di Gianni Lannes
Ben 2.400 tonnellate di oro italiano, ovvero la quarta riserva
aurea al mondo, sono state trafugate in gran segreto dal governo degli
Stati uniti d’America e non risiedono più nella Banca d’Italia, grazie
ad alcuni traditori della Patria che hanno fatto fortuna e carriera.
Draghi Mario in primis. Perché? Quell’oro appartiene di diritto al
popolo italiano e non può esser alienato. Ma allora per quel ragione i
governanti italidioti hanno consentito questo furto di cui non si parla
pubblicamente? Perché i responsabili politici e tecnici nostrani non
sono mai stati processati? Perché questo tema cruciale non è all’ordine
del giorno? Altro che crisi economica. Siamo dinanzi ad una rapina
legalizzata delle risorse italiane.
Nel sito online del parlamento tricolore si legge:
«Le linee dell’intervento operato col D.L. n. 133 del 2013. Le
modifiche apportate dal Titolo II del decreto-legge n. 133 del 2013 si
muovono lungo diverse linee di intervento. In estrema sintesi, viene
mantenuto il precedente modello organizzativo della Banca d’Italia, di
natura privatistica. Parallelamente, viene riaffermato e chiarito il
divieto di ingerenza nelle funzioni istituzionali della Banca – in
particolare, nelle funzioni di vigilanza bancaria e finanziaria e di
politica monetaria – da parte degli organi che possono essere
considerati espressione dei partecipanti al capitale, ovvero l’Assemblea
dei partecipanti, il Consiglio superiore e il Collegio sindacale. Il
capitale sociale dell’Istituto viene portato da 156.000 euro a 7,5
miliardi, mediante l’utilizzo delle riserve statutarie. Sono modificati i
diritti economici dei partecipanti alla distribuzione di dividendi
annuali, a valere sugli utili netti. E’ altresì ampliato il novero dei
soggetti legittimati a detenere quote del capitale della Banca, con
l’introduzione di un limite individuale (al 3 per cento) di possesso di
quote del capitale e la sterilizzazione dei diritti di governance ed
economici per la parte di capitale detenuta in eccesso. La Banca
d’Italia potrà acquistare le proprie quote in via temporanea, al fine di
favorire il rispetto del limite partecipativo. Con l’emanazione del
D.P.R. 27 dicembre 2013 si è concluso l’iter di approvazione delle
modifiche allo Statuto della Banca d’Italia necessarie a recepire le
indicazioni del decreto-legge n. 133 del 2013».
La Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico come stabilito
dal Regio decreto-legge 12 marzo 1936, numero 375 (legge bancaria del
1936) e dallo stesso statuto all’articolo 1, 1 comma, e come ribadito
anche da una sentenza della Corte suprema di cassazione. Le quote
nominative di partecipazione al suo capitale sociale sono al 2014 per il
94,33% di proprietà di banche e assicurazioni private e per il 5,66% di
enti pubblici (INPS e INAIL). Nel 1936 la Banca d’Italia diventa
istituto di diritto pubblico (articolo 3 della legge bancaria del 1936
ovvero il regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 marzo 1938, n. 141, e successive
modificazioni e integrazioni), le viene assegnato il compito di vigilare
sulle banche italiane e ottiene la conferma del potere di emissione
della moneta.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre le autorità tedesche pretesero
la consegna della riserva aurea. 173 tonnellate d’oro furono trasferite
dapprima presso la sede di Milano, e poi a Fortezza. Successivamente se
ne persero le tracce. Nel 1948 viene conferito al governatore il compito
di regolare l’offerta di moneta e decidere il tasso di sconto.
Nel luglio 1981 venne avviata, per decisione dell’allora ministro
del tesoro Beniamino Andreatta, la separazione consensuale fra lo stato e
la sua banca centrale. Da quel momento l’istituto non era più tenuto ad
acquistare le obbligazioni che il governo non riusciva a piazzare sul
mercato, cessando quindi la monetizzazione del debito pubblico italiano
che aveva eseguito dal secondo dopoguerra fino a quel momento. Tale
decisione fu osteggiata dal ministro delle finanze Rino Formica, il
quale avrebbe voluto che la Banca d’Italia fosse tenuta a rimborsare
almeno una quota di questi titoli. Per la cronaca, lo stesso Andreatta,
il 2 giugno 1992, ha partecipato a bordo del panfilo di Elisabetta
Windsor, in crociera da Civitavecchia all’Argentario, ad un contro
organizzato da due banche inglesi, per sgraffignare il patrimonio
pubblico italiano. E così è stato, anche alla presenza di Mario Draghi.
La legge del 7 febbraio 1992 numero 82, proposta dall’allora
ministro del Tesoro Guido Carli, chiarisce che la decisione sul tasso di
sconto è di competenza esclusiva del governatore e non deve essere più
concordata di concerto con il ministro del Tesoro (il precedente decreto
del presidente della Repubblica, viene modificato in relazione alla
nuova legge con il DPR del 18 luglio). Il d.lgs 10 marzo 1998 n. 43
sottrae la Banca d’Italia alla gestione da parte del governo italiano,
sancendo l’appartenenza della stessa al sistema europeo delle banche
centrali. Da questa data quindi la quantità di moneta circolante viene
decisa in autonomia dalla Banca centrale. Il 13 giugno 1999 il senato
della Repubblica, nel corso della XIII Legislatura discute il disegno di
legge 4083 “Norme sulla proprietà della Banca d’Italia e sui criteri di
nomina del Consiglio superiore della Banca d’Italia”. Tale disegno di
legge vorrebbe far acquisire dallo stato tutte le azioni dell’istituto,
ma non viene mai approvato.
La legge 28 dicembre 2005, numero 262, nell’ambito di varie misure a
tutela del risparmio, introduce per la prima volta un termine al
mandato del governatore e dei membri del direttorio. Essa ha inoltre
affrontato (articolo 19, comma 10) il tema della proprietà del capitale
della Banca d’Italia prevedendo la ridefinizione dell’assetto
partecipativo dell’Istituto mediante un regolamento governativo da
emanarsi entro tre anni dall’entrata in vigore della legge stessa. Tale
regolamento avrebbe dovuto disciplinare le modalità di trasferimento
delle quote in possesso di “soggetti diversi dallo Stato o da altri enti
pubblici”. La delega operata dalla legge 262/2005 è dunque venuta a
scadenza senza che sia stato emanato il regolamento, ma il diritto alla
titolarità delle quote degli attuali partecipanti è comunque
salvaguardato da una norma dello Statuto della Banca. Sulla base della
legge 262/2005, Mario Draghi diventa il primo governatore ad avere un
mandato a termine di sei anni, rinnovabile una sola volta per ulteriori
sei anni.
Con decreto del presidente della repubblica (D.P.R.) del 12
dicembre 2006 viene approvato il nuovo statuto che recepisce, tra le
altre cose, le indicazioni della BCE (una banca privata al cui vertice
siede Mario Draghi). Lo statuto della Banca centrale all’articolo 3
specifica le tipologie giuridiche dei soggetti che possono detenere
quote del capitale sociale.
Prima della revisione del 12 dicembre 2006, lo stesso articolo
indicava invece che il pacchetto di controllo doveva essere detenuto da
soggetti pubblici. La legge 28 dicembre 2005, n. 262, Disposizioni per
la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari,
prevedeva all’articolo 19, comma 10 (che non verrà mai attuato): Con
regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto
1988, n. 400, è ridefinito l’assetto proprietario della Banca d’Italia, e
sono disciplinate le modalità di trasferimento, entro tre anni dalla
data di entrata in vigore della presente legge, delle quote di
partecipazione al capitale della Banca d’Italia in possesso di soggetti
diversi dallo Stato o da altri enti pubblici.
Riferimenti:
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 27 dicembre 2013
Approvazione del nuovo statuto della Banca d’Italia, a norma
dell’articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 10 marzo 1998, n. 43.
(13A10691) (GU Serie Generale n.305 del 31-12-2013)
La Banca d’Italia, giornalisticamente nota anche come Bankitalia, è
la banca centrale della Repubblica Italiana, parte integrante dal 1998
del sistema europeo delle banche centrali (SEBC).
http://lastella.altervista.org/lannes-ben-2-400-tonnellate-di-oro-italiano-sono-state-trafugate-in-gran-segreto-dal-governo-degli-usa/
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