In
questa fine di febbraio si accavallano e si intrecciano due problemi:
il primo riguarda il sistema politico, che sembra destinato a un periodo
di grave instabilità e ingovernabilità, nonostante le imminenti
elezioni; il secondo investe il sistema produttivo del Paese,
soprattutto quello delle ultime grandi aziende in mano allo Stato,
mentre la crisi e la recessione (entrata ormai nel sesto anno
consecutivo) stanno decimando la struttura delle piccole e medie
aziende.
Quando esplose la prima “tangentopoli”,
nell’incrocio tra politica e affari, l’Italia bruciò le tappe di una
privatizzazione di gran parte del suo apparato pubblico produttivo, senza varare alcuna legge di liberalizzazione.
In definitiva, la grande stagione delle privatizzazioni si risolse, in
quasi tutte le occasioni, in un passaggio dal monopolio dello Stato a
oligopoli privati.
Furono liquidati grandi enti di Stato come Iri e Efim; venne ridimensionato il ruolo dello Stato nell’Eni,
fondato da Enrico Mattei; passarono ai privati pezzi importanti di
produzione e la gestione di grandi servizi. L’intero processo di
privatizzazione non risolse i problemi delle casse dello Stato,
lasciando uno strascico di polemiche che si trascina ancora adesso.
Lo Stato incassò circa 200mila miliardi di lire, pagando alle banche d’affari anglosassoni, che curarono il complicato passaggio dal pubblico al privato, una commissione che si valuta tra l’1% e l’1,7% dell’intero incasso.
Se l’operazione di privatizzazione, senza
alcuna liberalizzazione, fosse stata presa per abbassare in modo
consistente il debito pubblico, il risultato non fu affatto centrato,
perché il debito si ridusse solo dell’8%.
Esaminando dopo anni quella discutibile
operazione, partita anche dalle inchieste dei magistrati, vale la pena
di riportare tre giudizi. Il primo è quello della Corte dei Conti: «Si
evidenzia una serie di importanti criticità, che vanno dall’elevato
livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa
trasparenza connaturata ad alcune delle procedure utilizzate in una
serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della
ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractor e
organismi di consulenza al non sempre immediato impegno dei proventi
nella riduzione del debito».
Meno burocratico e più immediato, il giudizio di un grande economista come Giulio Sapelli: «Dobbiamo
finalmente dire a chiare lettere che la mancata crescita di oggi è
frutto delle disgraziate privatizzazioni degli anni Novanta.
Privatizzazioni fatte per gli amici degli amici e “all’Argentina”, ossia
per togliere dall’agone della concorrenza internazionale gran parte
dell’industria italiana. Di ciò non abbiamo mai chiesto conto a nessuno,
intellettualmente e politicamente intendo, anzi, su questa rapina si
sono costruite fortune politiche che durano sino a oggi».
Il terzo giudizio viene dalla drammatica testimonianza di Lorenzo Necci, morto nel 2006. Necci fu un grande manager, presidente di Enimont, poi presidente e amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato.
Il 15 settembre del 1996 fu messo in carcere e poi accusato di 42
reati. Fu letteralmente “incenerito”… per poi essere assolto 42 volte.
Che cosa diceva Necci di quella concitata stagione di “privatizzazioni senza liberalizzazioni”? Raccolse in un libro-intervista le sue impressioni e le sue valutazioni, coniando alla fine un’immagine secca e impietosa: “L’Italia svenduta”.
C’è una strana similitudine tra quel
contesto degli anni Novanta e questo momento storico. Allora, come oggi,
si parlava di corruzione, di “intreccio perverso” tra politica e
affari, di necessità di fare cassa, di inevitabilità di dismissioni
delle grandi imprese statali per collocarle poi sul mercato. Negli anni
Novanta, la magistratura voleva “rivoltare l’Italia” come un calzino per
liberarla dalla corruzione, i “tecnici” dell’epoca (Ciampi, Amato) e i nuovi politici volevano “più mercato”
e un’Italia più moderna. Partì la magistratura, naturalmente in
perfetta buona fede e ossequiosa nei confronti della legge, e seguirono i
politici della cosiddetta “seconda Repubblica” per arrivare alla
situazione attuale.
Oggi la magistratura è ripartita. Più della metà delle aziende quotate in Borsa (il conto è stato fatto da “Milano Finanza”) è bloccata o sotto il cono d’ombra della magistratura. Mentre si assiste sbalorditi al contenzioso intorno all‘Ilva di Taranto tra posizioni contrastanti, che coinvolgono Governo, magistrati e Corte costituzionale, il Monte dei Paschi di Siena
(terzo gruppo bancario italiano) è, secondo quanto scrivono i
magistrati, una banca che era in mano a una “cupola”. Nello stesso
tempo, le due ultime grandi aziende di Stato superstiti, l’Eni e Finmeccanica,
vengono “promosse” al rango, sempre secondo le indagini dei giudici, a
“comitati di affari” o a “sistemi di distribuzione di tangenti” al
sistema politico italiano.
Un osservatore internazionale dotato di
un minimo di razionalità potrebbe dedurre che in Italia si sta avverando
una combinazione perfetta per “fare affari”, ottimi affari: da un lato
una confusa e complicata situazione politica, dall’altro lato una
inquietante conduzione di grandi imprese che le porterebbero a perdere
reputazione internazionale e quindi valore sul mercato.
Sarà per caso o per avversa fortuna, ma
l’affare del Monte dei Paschi di Siena sta diventando in Europa peggiore
della “nazionalizzazione notturna”, fatta qualche anno fa dal governo
di Londra, di otto banche inglesi in stato preagonico; peggiore dei
titoli tossici e dei derivati, transitati e ancora presenti, nelle
casseforti delle grandi banche tedesche e francesi. Sarà sempre per caso
o per avversa fortuna, ma ormai il reato di corruzione internazionale sta soppiantando qualsiasi altra fattispecie giuridica. Intanto gli algerini fanno capire che gli appalti assegnati alla Saipem
(controllata Eni) saranno bloccati e gli indiani “fanno gli indiani”:
congelano i pagamenti per gli elicotteri venduti dall’Italia e strizzano
l’occhio ai francesi, che si presentano “al mercato” con contratti
blindati dalla ragione di stato, tra ministri plenipotenziari e
interventi della loro “intelligence”, come sempre accade quando si vende
e si compra materiale strategico.
Sei favorevole alle privatizzazioni?
Sono in corso solo indagini dalla procura
di Busto Arsizio fino a quella di Trani. che dipingono un’Italia di
ladroni, tangentari, incompetenti. Anche se tutto è ancora da
dimostrare, l’aria che si respira è che negli anni Novanta si è attuata
una prima grande “svendita”, ma adesso siamo arrivati proprio alla liquidazione finale.
Vedi anche:NEOLIBERISMO, la dottrina dei potenti
Mario Monti: l’uomo FIAT
Evoluzione economica dell’Italia
Quando lo Stato perse il controllo del capitale
Fonte: http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2013/2/16/INCHIESTA-Italia-dalle-svendite-degli-anni-90-alla-grande-liquidazione-finale-/364335/
https://azioneprometeo.wordpress.com/2013/02/18/litalia-svenduta-le-privatizzazioni-degli-anni-90/
Nessun commento:
Posta un commento