il Corsaro’ divorziò dalla famiglia Ferruzzi e lasciò l’impero. Da quella data in poi, ogni decisione relativa al pagamento di tangenti ai partiti, alcune delle quali consegnate a Ravenna (500 milioni al segretario socialista Claudio Martelli in vista delle elezioni del 5 aprile 1992) furono adottate dagli amministratori del tempo, Carlo Sama in primo piano. Per comprendere la decisione di Raul Gardini di ricorrere al denaro si deve andare al 1988, quando ‘il Corsaro’, succeduto a Serafino Ferruzzi deceduto nell’incidente aereo del 10 dicembre 1979 a Forlì, aveva già in mano le redini della Ferfin, la holding che conteneva Montedison, Calcestruzzi e decine di altre grosse società. Raul era un imprenditore vulcanico con un’apertura mentale di grande caratura (basti pensare che aveva chiamato nel cda personaggi culturali del calibro di Rita Levi Montalcini) rivolta alle innovazioni tecnologiche, alle fonti energetiche alternative a cominciare dal bio-etanolo, assolutamente rivoluzionarie per quel periodo.
«La chimica sono io» divenne il suo motto e obiettivo, dopo peraltro aver conquistato British Sugar, costata 800 miliardi, e lo zucchero della francese Beghin-Say: Gardini prima avviò la scalata a Montedison e poi mise in cantiere il gigantesco progetto di Enimont, joint venture fra la privata Montedison e il pubblico Eni allora retto da Gabriele Cagliari. Enimont nacque il primo gennaio 1989, ma gli sgravi fiscali promessi dal governo di Ciriaco De Mita sulle plusvalenze dovute alla valutazione reale degli impianti non venivano sganciati. Fu così che Gardini mise mano per la prima volta al portafoglio grazie alle provviste generate dalle alchimie finanziarie del cervese Pino Berlini, custode in Svizzera del patrimonio di famiglia Ferruzzi e già artefice dell’occultamento dell’enorme buco (400 milioni di dollari) dovuto alla causa avviata nel 1989 nei confronti del Gruppo dalla Borsa cereali di Chicago (mercato della soia). E poi ai soldi Gardini fu costretto a ricorrervi di nuovo quando, di lì a 18 mesi, la strada di Enimont cominciò a mettersi in salita. Gardini voleva la maggioranza, l’Avvocatura dello Stato chiese e ottenne il blocco delle azioni, il ravennate decise di vendere a 2.805 miliardi di lire.
IL GOVERNO accettò, ma Gardini aveva già incaricato Cusani di rastrellare 150 miliardi, la cosiddetta ‘madre di tutte le tangenti’. Di quei 150 miliardi, si è detto, ne furono utilizzati una minima parte per le tangenti e ancor più minima da Gardini visto che di lì a un anno abbandonò le cariche del gruppo. Il resto, quasi 90 miliardi, nelle prime settimane del gennaio 1991, fu depositato, sotto forma di CCT, presso la Banca del Vaticano, lo Ior, grazie a Luigi Bisignani. Parcheggiata nel conto ‘San Serafino’ (a ricordo di Serafino Ferruzzi) l’ingente somma dal 10 giugno, tre giorni dopo il siluramento di Raul, prese le strade di alcuni conti cifrati in Lussemburgo e in Svizzera. Dopo di che se ne sono perse quasi tutte le tracce: evidentemente è rimasta nella disponibilità di qualcuno e poi ben utilizzata. Sergio Cusani restituì 35 miliardi. Questa era la verità che Raul avrebbe voluto raccontare a Di Pietro, ma non aveva i documenti e sbarrata era la strada per recuperarli.
AVEVA DUELLATO con Cefis, ancor più con Cuccia, con De Mita e ministri che non considerava, aveva combattuto al board di Chicago, aveva ospitato nella sua dimora veneziana Bill Clinton, che ancora non era presidente Usa e la moglie Hillary (il cui studio legale lo tutelava a Chicago), aveva solcato gli oceani nella Vuitton cup e nella Coppa America nel 1992: improvvisamente, quella mattina del 23 luglio di 20 anni fa, dopo una notte di telefonate vane, Raul per la prima volta sentì di essere travolto dagli eventi. In mano non aveva più alcuna carta.
Carlo Raggi
http://www.ilrestodelcarlino.it/ravenna/cronaca/2013/07/21/922906-raul-gardini-morto-venti-anni-fa.shtml