Timothy Garton Ash per "The Guardian"
Traduzione di Emilia Benghi per "la Repubblica”
Gli
dei fanno prima impazzire coloro che vogliono distruggere. In questo
caso li fanno annoiare. I vertici dell’eurozona sulla Grecia si
moltiplicano, ogni volta annunciati come “l’ultima occasione” e gli
europei ormai sono quasi in preda alla narcolessia.
Sonnecchiamo
sul sedile del passeggero anche mentre l’auto cade nel burrone. Ma non
c’è niente da fare. Se i capi di governo dell’Ue non trovano una via
d’uscita in occasione del vertice di emergenza convocato per questa
domenica, il prossimo lunedì il progetto di integrazione europea
potrebbe iniziare a disfarsi. Se pensate che in gioco ci sia solo il
futuro della Grecia, be’, pensateci due volte.
Il
problema è che la cronica incapacità dell’Eurozona di fare qualcosa che
non sia tirare a campare non è semplicemente frutto di politiche
sbagliate e di una leadership debole, che abbondano da ogni parte,
governo greco, governo tedesco e istituzioni europee e internazionali
inclusi. Ma le cause sono ben più profonde, radicate nella debolezza
strutturale del progetto europeo già decenni fa. La maggioranza dei
politici responsabili di queste debolezze ormai sono morti o vivono
un’arzilla terza età. Sotto molti aspetti i leader di oggi sono
intrappolati nella logica perversa delle istituzioni create dai loro
predecessori. Sarà necessario uno straordinario balzo di coraggio e
creatività per superarlo.
mitterrand andreotti kohl
Se
mi chiedete chi sono i due primi responsabili della crisi dell’Eurozona
di cui la Grecia è solo la manifestazione più estrema, vi direi l’ex
presidente francese François Mitterrand e Giulio Andreotti. Furono loro
due che, subito dopo la caduta del muro di Berlino, costrinsero il
cancelliere Helmut Kohl ad accettare il programma che avrebbe portato
all’unione monetaria europea, offrendo in cambio, obtorto collo, il
sostegno all’unificazione tedesca, ma senza accettare l’unione fiscale
necessaria al funzionamento della moneta unica.
«La
storia recente, non solo in Germania», disse Kohl dall’alto del suo
sapere, «c’insegna che è assurdo attendersi di poter mantenere nel lungo
periodo l’unione economica e monetaria in assenza di unione politica».
Come aveva ragione!
Questo
non è che uno dei tanti peccati originali dell’eurozona. La Francia e
l’Italia chiesero l’impegno nei confronti della moneta unica, ma fu la
Germania a scrivere gran parte delle regole — ed erano regole tedesche,
improntate all’ossessione della lotta all’inflazione e studiate per gli
scenari macroeconomici di un’epoca diversa. Dato che si trattava
soprattutto di un progetto politico e Francia e Italia dovevano essere
parte dell’Eurozona fin dall’inizio, si ebbe una sorta di effetto domino
al contrario.
Se
l’Italia era dentro, allora doveva entrare anche la Spagna, e poi il
Portogallo e via così fino alla Grecia, uno stato profondamente
clientelare e non toccato dalla modernizzazione. La Grecia non avrebbe
mai dovuto aderire all’unione monetaria che, a sua volta, non sarebbe
dovuta partire, neppure limitatamente a un gruppo più ristretto di
economie compatibili, almeno fino a che non si fossero affrontati i
peccati originali strutturali.
Il
vecchio re Kohl sperava che, come era più volte accaduto nell’Europa
post 1945, l’integrazione economica avrebbe finito per catalizzare la
necessaria integrazione politica. Ma finora non è andata così. Con lo
svanire della memoria della guerra, dell’occupazione e della dittatura
l’opinione pubblica in tutto il continente — non da ultimo nella stessa
Germania — ha sviluppato un atteggiamento più pragmatico, scettico o del
tutto disincantato riguardo al progetto europeo.
La
soluzione proposta per sanare il cosiddetto deficit democratico
dell’Ue, ossia conferire maggiori poteri al parlamento europeo a
elezione diretta, quindi presentare Spitzenkandidaten, candidati alla
presidenza della Commissione Europea scelti dai partiti, non ha
funzionato. Molte volte negli ultimi mesi ho chiesto a platee di persone
andate alle urne se avessero intenzionalmente votato per uno degli
Spitzenkandidaten e quasi nessuno ha risposto di sì. La teoria èuna
cosa, la pratica un’altra. Quindi qualunque opinione abbiate del
comportamento di dubito.
merkel e kohl
Alexis
Tsipras, non ha senso far finta che Jean-Claude Juncker goda di una
legittimazione democratica europea maggiore in confronto al primo
ministro greco.
La
realtà della democrazia europea resta nazionale: la sfera pubblica
europea non è cresciuta molto rispetto a quando ho iniziato a studiare e
a girare l’Europa 40 anni fa. Esistono pubblicazioni dirette a un
pubblico ridotto e colto in tutto il continente, ma la maggior parte
della gente in Europa si ferma ai media nazionali, anche quando la
lingua è comune. A Vienna mi hanno spiegato quanto sia diverso il tono
con cui i media austriaci trattano l’argomento Grecia rispetto ai media
tedeschi.
Quindi
non esiste una sola Grecia, bensì 28 grecie diverse, a seconda del
paese in cui siete. La grecia estone o lituana sarebbe pressoché
irriconoscibile agli occhi degli italiani, figuriamoci dei greci.
Analogamente non c’è una sola Germania bensì 28 — e pochi tedeschi
riconoscerebbero il proprio paese nella “Germania” dei quotidiani greci.
Queste narrazioni in netto contrasto sono alimentate dai politici di
ogni paese che emergono da ogni vertice di Bruxelles strombazzando i
loro successi e attribuendo ogni partita persa ad altri governi o alle
malefiche istituzioni europee. Il ministro degli esteri belga ha
ironizzato sul fatto di essere l’unico a non poter dare la colpa a
Bruxelles (perché è anche la sede del suo governo).
John
Stuart Mill ha scritto che l’unità dell’opinione pubblica necessaria al
funzionamento del governo rappresentativo non può aversi tra gente che
manca di senso di comunità, soprattutto se si parlano lingue diverse.
L’Europa non l’ha ancora smentito. Nelle scorse sei settimane sono stato
in sei paesi diversi riscontrando dolorosamente l’assenza, tra di loro.
di un senso di comunità. Contrapporre la democrazia alla tecnocrazia è
ormai un cliché. Purtroppo la verità è ancora più amara, perché
nell’Eurozona è presente il peggio di entrambi i termini.
Istituzioni
come la Commissione Europea e l’Fmi mostrano alcune delle pecche
(nonché delle virtù) della tecnocrazia, inclusa la tendenza ad aderire a
ortodossie irrealistiche, a un’economia a taglia unica. Ma se parliamo
dei leader europei allora lo scontro è tra democrazia e democrazia.
Subito dopo il no greco di domenica scorsa Tsipras ha celebrato “la
vittoria della democrazia” — le Termopili rivisitate e corrette in
modello agitprop.
tsipras merkel lagarde
Ma,
benché Angela Merkel non discenda direttamente da Pericle, è un leader
in tutto e per tutto democratico quanto Tsipras e egualmente soggetto ai
limiti imposti dall’interesse nazionale e (cosa spesso più importante)
dalle emozioni nazionali. Così i 28 leader che si riuniscono a Bruxelles
domenica assieme ai vertici delle istituzioni europee non dovranno
semplicemente superare le proprie posizioni, ma sormontare gli ostacoli
strutturali creati dai loro predecessori andando oltre l’ortodossia dei
tecnocrati e negoziando un processo per conciliare i legittimi
imperativi di 28 democrazie nazionali.
Se
falliranno, non solo la Grecia, ma l’intero progetto europeo
precipiteranno in una crisi ancor più grave. La crisi esistenziale
finirà per essere colta come kairos , l’opportunità di azione decisiva?
Da europeo lo spero, da analista ne dubito.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/timothy-garton-ash-chi-sono-due-primi-responsabili-crisi-europea-104634.htm
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