mercoledì 8 luglio 2015

IL PANICO DEL 2011

da il Fatto Quotidiano di
Martedì 13 maggio 2014 – Anno 6 – n° 130
IL PANICO DEL 2011
Quando la Merkel piangeva per l’euro
di Stefano Feltri
   Sappiamo cosa, ma non esattamente come. Sappiamo cosa è successo tra 2011 e 2012, quando le democrazie europee si sono trovate stritolate nella crisi dell'euro e le normali dinamiche della politica hanno dovuto deformarsi per gestire un'emergenza continentale. Ma ancora non sappiamo tutti i dettagli. Dopo mesi di lavoro, il corrispondente a Bruxelles del Financial Times Peter Spiegel ha iniziato una serie di articoli che vogliono fornire la versione definitiva sugli eventi che hanno determinato il corso dell'economia occidentale.
   LA SCENA è quella del G20 di Cannes, il 3 e il 4 novembre 2011, il più importante vertice internazionale di sempre. Angela Merkel piange e dice “Non è giusto, non mi suiciderò”. Ci sono Nicolas Sarkozy e Barack Obama che le chiedono qualcosa che non può fare, cioè aumentare il contributo tedesco alle barriere anti-crisi, i “firewall”, che dovevano arginare il panico dei mercati. Il burocratico e sparuto fondo salva Stati dell'epoca, l'Efsf, era inutile, ma la Merkel non era disposta a cedere. E, secondo la ricostruzione di Peter Spiegel, aveva “gli occhi pieni di lacrime”. Promemoria: il vertice di Cannes arriva nel novembre 2011 quando la Grecia sta esplodendo e l'Italia è fuori controllo, con Silvio Berlusconi che ha sprecato la tregua ottenuta grazie alla lettera della Bce. Il suo governo non è riuscito a rispettare gli impegni concordati con Francoforte, in cambio dell'acquisto di titoli di Stato italiani sul mercato, e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è rifiutato di firmare un decreto di misure straordinarie, così il Cavaliere è arrivato a Cannes a mani vuote, certificando che non ha più il controllo della situazione.
   La ricostruzione del Financial Times chiarisce alcuni punti importanti. Primo: il referendum (mai fatto) in Grecia. Il premier Giorgios Papandreou, assediato dai mercati e dall'asse Parigi-Berlino, sfida tutti e annuncia che sottoporrà a referendum il pacchetto di misure di austerità imposto dalle autorità europee. Sarkozy si infuria: “È impazzito”. E, con il suo consigliere Henri Guaino, decide un piano alternativo: se proprio Papandreou vuole il referendum, lo deve fare sulla permanenza della Grecia nell'euro e nell'Unione europea. Una mossa pericolosissima (visti i precedenti della bocciatura della Costituzione europea in Francia e Olanda nel 2005) ma sostenuta con rigore calvinista anche dalla Merkel: un bel voto e nessuno potrà più lamentarsi dell'austerità.
   PAPANDREOU PROVA a resistere, ma non ha molti argomenti, nello scontro totale con Merkel e Sarkozy gli subentra l'ambizioso ministro delle Finanze Evangelos Venizelos, mentre il presidente della Commissione Ue José Barroso, assai poco super partes, cerca un asse con il leader dell'opposizione conservatrice (e oggi premier) Antonis Samaras, contrario al referendum, per iniziare a discutere di un governo di unità nazionale una volta cacciato Papandreou. Una settimana dopo si insedierà il governo tecnico di Lucas Papademos. “Dobbiamo uccidere questo referendum”, diceva Barroso. Poi succede l'incredibile, stando alla ricostruzione del Financial Times: Papandreou alla stampa rilascia un vago commento, il “referendum dovrà stabilire se rimarremo o meno nella zona euro”. Poi sale sull'aereo per tornare ad Atene. Si addormenta, provato dai negoziati, e il ministro Venizelos subito detta un comunicato: “La posizione della Grecia nella zona euro è una conquista storica del Paese che non può essere messa in dubbio. Questo risultato ottenuto dal popolo greco non può dipendere da un referendum”. Quando Papandreou si sveglia, il suo progetto di usare il voto popolare contro la tecnocrazia europea è distrutto e la sua esperienza di governo è finita. Così funzionava la democrazia nel pieno dell'eurocrisi. Le altre rivelazioni sono per intenditori: il piano di aiuto che il Fondo monetario internazionale di Christine Lagarde e la Francia di Nicolas Sarkozy volevano imporre all’Italia era da 80 miliardi e non da 60, come risultava finora. E Obama e Sarkozy avevano elaborato un piano complicato per utilizzare gli SDR, i diritti speciali di prelievo (una specie di moneta virtuale del Fondo monetario) come surrogato degli euro veri che la Banca centrale europea ancora non era pronta a creare per arginare il panico. Ma, come prevedibile, la Banca centrale tedesca mette il veto per i soliti timori di inflazione dovuta a creazione di moneta incontrollata. E l’Europa deve aspettare altri otto mesi perché Mario Draghi plachi i mercati annunciando di fare “tutto il necessario” per salvare l’euro.
   La vera storia di quei mesi, comunque, va ancora esplorata a fondo, siamo solo all’inizio.
   Twitter @stefanofeltri
 
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