A confermare quanto detto basti ricordare il caso della tentata
vendita della SME (azienda alimentare), operante nel gruppo IRI, effettuata
nel 1985. Considerando che la SME era stata completamente sanata dopo gli interventi
di riforma avvenuti ne4l 1983 e nel 1985, è risultato chiaro che il tentativo
di vendita di questa impresa non era dettato
da una crisi economico-finanziaria quanto piuttosto dalla volontà di costruire
un grande polo alimentare nazionale a caratterizzazione privatistica, in grado
di fronteggiare eventuali acquisizioni estere. Il possibile acquirente scelto
dall’IRI (senza richiedere alcun tipo di approvazione da parte del Ministero
delle Partecipazioni Statali) era stato il gruppo Buitoni, con il quale era
stato già raggiunto un accordo preliminare. La completa mancanza di trasparenza
di questa operazione che avveniva a vantaggio di un gruppo privato a discapito
della finalità pubblica, ha portato a non autorizzare la vendita e alla riapertura
del processo di vendita attraverso un’asta pubblica. La Buitoni di rimando ha
aperto una causa legale nei confronti dell’IRI per il mancato adempimento degli
accordi. Questa confusa e contrastata vicenda ha interrotto la vendita della
SME, che fino al 1993 è rimasta nel settore pubblico.
Anche per la cessione della Lanerossi ci sono delle
particolarità; soprattutto grazie alla spinta delle organizzazioni dei lavoratori
la vendita è avvenuta almeno nell’impegno formale di tre condizioni : la salvaguardia
degli interessi dei livelli occupazionali, la garanzia del rispetto degli investimenti
in corso, e infine a condizione che la società acquirente fosse di dimensioni
simili alla Lanerossi. Il problema principale è stato soprattutto quello di
un riposizionamento strategico dell’ENI: “Nel caso del tessile, il settore è
stato acquisito dall’impresa pubblica per un’azione di salvataggio. Una volta
compiuto il salvataggio e riportata l’azienda in equilibrio il compito si esaurisce
e il problema della possibile dismissione si pone”; il presidente dell’ENI,
Reviglio ha stabilito con queste parole la vendita della Lanerossi il 5 Febbraio
1987. Il gruppo Marzotto ha offerto la cifra più alta ( 167,9 miliardi di lire)
ed ha acquistato la Lanerossi.
Il caso dell’Alfa Romeo è stato invece condotto senza
alcun ostacolo e con una completa sottomissione allo strapotere del gruppo Fiat;
anche se va ricordato che questa impresa, a differenza della SME, si trovava
in condizioni disastrose dal punto di vista finanziario essendo in continua
perdite di bilancio, dovute a scelte politico-economiche volutamente suicide.
Si può sicuramente ipotizzare che il dissesto economico-finanziario dell’Alfa
Romeo sia stato almeno in parte voluto, in modo tale che la privatizzazione
risultasse quasi una “scelta imprenditoriale obbligata”; le proposte di acquisto
delle azioni di questa società sono state formulate dalla FIAT e dal gruppo
Ford (Stati Uniti). Una serie di fattori, tra i quali non ultimo la volontà
di mantenere la gestione dell’impresa entro i confini nazionali, ha portato
a privilegiare la proposta della FIAT.
La considerazione più ovvia da fare a conclusione di queste
prime grandi privatizzazioni è lampante: l’IRI e l’ENI, sorte per contrastare
i monopoli e difendere il settore pubblico, hanno in definitiva effettuato delle
operazioni di privatizzazione che hanno rafforzato e non ridotto la concentrazione
industriale. A tal proposito si vedano la Tab.5 e il Graf.6 che
evidenziano in maniera inequivocabile la svendita dell’importante patrimonio
pubblico dell’economia, ancora più accentuata per il sistema bancario, e il
consolidamento delle concentrazioni oligopolistiche in mano alle grandi famiglie
del capitalismo italiano.
Per quanto concerne i servizi pubblici a livello locale
(ci si riferisce al trasporto, alla luce, al gas, ai rifiuti urbani, alla sanità,
alla gestione di parchi e giardini), va ricordato che la formula di solito adottata
nel passaggio dalla gestione pubblica a quella privata, è stata quella dell’appalto
ad imprese private (Cfr. Tab.6). Sono stati, cioè, affidati i compiti
di erogazione dei servizi ad aziende private che vengono direttamente o indirettamente
finanziate dall’autorità locale, la quale si riserva di operare solo una sorta
di controllo e di direzione dei lavori.
La legge n.210 del 1985, che ha disposto la trasformazione
delle Ferrovie dello Stato da Azienda Autonoma in Ente Pubblico, può
essere considerata come una ulteriore e diversificata forma di lento ma inesorabile
percorso verso la privatizzazione dei trasporti, e dei servizi in genere di
primaria importanza. Va considerato innanzitutto che le Ferrovie, con il loro
disavanzo dovuto a una cattiva gestione manageriale e ad un sempre più perverso
legame partitico-affaristico, per anni hanno costituito uno dei problemi più
pressanti di finanza pubblica. I sempre maggiori disavanzi, uniti al forte aumento
di squilibri di economicità e di efficienza, hanno portato l’azienda autonoma
delle Ferrovie ad affrontare problemi sempre più seri; basta a questo proposito
analizzare la quota percentuale delle spese correnti coperte con i proventi
tariffari per notare come questa quota sia andata progressivamente diminuendo
(vedi Graf.7 e relativa Tab.6a) .
All’inadeguatezza
della politica gestionale, si è aggiunta poi la completa inefficienza nel campo
della qualità del servizio, creando così quegli apparenti presupposti, che in
realtà erano il risultato di un deliberato piano politico di affossamento della
struttura aziendale pubblica, i quali evidenziano le difficoltà registrate
nella gestione dell’azienda hanno portato alla promulgazione della legge del
1985 che, con l’istituzione dell’Ente pubblico, intendeva far acquisire una
maggiore economicità ed efficienza alle ferrovie attraverso una maggiore autonomia
patrimoniale, contabile, finanziaria, di direzione e gestione. Si trattava di
un primo passo verso un reale processo di privatizzazione, che ancora non si
è del tutto completato, e che al momento non solo non ha portato a risolvere
problemi esistenti nel settore dei trasporti senza migliorare i livelli di efficienza
ed economicità delle Ferrovie, ma che si è risolto in un apparente risultato
economico positivo per l’azienda, conseguito con tagli sul costo del
lavoro, sui costi di manutenzione e con incommensurabili costi
sociali; si vedano i continui incidenti e disastri ferroviari di questi
ultimi mesi.
http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=21&artsuite=2
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