LA MIA ULTIMA CENA CON GARDINI
Vittorio Feltri per "il Giornale"
Ieri,
mentre leggevo l'intervista su Raul Gardini rilasciata da Antonio Di
Pietro ad Aldo Cazzullo per il Corriere della sera , la memoria, non
troppo arrugginita, mi ha restituito ricordi abbastanza nitidi sulle 36
ore che precedettero il suicidio dell'imprenditore,risalente alla
mattina del 23 luglio 1993, vent'anni orsono, in piena buriana di
Tangentopoli.
Raul Gardini Il
numero uno di Mani pulite nonché fondatore di Italia dei valori,
recentemente tornato al lavoro dei campi non per imitare Cincinnato ma
perché costrettovi dalla mancata rielezione in Parlamento alle ultime
consultazioni (24-25 febbraio scorso), afferma che l'allora padrone
della chimica nazionale si sparò alla tempia, togliendosi la vita
all'istante, «in un moto d'impeto non preordinato coerente con il
personaggio, che era lucido, razionale, coraggioso».
gar12 raul gardiniInsomma,
un suicidio d'istinto, dettato dalla consapevolezza che quella stessa
mattina, dovendosi recare in Procura per essere interrogato sulla madre
di tutte le stecche (Enimont), probabilmente sarebbe stato arrestato e
incarcerato. Come tanti prima di lui. Non mi permetterei mai di
contraddire l'ex Pm a riguardo dell'inchiesta, dato che era materia sua,
mentre io ne raccontavo gli sviluppi col distacco tipico di chi è
chiamato soltanto a riferire; tuttavia posso testimoniare che, invece,
Gardini non premette il grilletto così, all'improvviso, in un momento di
disperazione, ma dopo avere covato il proposito relativamente a lungo:
minimo 36 ore, come dicevo sopra.
Spiego perché. La
sera del 21 luglio cenai con lui nella sua casa di piazza Belgioioso
(vicino a piazza Meda, dove c'è il Disco dello scultore Arnaldo
Pomodoro). Ignoravo e ancora ignoro il motivo per il quale mi avesse
invitato. Fui sorpreso, ma accettai la sua proposta senza pormi
problemi: non volevo essere scortese con un uomo che, oltretutto, era
stato fra gli azionisti del giornale che dirigevo a quel tempo,
L'Indipendente, quotidiano dedito alla narrazione dei fatti prodromici
alla caduta della Prima Repubblica.
Raul Gardini All'ora
convenuta, le 20.30, mi presentai davanti al portone dell'elegante
palazzo. Mi ricevette un garbato signore, suppongo il maggiordomo, che
mi introdusse nell'austera dimora. Fui fatto accomodare in un salotto e
attesi. Ero un po' agitato, anche perché non conoscevo l'ospite
illustre. D'altronde, si prova un certo imbarazzo nell'incontrare un
potente mai frequentato in precedenza, specialmente quando non sai che
cosa si aspetti da te.
Trascorsi alcuni minuti, il
magnate si appalesò: abito grigio antracite, capelli bianchi,
espressione severa. Dopo i soliti convenevoli- stretta di mano, come
sta?, bene grazie, e lei?- si sedette di fronte a me, ma aprì bocca
soltanto per ordinare al cameriere di servire l'aperitivo: champagne
Veuve Clicquot.
Scuro in volto come uno cui sia stato
diagnosticato un cancro che non perdona, Gardini bevve un sorso, deglutì
e si accese una Muratti Ambassador. Gli chiesi se potessi fare
altrettanto. Con la sigaretta tra le labbra mi illudevo di recuperare
disinvoltura. Trovai soltanto il coraggio di rompere il silenzio di
tomba, rivolgendogli la domanda più cretina in quella circostanza
surreale: «Che ne dice, presidente, di questa mattanza di politici e
imprenditori?».
gar02 raul gardini Tirò
un sospiro, aspirò del fumo in abbondanza, poi sconsolato osservò:
«Speravo fosse lei a darmi qualche notizia».Risposi in automatico:
«Tutto quello che so l'ho scritto. Ma ogni giorno ce n'è una nuova.
Ormai i cancelli di San Vittore sono girevoli, purtroppo solo in
entrata, come le porte degli alberghi». Il suo commento fu molto
sintetico: «Già».
Per fortuna si inserì il cameriere
con una variante alla stringata conversazione: «Se lo desiderano, prego,
la cena è pronta». Gardini si alzò e mi indicò la sala da pranzo. Con
sgomento constatai che la tavola era apparecchiata per due, dal che ebbi
a desumere che per un'oretta,forse di più,sarei stato costretto, senza
l'ausilio di altri commensali, a escogitare un espediente per sciogliere
il rigidissimo padrone di casa.
Provai in ogni modo a
stimolare il suo interesse. Non ci fu verso di fargli cambiare
espressione: occhi fissi sulla minestrina di alta cucina ospedaliera, la
mano destra impegnata col cucchiaio, le dita della sinistra che
stringevano la sigaretta come fosse l'ultima,quella di un condannato a
morte. Gardini sorbiva un po' di brodino e fumava; ogni tre cucchiaiate e
due boccate, beveva champagne. Parole, zero. Un incubo. Non comprendevo
il senso di quella serata. Perché mi avrà invitato qui per non dirmi
niente?, mi domandavo.
Antonio Di Pietro Di
sottecchi controllavo l'orologio: le lancette sembravano paralizzate.
Ero infastidito oltre che stupito. In un obitorio ci sarebbe stata
un'atmosfera più serena che in quella sala da pranzo. Per adeguarmi ai
ritmi del padrone di casa, bruciai una sigaretta dietro l'altra. Ero al
corrente che Gardini non stava messo bene: le voci di un suo probabile
arresto circolavano da settimane.
Per cui non mi fu
difficile intuire da che cosa dipendesse il suo umore tetro. Rimaneva un
mistero: perché convocarmi al suo desco? Forse pretendeva da me qualche
dritta. Avendogli però detto, non appena giunto in piazza Belgioioso,
che non avevo informazioni fresche, egli si rese conto dell'inutilità
della mia presenza, e sprofondò nei suoi cupi pensieri.
antonio di pietro idv L'ipotesi
di spararsi non credo gli piacesse, ma gli piaceva ancora meno,
evidentemente, quella di subire l'umiliazione del carcere. Mai suicidio
fu più meditato,altro che «moto d'impeto». Di Pietro non deve pentirsi
di non avere arrestato Gardini prima che questi ponesse fine ai suoi
giorni. Un Pm fa il suo mestiere secondo coscienza, se ce l'ha,
altrimenti rischia di usare la custodia cautelare (che espressione
gentile, ma la galera è galera) quale scorciatoia per arrivare subito al
nocciolo: la confessione. Il sistema è efficace, indubbiamente, ma può
provocare disastri. E infatti seguita a provocarne.
2 - I POLITICI, LA MAXI TANGENTE GLI ULTIMI GIORNI DI UN «MORO» VISIONARIO I FIGLI, LA VELA, LE SFIDE
Raffaella Polato per Corriere della Sera"
ANTONIO DI PIETRO Difficile,
ancora. Difficile perché son passati vent'anni, ma il suono di quello
sparo che il 23 luglio 1993 nessuno sentì, tutti - almeno tutti i
protagonisti dell'epoca, se soltanto vorranno ascoltare appena un po' -
lo sentiranno adesso: con la potenza distruttiva di un colpo alla tempia
suicida e colpevole eppure, in molti modi, scaricato anche addosso a un
sistema che si pretendeva invece innocente. Difficile per questo.
Perché le maxitangenti ci sono state, eccome, e la corruzione e la
concussione e tutto il resto.
E però vent'anni dopo
dove, in che modo (non) è finito quello in cui, tributata pietà alla
morte, un Paese intero aveva creduto come in un rito di
autopurificazione? E tanti dei relativi sacerdoti (non solo nella
politica)? E le promesse, i giuramenti di una res pubblica e privata
fondata sulla pulizia, la trasparenza, il rigore, su confini netti tra i
giusti e i peccatori?
ANTONIO DI PIETRO Ecco.
Sarà anche questo: stanchezza, disincanto, disillusione. Sarà che
Ravenna Raul Gardini l'ha sempre e comunque più che amato: l'ha adorato,
a prescindere. Però a vent'anni da allora qualcosa di noi racconta, la
città in cui il Condottiero tornò Contadino in una bara da Palazzo
Belgioioso, Milano, un tiro di pistola all'alba a chiudere le paure di
un carcere «sussurrato» da settimane.
ANTONIO DI PIETRO Come
lui, ma già da una cella a San Vittore, si era suicidato tre giorni
prima l'altro, meglio, «uno» degli altri volti della storiaccia Enimont,
Gabriele Cagliari. Il ventennale non provoca lo stesso effetto. La
memoria dell'ex presidente Eni non rimane, nell'immaginario collettivo,
stampata come quella dell'ex presidente Montedison.
Non
è solo perché Gardini aveva portato l'Italia nelle case nostre e del
mondo con il sogno a vela dell'America's Cup (con il Moro arrivò secondo
e, quando venne premiato, il sindaco di San Diego Marylin O'Connor
dedicò un quarto d'ora a lui per poi liquidare il vincitore con un
sinteticissimo: «E complimenti a Bill Koch»).
Né
perché, prima di cadere e perdere tutto come solo un giocatore di poker
può, fece ancora più grande l'impero del suocero, Serafino Ferruzzi, e
in quell'impero davvero «non tramontava mai il sole». Nemmeno perché
casa sua era sempre Ravenna, gli amici erano sempre Vianello il marinaio
e il mitico Vanni Ballestrazzi, professione giornalista, la gente di
lì, la «sua» gente, quelli con cui sei cresciuto e continui a darti del
tu e non smetti di vederti al bar.
È tanto, certo: non
spiega comunque tutto. L'altro ieri, venerdì, «il Vanni» stava al
ristorante e da un tavolo accanto una signora scuoteva la testa con i
suoi: «Ravenna dopo Raul non è più stata Ravenna». Stesse ore, il
settimanale della provincia Sette sere qui titolava: «Nostalgia di
Gardini». Poi martedì prossimo, c'è da giurarci, la chiesa di San Rocco
(quella dove nel 1942 fece la Comunione con «il Vanni») sarà stracolma
di ravennati quasi come la basilica di San Francesco lo fu per i
funerali.
Solo che adesso saranno passati vent'anni,
appunto, questa sarà la cerimonia che la moglie Idina e i figli
Eleonora, Ivan, Maria Speranza - loro, soprattutto e soprattutto in
pubblico, non hanno mai più voluto parlare di quel che accadde e portò
allo sparo di Palazzo Belgioioso - organizzano in intimità ogni 23
luglio.
Non importa più di tanto lì, in città, che
politica e business abbiano rimosso Gardini. Dà fastidio che lo si
ricordi solo per Enimont. Tranne «Raul» (che semmai giustificano oggi
più di ieri) non hanno perdonato niente e nessuno per tutto quel che
accadde: non il resto della famiglia della moglie, non certa politica,
non quell'averlo saputo sospeso per giorni e giorni e giorni con lo
spettro delle manette quando lui, se proprio, in carcere voleva andarci
«con le mie gambe» dopo essersi spontaneamente presentato a raccontare
la «sua» verità.
Magari non sarebbe comunque finita
così. Magari la vecchia Walter Ppk l'avrebbe comunque tirata fuori lo
stesso. Ma i ravennati, e chi l'ha conosciuto davvero o avuto amico nel
mondo, non è in questo modo che lo ricordano. Nella memoria hanno certo
tutte le mille facce del suo carattere: generoso e però spietato negli
affari, coraggioso e però fin oltre il limite dell'azzardo, spavaldo e
strasicuro e però a suo modo ingenuo (non per niente aveva rubato
all'amico Vanni e fatto propria, ma evidentemente troppe volte
dimenticata, la seguente massima: «La fiducia nel prossimo è l'unico
delitto che non resterà impunito»).
Con tutto ciò - e
nel linguaggio di qui è già un unico, immenso complimento raccontato con
tenerezza e rimpianto - resta un altro il tributo in cui, dovessero
scegliere una sola parola, riassumerebbero Gardini: «Visionario».
Ovviamente a partire dal business. Cominciò a parlare con ben più di
vent'anni d'anticipo di energia verde, per dire: e a dargli retta,
allora, fu quasi solo George Bush padre, con il quale ne discusse e che
gli fece costruire il primo impianto americano di biocarburanti. La
strada - i cereali, oltre allo zucchero in Brasile: ma questa è un'altra
storia - vista dal 2013 non era quella giusta?
Prometteva
ricerca. Ci credeva. L'avrebbe fatta (non si fosse perduto nei corridoi
più neri della politica, credendo come Enrico Mattei di poterla usare
come un taxi, e viceversa: il guaio è che altri taxi hanno mostrato di
circolare ancora). L'avrebbe fatta perché era un affare, verissimo. Ma
leggete questa frase: «Non si vogliono rendere conto, nei fatti e non
solo a parole, che lo sviluppo dell'economia sarà globale o non sarà. E
lo sviluppo dovrà ripartire dal primario, cioè dall'agricoltura.
La
fase meccano-petrolifera sta toccando il tetto, continuare su questa
linea può voler dire consumare il nostro pianeta, avvelenarlo, renderlo
invivibile. L'economia funziona quando anche la soluzione dei problemi è
un guadagno, o meglio un utile, ed è ricchezza. Se non è così, diventa
asfittica, perde futuro. Perciò bisogna innescare uno sviluppo che
affronti positivamente problemi globali: la fame nel mondo e
l'inquinamento del pianeta». Ricorda qualcosa? Raul Gardini. 1992.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/feltri-suicidio-gardini-ma-quale-atto-impeto-covo-proposito-59947.htm
martedì 28 luglio 2015
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