Mentre in molti continuano a raccontarci la favola della crescita che
sta per ripartire, basta fare ancora “qualche piccolo sacrificio” –
Renzi in Italia, Christine Lagarde per il Fmi – da qualche altra parte
si vanno preparando per la prossima tempesta di dimensioni globali.
Non ne stanno parlando in qualche “pensatoio” senza responsabilità
operative, ma ai vertici delle principali banche d’affari del pianeta.
Strutture multinazionali per definizione, con terminali in ogni angolo
del globo e analisti dedicati ad ogni area significativa di business.
A rompere il ghiaccio è stato Jamie Dimon, un paio di giorni fa. Di
mestiere fa l’amministratore delegato di Jp Morgan, squalo della finanza
secondo soltanto a Goldman Sachs, e in quanto tale ha inviato ai suoi
soci la periodica lettera di informazioni in cui viene dipinto un quadro
niente affatto roseo.
La tesi è semplice: una nuova crisi sta per abbattersi sui mercati
finanziari. Nessun verbo al condizionale. L’unica incertezza è sul
quando esploderà e a partire da quale punto. Sono domande centrali per
uno che sposta quotidianamente denaro da una parte all’altra del globo –
non deve farsi sorprendere nell’ora e nel posto sbagliato – ma assai
meno pressanti per noi che non abbiamo un soldo.
A noi interessa soprattutto sapere che un’altra crisi finanziaria, di
dimensioni superiori a quella del 2007-08 e con effetti deciamente più
devastanti, si va “caricando” nelle viscere del sistema internazionale. E
nessuna sa come tenerla sotto controllo.
Dimon impiega ben tre pagine del suo rapporto (poco meno del 10% del
testo completo) a disegnare scenari plausibili, per consentire ai suoi
soci di prendere decisioni razionali, tempestive, conservative. Due cose
gli sembrano comunque certe; una fase caratterizzata da “mercati più
volatili” e “un rapido deprezzamento delle valutazioni”. Tempesta e
grande velocità nell’accumulare perdite, se si sbagliano le mosse.
In fondo Dimon è solo il più “operativo” tra le cassandre che stanno vedendo crescere i segnali di tempesta. Lo scorso anno, un report
dell’economista britannico George Magnus, analista della banca svizzera
UBS e uno dei pochi ad aver previsto l’esplosione della bolla dei
subprime. avvertiva che l’attuale calma sui mercati è la classica
“quiete prima della tempesta”. Proprio come quella che aveva preceduto
il 2008.
Idem ha fatto, poco dopo, il francese Jacques Attali, sul settimanale
L’Express, precedendo lo scoppio di una crisi finanziaria con
conseguenze durissime soprattutto in Europa.
Stabilito che ci sarà da ballare, il ragionamento di Dimon e degli altri
profeti di sventura passa ad esaminare chi è che ci rimetterà per primo
– o con costi maggiori – la ghirba.
Rassicurando i soci, Dimon ha ricordato che la capacità di assorbire
eventuali shock da parte delle banche è stata molto limitata dalle nuove
regole su capitali e liquidità. In fondo sono state salvate dai
governi, hanno i bilanci parzialmente ripuliti, hanno scaricato la
maggior parte della zavorra alle banche centrali (prima alla Federal
Reserve, ora anche alla Bce). Quindi non saranno le banche a essere
travolte per prime, né a dare una mano per slavare il sistema.
Hedge fund e grandi gestori di fondi saranno invece costretti a
intervenire e acquistare asset finanziari improbabili, ovviamente
insieme ai governi nazionali. Uno schema solo in parte originale, anzi
già collaudato, che alla fine scaricherà la gra parte dei costi
direttamente sui risparmiatori (una volta come aderenti ai fondi di
investimento, una volta come contribuenti degli stati nazionali
(inevitabilmente costretti ad aumentare la tassazione per far quadrare i
bilanci) e un’altra ancora come lavoratori dipendenti che perderanno il
lavoro.
La cabala dei previsori indica però anche l’anno dell’esplosione: il 2015.
Attali, per esempio, segnala che negli ultimi trent’anni le crisi
finanziarie gravi si sono ripetute ogni sette anni: 1987 (il Dow Jones
perse il 22,6% in una sola giornata); 1994 (crisi della valute
emegenti); 2001 (scoppio della bolla dot.com); 2008 (bolla dei subprime
negli Usa). Il problema è che non sianìmo ancora usciti da quest’ultima e
già ne sta arrivando un’altra. Non c’è stato insomma possibilità di
mettere a posto i vari sistemi e sottosistemi sconquassati dalla crisi
del 2008. Per dire: da allora l’Italia ha perso oltre il 12% del Pil, la
Grecia quasi il 30, e nenache la Germania ha davvero recuperato il gap
con la situazione del 2007.
Il vero elemento che preoccupa i “professionisti dei mercati” è
esattamente quello che hanno preteso a gran voce da sette anni a questa
parte: la “droga liquida” emessa con assoluta generosità dalle grandi
banche centrali (Federal reserve su tutti). Un oceano di denaro che
contnua a sgorgare da numerose sorgenti (Bce e Banca del Giappone, in
questo momento) senza trovare da nessunaparte vere occasioni di
valorizzazione. Ossia di profitto.
Questo oceano di denaro non ha avuto quasi nessun effetto sull’”economia
reale”, sulla produzione o i servizi; se non quello, minore, di
contenere i crolli di diversi settori. Soprattutto, però, quell’oceano
di liquidità si è riversato sulle borse e sui “mercati paralleli”,
quelli dove viaggiano prodotti “derivati” dal contenuto (o
“sottostante”) irrintracciabile, oppure sulle quotazioni azionarie di
borsa. In definitiva: quei prezzi delle azioni, oggi, sono gonfiati
dalla droga e non corrispondono affatto – anzi! – alle condizioni di
profittabilità delle aziende di cui portano il nome.
Questo fenomeno ha un nome: bolla.
Ogni asset finanziario è sopravvalutato, costa troppo rispetto al suo
(già incerto) valore. Facile dunque prevedere, per uno come Dimon, un
botto fragoroso e velocissimo non appena la “bolla” incontrerà – come
sempre avviene – il suo fatale spillo. Ossia l’occasione, magari minore e
impensabile (com’è stato per i mutui subprime statunitensi), che fa
saltare la catena di santantonio dei titoli finanziari. Con tutti che
corrono a vendere e nessuno che si ferma a comprare. Noi consigliamo
sempre di dare uno sguardo al film Margin call per farsi un’idea “da
dentro” l’esplosione della bolla.
E sembra abbastanza credibile la previsione dell’Europa come epicentro
dell’esplosione. In fondo è qui che la Bce sta cominciando a pompare
liquidità – sostenendo i valori di borsa – proprio mentre la Federal
Reserve Usa sta meditando di “tornare alla normalità”, rialzando i tassi
di interesse. Persino la querula regina delle riunioni del Fmi,
Christine Lagarde, ha dovut ammettere che proprio in Europa il rischio è
più alto per via, anche, di “crediti incagliati per 900 miliardi di
euro, che stanno bloccando i canali del credito nell’Eurozona”. Una
cifra pari al 60% del Pil italiano, non un petardo.
C’è quindi chi azzarda anche la previsione del comparto che esploderà per primo:
Secondo la molti esperti, tra gli ultimi Lagarde, partirà dal mercato
obbligazionario: ha superato i 100.000 miliardi di dollari (erano 70.000
miliardi nel 2007). Un mercato dalle dimensioni colossali, 50 volte il
debito pubblico italiano, che sta consentendo alle grandi società
statunitensi di scaricare il proprio debito in Europa, dove il costo del
denaro è più basso. La prossima bolla a esplodere sarà quella dei bond.
Titoli di stato, ovvero debito pubblico, cioé il canale di scambio tra
capitale multinazionale finanziario privato e possibilità di
rifinanziamento del debito pubblico degli Stati. Vien quasi da ridere
pensando con quale seriosità, per esempio, Schaeuble e Merkel continuano
a bacchettare la Grecia mentre sotto le loro auguste poltrone è
caricata una bomba nucleare da 100.000 miliardi…
Claudio Conti
Fonte: http://contropiano.org
Link: http://contropiano.org/articoli/item/30163
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=14914
DA: terrarealtime2.blogspot.it
http://lastella.altervista.org/la-crisi-e-finita-no-sta-per-esplodere-come-una-bomba-nucleare/
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